lunedì 25 novembre 2013

Berlusconi tenta l'ultima difesa: "Ho sette nuove testimonianze per rivedere il processo". E scrive ai senatori Pd e M5S



Il Cavaliere torna all'attacco e in una conferenza stampa illustra i documenti Usa che secondo lui lo scagionerebbero. "Non prevedo scappatoie straniere". Lettera ai due partiti: "Rinvio del voto o ve ne pentirete coi vostri figli". Zanda: "Confermato per il 27". Per il Pd l'ex premier "è un pericolo per le istituzioni"
Berlusconi tenta l'ultima difesa: "Ho sette nuove testimonianze per rivedere il processo". E scrive ai senatori Pd e M5S
ROMA - Nella settimana decisiva per la sua decadenza da senatore e dopo lo scontro durissimo con il Colle, Silvio Berlusconi prova l'ultima, affannosa difesa. E in un'affollata conferenza stampa nella nuova sede di Forza Italia illustra le famose 'carte americane' che secondo lui dovrebbero cambiare la storia del processo Mediaset per cui è stato condannato in via definitiva a 4 anni per frode fiscale. I documenti consistono in un'intercettazione e un accertamento del fisco Usa sull'ex socio occulto Frank Agrama. "Contiamo di avere 12 testimonianze - spiega Berlusconi ai giornalisti - di cui più della metà, credo 7, completamente nuove" per avanzare la richiesta di revisione del processo presso la Corte d'appello di Brescia.

La lettera-appello a Pd e M5S. Berlusconi torna poi a lamentarsi per le "violazioni di ogni principio legale" che hanno permesso "che sia stato fissato per mercoledì il voto in aula" sulla sua decadenza. E legge il testo di una lettera-appello rivolta ai senatori del Pd e del M5S, chiedendo loro di rimandare il voto: "Noi siamo avversari politici - è l'incipit - ma non deve venire meno il rispetto reciproco. Prima di prendere una decisione valutate attentamente le nuove prove, testimonianze e documenti che sono arrivati dopo la sentenza della Cassazione. Stiamo aspettando altre carte da Hong Kong, dalla Svizzera e dall'Irlanda che smontano completamente la tesi accusatoria costruita nei miei confronti".


Non scappo via dall'Italia. "Non prevedo scappatoie straniere", afferma poi il Cavaliere rispondendo a chi gli chiede se accetterebbe un passaporto diplomatico da Vladimir Putin per lasciare l'Italia. "Nemmeno per sogno - replica - Non ho mai avuto proposte, né le ho cercate, da questo tipo né dalla Russia né dagli altri Paesi. Non cerchiamo scappatoie. Ho sempre dimostrato un grande amore per il mio Paese, ho qui tutto".

Nessun patto con Napolitano. Il Cavaliere assicura poi che non c'è stato nessun patto con il Capo dello Stato per ottenere un salvacondotto: "Non solo non c'è stato nessun patto, soprattutto rispetto a un salvacondotto, ma non c'è stata contrattazione alcuna". E a chi gli chiede se rivoterebbe Napolitano, risponde: "Non faccio nessuna valutazione".

L'attacco ai giudici. Non poteva mancare un nuovo affondo contro la magistratura e, in particolare, contro i giudici di Magistratura democratica: "Posso ben dire - afferma Berlusconi -  che nessun giudice può cambiare sede, ruolo e fare carriera se non c'è un accordo con Magistratura Democratica". Per il Cavaliere, ormai, "la magistratura è un contropotere che va sopra il potere legislativo ed esecutivo". E torna sulla necessità di una riforma della giustizia per garantire una piena democrazia: "La revisione del sistema giudiziario è una necessità per garantire la libertà dei cittadini e la democrazia, che oggi è dimezzata".

