mercoledì 14 novembre 2012

Gaza, raid israeliano: ucciso il capo militare di Hamas

Israele ha compiuto un attacco mirato per uccidere il comandante della Brigata al-Qassam. Reazione dei miliziani che lanciano razzi verso Israele, mentre continuano i raid nel sud della Striscia. L'escalation nello scontro con i palestinesi era stata già annunciata da Netanyahu. L'Egitto ritira l'ambasciatore a Tel Aviv

Gaza, raid israeliano: ucciso il capo militare di Hamas
E’ morto il comandante militare di Hamas Ahmed al-Jabari, ucciso nell’esplosione della sua auto a Gaza, provocata da un raid israeliano. Il leader della Brigata al-Qassam, braccio armato della fazione islamico-radicale palestinese, è stato ucciso da un missile sparato da un drone israeliano. Israele ha rivendicato l’attacco: ”Ahmed al-Jabari era stato direttamente responsabile negli ultimi anni della esecuzione di attacchi terroristici contro lo Stato di Israele”. E’ quanto afferma in un comunicato il portavoce militare israeliano, Yoav Mordechai. “Lo scopo di questa operazione – si legge ancora nella nota – era colpire in maniera significativa la catena di comando della leadership di Hamas e della sua infrastruttura terroristica”.
La notizia ha destato forte emozione in Israele. I programmi radio normali sono stati interrotti. Nel Paese lo stato di allerta è stato subito elevato nel timore della prevedibile reazione di Hamas. Da Gaza si ha intanto notizia di raid ripetuti, di bombe su installazioni della polizia di Hamas e di colonne di fumo. L’esercito israeliano ha annunciato infatti di aver dato il via all’operazione denominata ‘Colonna di nuvole’ (Cloud Pillar) contro Hamas e altri fazioni palestinesi nella Striscia. Domenica 11 novembre era stato il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, a preannunciare una escalation nel conflitto con Hamas.
Nella Striscia di Gaza l’attacco ha scatenato violente manifestazioni di protesta. Centinaia di manifestanti sono accorsi all’ospedale Shifa di Gaza City, dove è stato trasportato il corpo di al-Jabari, intonando slogan contro Israele e sparando colpi di arma da fuoco in aria. Alcuni dei presenti hanno fatto irruzione nell’ospedale invocando vendetta. Intanto dagli altoparlanti delle moschee del territorio palestinese sono partiti gli inviti a pregare per il leader della Brigata al-Qassam.
LE REAZIONI - Se per Tel Aviv questo è “l’inizio di una campagna che ha l’obiettivo di eliminare i miliziani di Gaza”, la risposta di Hamas non si è fatta attendere: “Si sono aperte le porte dell’inferno”, è stata la prima replica. Oltre a Jabari, è stato ucciso anche un altro responsabile militare della fazione islamica palestinese al potere nella Striscia di Gaza, Raed Attar. Al-Jabari è il più alto in grado, tra gli esponenti di Hamas, ad essere ucciso da Israele dai tempi dell’operazione Piombo Fuso contro la Striscia di Gaza tra dicembre 2008 e gennaio 2009.
