CITTA' DEL VATICANO - "Il martirio di monsignor Romero non fu solo nel momento della sua morte: iniziò prima, ma iniziò con le sofferenze per le persecuzioni precedenti alla sua morte e continuò anche posteriormente, perché non bastava che fosse morto: fu diffamato, calunniato, infangato. Il suo martirio continuò anche per mano dei suoi fratelli nel sacredozio e nell'episcopato". Lo ha affermato Papa Francesco in spagnolo concludendo, a braccio, il discorso ai partecipanti al pellegrinaggio da El Salvador, in Vaticano in segno di ringraziamento per la beatificazione del grande arcivescovo di San Salvador avvenuta il 23 maggio scorso.

Romero, "una volta morto - ero giovane sacerdote e ne fui testimone - fu diffamato, calunniato, infangato. Non parlo per aver sentito dire. Ho ascoltato queste cose", ha detto il Papa.

"Solo Dio - ha aggiunto il Papa - conosce la storia della persona. E vede se la stanno lapidando con la pietra più dura che esiste nel mondo: la lingua".

Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, fu ucciso sull'altare il 24 marzo del 1980 dagli squadroni della morte mandati dal regime che il monsignore denunciava senza compromessi. Ma dopo la sua morte in Vaticano arrivarono "una montagna di lettere anonime e firmate contro di lui", ha ammesso il postulatore della causa, arcivescovo Vincenzo Paglia, che da solo non sarebbe mai riuscito ad  abbattere quel cumulo di infamie.

"Il primo Papa latinoamericano della storia - ricostruisce il vaticanista Iacopo Scaramuzzi nel pamphlet 'Tango vaticano' pubblicato nei giorni scorsi dalle edizioni dell'Asino - ha fatto chiaramente intendere, fin dai primi giorni, che voleva Romero, martire latino-americano, beato. Lo ha confidato, tra gli altri, al premio Nobel per la pace Adolfo Perez Esquivel". Così l'anno scorso, "il martedì che i cardinali votano, chi convintamente, chi obtorto collo, per l'avvio del processo che porterà Romero all'onore degli altari", anche se la prassi della Santa Sede vuole che passino due giorni prima che il prefetto della Congregazione porti, di giovedì, i dossier al romano pontefice per la firma definitiva.

Jorge Mario Bergoglio stravolge la tradizione, convoca immediatamente il cardinale Angelo Amato nel palazzo apostolico, e, bruciando i tempi, firma seduta stante il decreto che riconosce che Romero, ucciso in odium fidei: è martire, e sarà dunque beato. Si sono già persi più di trent'anni, meglio non perdere neanche un giorno di più, non si sa mai...".

Secondo Scaramuzzi, "negli anni successivi alla nascita della teologia della liberazione; il Vaticano guarda con aperto fastidio alle convergenze tra cattolicesimo e marxismo in Sud America. "Il cardinale Lopez Trujillo lottò contro il riconoscimento del martirio di Romero", ha raccontato il fondatore della comunità di Sant'Egidio, Andrea Riccardi, spiegando che il porporato colombiano "riteneva il prelato troppo 'marxisteggiante', e temeva che la sua beatificazione si sarebbe trasformata nella canonizzazione della teologia della liberazione, cui il cardinale si opponeva".

Benedetto XVI disse di ritenere, mentre volava in Brasile nel 2007, che la persona di Romero fosse "degna di beatificazione", parole - lo ha ricostruito Gianni Valente sul sito Vatican Insider - che furono depennate nel testo ufficiale dell'intervista. Jorge Mario Bergoglio, all'epoca arcivescovo di Buenos Aires, all'Assemblea del Celam di Aparecida in quello stesso 2007 - l'episodio è stato raccontato dall'ex segretario di Romero, monsignor Jesus Delgado - affermò: "Se io fossi diventato Papa, la prima cosa che avrei fatto sarebbe stata inviare Lopez Trujillo a San Salvador a beatificare Romero".

Papa Francesco si è pronunciato più volte pubblicamente in merito al sacrificio di questo grande vescovo latino-americano. Il Pontefice "chiamato quasi dalla fine del mondo", ha citato Romero anche durante l'ultima udienza generale: l'arcivescovo di San Salvador, ha ricordato Bergoglio, "diceva che le mamme vivono un 'martirio materno'. Nell'omelia per il funerale di un prete assassinato dagli squadroni della morte, egli disse, riecheggiando il Concilio Vaticano II: 'Tutti dobbiamo essere disposti a morire per la nostra fede, anche se il Signore non ci concede questo onore... Dare la vita non significa solo essere uccisi; dare la vita, avere spirito di martirio, è dare nel dovere, nel silenzio, nella preghiera, nel compimento onesto del dovere; in quel silenzio della vita quotidiana; dare la vita a poco a poco? Sì, come la dà una madre, che senza timore, con la semplicitá del martirio materno, concepisce nel suo seno un figlio, lo dà alla luce, lo allatta, lo fa crescere e accudisce con affetto. E' dare la vita. E' martirio'".




Papa Francesco, Romero martire due volte: "Dopo la sua morte per mano dei vescovi"
Rutilio Grande Garcia


Il martire "non è qualcuno relegato nel passato, una bella immagine che adorna le nostre chiese e ricordiamo con nostalgia", ha detto il Papa nel discorso preparato per oggi. "No, il martire è un fratello, una sorella, che continua ad accompagnarci nel mistero della comunione dei santi, e che, uniti a Cristo, non ignora il nostro pellegrinaggio terreno, le nostre sofferenze, le nostre agonie. Nella recente storia di questo amato paese, la testimonianza di mons. Romero, si è unito agli altri fratelli e sorelle, come padre Rutilio Grande, che, non avendo paura di perdere la vita, l'hanno guadagnata e sono stati intercettori del loro popolo davanti al vivente, che vive per secoli e secoli e ha nelle sue mani le chiavi della morte e della vita".

Gesuita, collaboratore di romero, Rutilio Grande Garcia fu ammazzato anch'egli dagli squadroni della morte nel 1977. La sua causa di beatificazione è stata aperta nei mesi scorsi in Salvador.