Io, cittadino esemplare. Così si definisce il leader di Forza Italia chiudendo la conferenza stampa: "Andrò fino in fondo con la revisione del processo e con il ricorso alla corte europea dei diritti dell'uomo: devo uscire da questo attacco per quello che sono, un cittadino esemplare che ha sempre pagato le tasse e ne ha pagate tante dando un contributo positivo ai suoi cittadini e al suo paese".

Zanda: confermato voto su decadenza il 27. Durissime le reazioni, del Pd e anche del M5S. Intanto, il capogruppo del Pd a Palazzo Madama, Luigi Zanda, ha riferito che il presidente del Senato Pietro Grasso ha confermato il voto del senato sulla decadenza per dopodomani, mercoledì 27 novembre. Mentre manca l'intesa l'intesa sul calendario dei lavori per quanto riguarda la legge di Stabilità. Per mettere a punto il nuovo ordine dei lavori domani mattina sarà convocata una nuova conferenza dei capigruppo del Senato. Le due questioni - stabilità e decadenza - sono interconnesse: se non si trova l'accordo sulla stabilità il voto sulla decadenza potrebbe essere compromesso. E a chi gli chiede se Forza italia voterà contro la fiducia sulla legge di stabilità, Berlusconi risponde: "Alle 19 abbiamo un incontro tra i gruppi parlamentari di Forza Italia per decidere che cosa fare".

"E' golpe". Questa mattina Berlusconi era tornato all'attacco dai microfoni di "Prima di tutto" su Radio 1 con un linguaggio durissimo. "Io non vedo come si possa chiamare in modo diverso da colpo di Stato  - ha detto il Cavaliere - quello che sta succedendo ad opera della sinistra in Parlamento. Partendo da una sentenza politica, che ho definito criminale, e che punta a sottrarre al centro-destra il leader capace di vincere le elezioni, spianando così la strada alla conquista definitiva del potere da parte loro. Quindi io credo che la realtà valga su tutto, prevalga su qualunque opinione ed espressione".

Il Pd: deriva eversiva. "Oramai Berlusconi è andato oltre l'ammissibile: la sua è una deriva eversiva e costituisce un pericolo per le istituzioni", ha commentato a caldo Danilo Leva, responsabile giustizia del Pd, che aggiunge: "Ci rispecchiamo totalmente nelle parole del Capo dello stato, nel suo invito fermo e sicuro sulla necessità del rispetto della legalità da parte di ciascuno cittadino, quale bene supremo per la tenuta del nostro stato di diritto".

Critiche anche da Ncd. Alfano ha annunciato ieri che il suo partito non parteciperà il 27 alla manifestazione di Forza Italia davanti a Palazzo Grazioli contro la decadenza. E oggi Roberto Formigoni, senatore di Ncd, ha criticato le espressioni del Cavaliere che "non sono condivisibili, solo comprensibili alla luce di una giustificata esasperazione di Berlusconi che si sente colpito da profonda ingiustizia e ha tutti i motivi per rivendicare la sua innocenza". Il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, anche lui passato a Ncd, precisa: "Noi siamo per la grazia, ma evidentemente certi toni, certi insulti dell'ultimo mese-mese e mezzo - e non è un caso che abbiamo fatto la nostra scelta - non aiutano".

sabato 23 novembre 2013

Processo Trattativa, Riina: “Questi cornuti portano pure Napolitano”

Nel carcere di Opera il Capo dei capi, intercettato, parla con un boss della Sacra corona unita e tocca vari argomenti. Minacce contro i pm di Palermo: "Gli macinerei le ossa". E torna sugli attentati a Rocco Chinnici e a Giovanni Falcone: "Gli ho fatto fare la fine del tonno”