“E’ stato un crimine atroce e avrà ripercussioni”. Con queste parole, Taher Anunu, portavoce del governo di Hamas, ha commentato l’uccisione di Ahmed al-Jabari. “Il governo palestinese chiederà un processo per i responsabili dell’omicidio e dell’attacco ad aree civili – ha detto Anunu alla Bbc – ma le fazioni palestinesi hanno il diritto di rispondere nel modo che ritengono più giusto”. Dello stesso tenore il commento del portavoce ufficiale di Hamas, Salah al-Bardawil. “Hamas e il suo braccio militare risponderanno all’attacco israeliano infliggendo lo stesso dolore provocato dall’assassinio di un leader di grande calibro come al-Jabari”, ha detto in una dichiarazione apparsa sul sito della fazione integralista. A suo giudizio questa uccisione dimostra che lo stato ebraico “intende proseguire la sua politica di aggressione, incurante della comunità internazionale e delle sue decisioni” sul conflitto israelo-palestinese. In una nota diffusa da Hamas si legge: ”L’occupante israeliano ha commesso un crimine pericoloso e ha superato la linea rossa – si legge ancora nella nota – Questo atto è considerato come guerra e pagheranno un prezzo altissimo”.
L‘Egitto chiede ”uno stop immediato” ai raid israeliani su Gaza e di evitare tutto ciò che possa portare a “un’escalation che avrebbe un impatto negativo sulla pace e la sicurezza”. E’ l’appello del ministro degli Esteri egiziano, Kamel Amr, che, conversando con i giornalisti al termine della task force Ue-Egitto, ha affermato: ”Condanniamo nei termini più forti possibili l’uccisione di Ahmed al-Jabari da parte di Israele. L’uccisione di civili e di persone innocenti è assolutamente inaccettabile”. Condanna anche dal partito del presidente egiziano Mohamed Mursi, Giustizia e Libertà, braccio politico dei Fratelli Musulmani. Per il partito si tratta di “un crimine che esige una rapida azione araba, che ponga fine al massacro della popolazione palestinese sotto assedio a Gaza”. In un comunicato pubblicato sul suo sito, Giustizia e Libertà afferma che la scelta “di uccidere i capi della resistenza palestinese conferma la politica israeliana che vuole portare instabilità nella regione”. Intanto il Paese ha richiamato il suo ambasciatore a Tel Aviv
Il segretario generale dell’Onu, Ban ki-Moon, invece, ha lanciato un appello ad entrambe le parti perché si ponga fine all’escalation di violenze.
Nel frattempo Abu Mazen, presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), ha chiesto la convocazione urgente di una riunione straordinaria della Lega Araba per discutere dell’ondata di raid aerei israeliani.
E nel giro di poche ore Hamas è passato dalle parole ai fatti: una decina di razzi sono stati sparati a più riprese da Gaza verso la città israeliana di Beer Sheva, nel Neghev. L’attacco è stato sferrato da alle ore 20 locali, mentre in Israele iniziavano i telegiornali. Finora si ha notizia solo di danni materiali, ma non di vittime. Sembrerebbe che due missili siano stati intercettati dal sistema di difesa israeliano ‘Iron Dome’ (Cupola d’acciaio). In precedenza le ferrovie israeliane avevano provveduto a potenziare il servizio per consentire a molte centinaia di persone che temevano l’imminenza di attacchi palestinesi, dopo l’uccisione del comandante militare di Hamas, di lasciare Beer Sheva. Il ministro della Difesa, Ehud Barak, ha ordinato il richiamo di alcune unità di riservisti per far fronte alla situazione. Un’attivista italiana ha riferito che i raid israeliani finora avrebbero provocato 9  vittime, tra cui una bambina, più alcune decine di morti.

