sabato 17 settembre 2011

Alla Reggia di Venaria la grande mostra sulla storia della moda italiana


Venaria, dalle crinoline ai tacchi sfilano 150 anni di eleganza

L'allestimento con l’abito della Contessa di Castiglione

Alla Reggia di Venaria la grande mostra sulla storia della moda italiana

MAURIZIO LUPO


TORINO
Vestivano ancora alla francese le prime Regine dell’Italia unita. I grandi stilisti di Parigi erano allora i capiscuola delle sartorie d’élite in voga nelle corti europee. Per tutto l’Ottocento e il primo Novecento dettano legge anche a Torino, Firenze e Roma. Nelle tre capitali del neonato regno italiano le signore dell’aristocrazia e dell’alta borghesia si rivolgono ai loro atelier o cercano in patria modelli ispirati alla creatività d’oltralpe. Sarà solo l’Italia repubblicana a vincere quest’egemonia. Inventerà la «moda italiana», quel raffinato e disinvolto stile che conquisterà il mondo. L’anno della svolta sarà il 1951, quando Giovanni Battista Giorgini farà sfilare a casa sua, nella villa Torrigiani di Firenze, le future grandi firme della sartoria italiana. Parigi dovrà inchinarsi.

E’ quanto narra la mostra «Moda in Italia, 150 anni di eleganza», allestita fino all’8 gennaio nelle «Sale delle arti» della Reggia di Venaria Reale, alle porte di Torino, con il sostegno del «Comitato Italia 150». Spazia dal 1861 ai nostri giorni. Nasce da un’idea di Alberto Vanelli, direttore della residenza, e di Dino Trappetti. E’ il presidente della «Fondazione Tirelli Trappetti» di Roma, che offre gran parte dei 200 abiti esposti in otto sezioni. Un allestimento di Michele De Lucchi, animato da giochi di specchi, quali simboli di vanità e dei riflessi mondani dei «défilé», esalta un percorso espositivo curato da due bei nomi della comunicazione. La scenografa e premio Oscar Gabriella Pescucci rievoca la moda fra Ottocento e primo Novecento. Mentre Franca Sozzani, direttrice di «Vogue Italia», fa scoprire al visitatore il successivo trionfo dello stile italiano. A loro si affiancano gli storici Clara Goria, Andrea Merlotti, Massimo Cantini e Marco Urizi, ma anche Laura Tonatto che, alle voci e alle musiche dei tempi evocati, aggiunge quattro «stazioni olfattive» di profumi d’epoca.

«E’ una mostra - assicura Vanelli - che sposa rigore storico e atmosfere seducenti. Racconta la moda come specchio della società e ne esalta i sogni». Spazia dalle crinoline della vanitosa Contessa di Castiglione ai tacchi dorati di Marilyn Monroe. Ostenta gli abiti da cerimonia delle Regine Margherita ed Elena di Savoia e i seducenti vestiti di Eleonora Duse. Sfiora il fascino della creatività di Elsa Schiaparelli, la rivale italiana di Coco Chanel e raggiunge la grazia composta del vestire di Audrey Hepburn. Sorprende con i panciotti policromi del futurista Fortunato Depero. E sfida lo scandalo con l’abito talare realizzato dalle sorelle Fontana per Ava Gardner, poi riutilizzato da Anita Ekberg nella «Dolce Vita» di Fellini.

La storia del Paese e l’evolversi del costume si accompagnano per raccontare anche la riscoperta del corpo della donna. Oltre la vanitosa dama di corte, irrigidita nei busti e nella sua magnificenza, compaiono donne che liberano poco alla volta le loro forme. Il nero e imbustato abito della Castiglione e quello candido, risorgimentale, indossato da Claudia Cardinale nel «Gattopardo», cedono il passo alla gonna «tournure». Si limita ad ingabbiare un cuscino sul sedere. Quindi compare il «cul de Paris», che ammorbidisce ulteriormente l’imbottito. Diventerà ancora più lieve con il «fagiolo», esibito sotto le strette gonne delle dame rese immortali da dipinti di Giovanni Boldini. Ecco poi le prime gonne pantalone, le «jupe-culottes» del 1911, giudicate «strafottenti» dai gelosi maschi dell’epoca, sfidati nel diritto esclusivo di portare i pantaloni.

Sarà la prima guerra mondiale, citata con divise di Gabriele D’Annunzio e uniformi, a rendere più sobrie le donne, chiamate a lavorare al posto degli uomini e quindi a vestire abiti più pratici. Finché, negli anni Venti del Novecento, la gioia per la pace recuperata farà cadere anche i busti femminili. Si libereranno i seni in scintillanti abiti da Charleston, esposti su manichini che sembrano librarsi. In seguito anche fascismo e nazismo cercheranno di firmare la moda. Lo testimonia un abito trapunto di luminose svastiche. Ma segna la fine di un’epoca. La mostra volta pagina. Con il «Blu dipinto di blu» di Domenico Modugno vola verso una nuova operosa stagione. Affermerà il miracolo italiano e l’originalità dei suoi stilisti. Si presentano riflessi da specchi e proiezioni, fino a una trionfale passerella dei loro capolavori, in un vanitoso e multimediale teatro color rosa cipria.

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