Processo Trattativa, Riina: “Questi cornuti portano pure Napolitano”
Questi cornuti… (i pm di Palermo, ndr), se fossi fuori gli macinerei le ossa”. Totò Riina si guarda intorno, volta le spalle ai sorveglianti, si piega verso il suo interlocutore, poi bisbiglia: “Sono stati capaci di portarsi pure Napolitano”. Il boss è seduto su una panchina: accanto a lui c’è Alberto Lorusso, personaggio di spicco della Sacra corona unita, la mafia pugliese, un uomo rispettoso che sa ascoltare. Lorusso tace, Riina parla: “Berlusconi? A quello carcere non gliene fanno fare… Ci vuole solo che gli concedano la grazia”. E poi: “Io sono sempre stato un potentoso… e se fossi libero, saprei cosa fare, non perderei un minuto”.
L’immagine catturata dalla micro-telecamera nascosta è nitida e la voce registrata dalle cimici piazzate nel cortile del carcere di Opera arriva agli uomini della Dia forte e chiara: dopo vent’anni trascorsi in carcere al 41-bis, nel più assoluto silenzio, il capo dei capi non si trattiene più. La sua camera di decompressione, il suo sfogatoio, è l’ora d’aria: ricorda, commenta, si sfoga, chiacchiera a ruota libera di Berlusconi, cita Napolitano, critica il suo complice Bernardo Provenzano, giudicandolo poco coraggioso, e per la prima volta rivendica la piena paternità delle stragi di Capaci e via D’Amelio, gonfiandosi d’orgoglio: “Quello venne per i tonni – dice alludendo a Falcone che nel maggio del ’92 era stato invitato a Favignana ad assistere alla mattanza – e gli ho fatto fare la fine del tonno”.
“Che bella la mia stagione delle stragi”
Riina “il purosangue” (così lo ha definito il pentito Nino Giuffrè, alludendo alla sua fama di irriducibile all’interno di Cosa Nostra) perde l’autocontrollo che sfoggia nelle aule giudiziarie e appare come un fiume in piena, vomitando tutta la sua rabbia per il processo sulla trattativa Stato-mafia. Dice: “Mi fa impazzire”. E ancora: “Questi pm mi fanno impazzire”. Ce l’ha in particolare con Nino Di Matteo: “Ma che vuole questo? Perché mi guarda? A questo devo fargli fare la fine degli altri”. Di Matteo è il suo chiodo fisso. È uno che “fa parlare i pentiti, gli tira le cose di bocca”, uno “troppo accanito”.
È una svolta epocale. Per la prima volta, i pm di Palermo e gli investigatori della Dia ascoltano in presa diretta la storia di un ventennio di stragi attraverso i ricordi dello stratega mafioso più sfrenato. Quando parla di Rocco Chinnici, il magistrato assassinato con un’autobomba in via Pipitone Federico nel luglio dell’83, Riina è compiaciuto: “A quello l’ho fatto volare in aria, saltò in aria e poi tornò per terra, fece un volo”. Quando parla di Falcone e Borsellino, quasi si commuove al pensiero di quanto fosse gloriosa quella stagione di sangue. “Io sono sempre stato un potentoso, deciso, non ho mai perso tempo”. Il pugliese Lorusso, a questo punto, lo lusinga: “Che bella stagione quella, peccato che sia finita”. E Riina: “Se fossi fuori, non starei a perdere tempo, a questi cornuti gli macinerei le ossa”.
“Dovevamo continuare con le bombe in Sicilia”
I magistrati della procura palermitana hanno raccolto centinaia di pagine di trascrizioni, e altre decine di ore di conversazioni non sono state ancora trascritte. Riina si descrive come il capo assoluto dell’organizzazione che ha sfidato lo Stato. Con il rammarico, persino, di non aver potuto proseguire i piani sanguinari, stoppati il 15 gennaio ’93 dall’arresto sulla Circonvallazione di Palermo. E se avesse potuto, avrebbe continuato a colpire in Sicilia: “Io avrei continuato a fare stragi in Sicilia, piuttosto che queste cose in Continente, cose ambigue… dovevamo continuare qui”. Lo stragismo, insomma, è il suo pallino. E Riina, depositario di tutti i segreti, parlando con Lorusso, fa capire che ci sono alcuni “misteri fittissimi”, che riguardano soprattutto la strage di Capaci: “Queste cose i picciotti di Cosa Nostra non dovranno saperle mai”. Alcuni di questi misteri Riina dice di averli condivisi solo con un altro uomo d’onore, il boss poi pentito Totò Cancemi, il capo-mandamento di Porta Nuova che prese il posto di Pippo Calò, il “cassiere” della mafia, morto nel 2011.
L’assenso dal 41-bis per un attentato a Di Matteo