martedì 6 novembre 2012

"La trattativa Stato-Cosa nostra finì con le garanzie di Berlusconi"

La memoria della Procura di Palermo al Gip chiamato a decidere su 12 rinvii a giudizio. Richiesto il processo per politici come Mancino e mafiosi come Riina. I pm: Scalfaro cedette sul carcere duro

di SALVO PALAZZOLO
PALERMO - In gioco non c'era solo la revoca del carcere duro: nella drammatica stagione delle bombe del '92-'93 i capi di Cosa nostra puntavano a un "nuovo patto di convivenza Stato-mafia per traghettare dalla prima alla seconda Repubblica", cercavano soprattutto "nuovi referenti politici". E nel '94 li avrebbero trovati, ne è convinto il pool coordinato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia: "Il lungo iter di una travagliata trattativa trovò finalmente il suo approdo nelle garanzie assicurate dal duo Dell'Utri-Berlusconi, come emerge dalle convergenti dichiarazioni dei collaboratori Spatuzza, Brusca e Giuffrè". Così viene riassunto nella memoria inviata dalla Procura di Palermo al gip Piergiorgio Morosini, che nelle prossime settimane dovrà decidere sul rinvio a giudizio di dodici imputati, fra boss e uomini delle istituzioni. In 27 pagine c'è la storia di un'inchiesta durata quattro anni, che oggi chiama in causa anche l'allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, un ex capo della polizia e un ex vice direttore del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, tutti non più in vita. Così scrivono i pm Di Matteo, Sava, Del Bene e Tartaglia: "Vincenzo Parisi e Francesco Di Maggio, agendo entrambi in stretto rapporto con il presidente Scalfaro, contribuirono al deprecabile cedimento sul tema del carcere duro".

"Un'amnesia durata vent'anni"
La Procura denuncia "i tanti,
troppi depistaggi e reticenze spesso di fonte istituzionale" che hanno ostacolato la ricerca della verità sulla "scellerata trattativa". E accusa: "Non si è del tutto rimossa quella forma di grave amnesia collettiva della maggior parte dei responsabili politico-istituzionali dell'epoca, un'amnesia durata vent'anni". Qualche "testimone eccellente", alla fine, è arrivato: "Ma solo dopo le dichiarazioni di Massimo Ciancimino", ricordano i pm. Così, nell'inchiesta sulla trattativa il figlio dell'ex sindaco di Palermo si guadagna il positivo giudizio di "testimone privilegiato dei fatti", nonostante sia imputato di calunnia, e per questo definito anche "fonte di prova dalla controversa attendibilità intrinseca".

"Un nuovo patto"
Sullo sfondo dell'inchiesta, i pm tratteggiano un quadro storico ben preciso: la crisi economica, il crollo del muro di Berlino, Tangentopoli. "È in questo contesto - scrivono - che va inserita la strategia di alleanze che Cosa nostra organizzò in quella nebulosa fase di transizione e concepì il piano destabilizzante del quadro politico nazionale, iniziato con l'omicidio di Salvo Lima". I magistrati spiegano: "Quel piano sfociò nella logica della trattativa per costruire un nuovo patto di convivenza fra Stato e mafia".

"Uomini politici cerniera"
Eccoli, gli uomini della trattativa oggi imputati. I pm chiamano l'ex ministro Calogero Mannino e il senatore Marcello Dell'Utri "gli uomini politici-cerniera, le cinghie di trasmissione delle minacce mafiose". L'ultima minaccia di nuove bombe sarebbe stata rivolta all'allora presidente del Consiglio Berlusconi appena insediato, nel '94: "Tramite Vittorio Mangano e Dell'Utri", spiega la memoria: "Fu l'ultimo messaggio intimidatorio prima della stipula definitiva del patto politico-mafioso". Parole che sembrano riaprire il capitolo giudiziario della nascita di Forza Italia.
Degli ex ministri Nicola Mancino e Giovanni Conso i pm dicono invece: "Si è acquisita la prova di una grave e consapevole reticenza".

Chi si è opposto
Ma questa non è solo la storia di uomini dello Stato sul banco degli imputati. Nel suo ultimo giorno da pm a Palermo, prima di partire per il Guatemala, Ingoria scrive: "Chi condusse la trattativa fece un'attenta valutazione. Il ministro dell'Interno in carica Vincenzo Scotti era ritenuto un potenziale ostacolo, mentre Mancino veniva ritenuto più utile in quanto considerato più facilmente influenzabile". Anche l'ex guardasigilli Claudio Martelli "viene percepito come un ostacolo alla trattativa, e finisce per essere politicamente eliminato". Così, dopo la morte di Giovanni Falcone, "irrompe sulla scena una male intesa (e perciò mai dichiarata) ragion di Stato", è questa la conclusione dei pm di Palermo: "E venne fornita apparente legittimazione alla trattativa".