Sono intercettazioni che per la prima volta hanno monitorato tutte le esternazioni del boss in ogni momento della sua vita carceraria: dai colloqui con i familiari, dove Riina è sempre perfettamente vigile e auto-controllato, alla cosiddetta socialità, che si svolge in un ambiente interno del carcere, dove resta prudente, e si rivolge a Lorusso solo per parlare di calcio e di argomenti “neutri”. Ma quando arriva l’ora d’aria, il momento di maggiore libertà di un detenuto al 41-bis, che si svolge all’aperto e regala l’illusione di essere irraggiungibile da occhi e orecchie indiscreti, si assiste – secondo gli analisti dell’intelligence antimafia – all’incredibile metamorfosi del capo dei capi. Riina esce sul cortile a fianco del pugliese, si allontana con lui fino a spostarsi nell’angolo più distante dal portico dove stazionano i sorveglianti, si siede sulla panchina, si guarda intorno e alle spalle, e poi abbassando la voce comincia a discutere liberamente, elaborando le sue analisi, commentando le notizie apprese in tv, o semplicemente abbandonandosi ai ricordi. La sua voce si abbassa fino al bisbiglio, ma le cimici piazzate con grande perizia dagli uomini della Dia captano, sullo sfondo del cinguettio degli uccelli, ogni sussurro del boss. L’idea di intercettare Riina, nella primavera scorsa, viene dall’anonimo che con una lettera avverte la Procura di Palermo che Riina dal carcere, attraverso il figlio, ha dato l’assenso a un attentato contro il pm Nino Di Matteo: il Corvo, secondo gli inquirenti che ne hanno tracciato il profilo psicologico, è probabilmente un uomo delle istituzioni. A giugno, in coincidenza con l’avvio del processo sulla trattativa, i pm chiedono di piazzare microspie e telecamere nel carcere di Opera per scoprire se Riina reagisce con qualche commento interessante. La risposta è superiore a ogni aspettativa.
Una chiamata alle armi per i picciotti?
Sono messaggi o è la voce della rabbia covata in carcere per venti anni? L’analisi in queste ore ruota attorno a questa domanda: le conversazioni intercettate – fanno notare gli investigatori – sembrano rivelare per la prima volta i lati più oscuri della personalità del capo della mafia stragista. Per questo l’improvvisa loquacità del superboss in questo momento per gli 007 antimafia è un’autentica sciarada. Perché Riina parla tanto? Facile leggere le esternazioni del super-boss come una “chiamata alle armi”. La prima, e la più immediata lettura è quella di un messaggio rivolto alla manovalanza mafiosa in libertà, perché si attivi e metta in pratica le minacce a Di Matteo e ai pm della trattativa. Una lettura corretta dal procuratore Francesco Messineo secondo cui le dichiarazioni bellicose di Riina potrebbero fornire copertura a eventuali entità esterne a Cosa Nostra, fornendo – così ha detto Messineo – “l’alibi perfetto” per una nuova azione violenta a Palermo. Ma perché, si domandano gli inquirenti, il boss dovrebbe prestarsi a una simile messinscena? È possibile – è un’altra tesi diffusa tra chi indaga – che Riina parli spontaneamente, senza sapere di essere intercettato. E che le sue dichiarazioni siano assolutamente genuine. Ma perché il processo sulla trattativa, che fino a questo momento non ha fatto emergere nulla di particolare nei suoi confronti, lo fa “impazzire”?
Il ruolo del mafioso nella Trattativa Stato-mafia
Una risposta possibile riguarda gli sviluppi futuri dell’indagine: secondo chi indaga, Riina forse teme che prima o poi dall’aula bunker possa venire fuori qualcosa che provi pienamente la sua collaborazione con parti deviate dello Stato, che avrebbero usato lui e Cosa Nostra per portare avanti la strategia della tensione; e che alla fine avrebbero distrutto l’organizzazione mafiosa, uscita devastata dalla stagione delle stragi. Oggi, insomma, il boss, potrebbe avere paura: il processo sulla trattativa, fanno notare gli inquirenti, è per lui come “una spada di Damocle”. Perché se alla fine il processo proverà che Riina ha trattato, che si è fatto utilizzare, che ha esposto i suoi soldati alla rovina, la sua fama di “purosangue” sarebbe definitivamente oscurata. Con una grave perdita di prestigio tra gli affiliati di Cosa Nostra.
Di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza
Da Il Fatto Quotidiano del 23 novembre 2013

martedì 19 novembre 2013

Passaparola-Il denaro non esiste - Massimo Fini

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(12:00)
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"Il denaro favorisce quei soggetti che avendone capito profondamente l’essenza lo sanno maneggiare, e sono i grandi finanzieri, ma la gente comune non sa, non solo, si fa totalmente ingannare, il risparmiatore è la vittima designata del sistema del denaro, perché finanzia attraverso le banche i ricchi perché diventino sempre più ricchi, se le cose a costoro vanno bene tanto meglio per i ricchi, se vanno male la cosa cade sulla testa dei risparmiatori. In qualche forma la rapina del cosiddetto risparmio avviene già, perché o è l’inflazione o il fatto che a un certo punto vieni tassato, il risparmiatore non può uscirne". Massimo Fini
Il Passaparola di Massimo Fini, giornalista e scrittore
Il denaro ha quattro funzioni: intermediario dello scambio, misura del valore, mezzo di pagamento, deposito di ricchezza. Sulle prime tre non c’è niente da dire. Sulla quarta invece sì, perché il denaro non è ricchezza, non la rappresenta. Il denaro in se stesso che cos’è? È, nella sua essenza, futuro, proiezione verso il futuro, una scommessa sul futuro, una rappresentazione del futuro.
Naturalmente se il futuro è a breve è chiaro che se ho 100 Euro, posso pensare che con questi 100 Euro qualcuno mi darà qualcosa in cambio, ma se assume invece forme colossali, come è oggi, questa proiezione è così enorme da proiettarci verso epoche talmente lontane, il denaro è allora in realtà inesistente. Il denaro che c’è nel mondo, in tutte le forme, azioni, obbligazioni, crediti di qualunque tipo, fatto 100 questa quantità di denaro con l’1% compri tutti i beni e i servizi del mondo, il 99% che cos’è? Non è nulla, se non una folle proiezione.
Il denaro nella sua prima forma appare in Lidia, nell’ambito della cultura greca intorno al tremila avanti Cristo, lì inizia la storia del denaro, inizialmente è un intermediario nello scambio per evitare le triangolazioni del baratto, che sono faticose. C’è un geroglifico nelle piramidi egiziane dove uno per avere una focaccia deve prima andare da un altro, perché quello che ha lui non interessa a quello che ha la focaccia, e quindi fare una triangolazione. E sostanzialmente così resta per molto tempo, un utile mezzo di scambio.
Poi il denaro prende invece la forma di fine, non più di mezzo e diventa protagonista del sistema. Con la rivoluzione industriale diventerà fondamentale, perché come dice Adam Smith è “la tecnica che unisce tutte le tecniche”, è ciò che permette questo tipo di sistema che abbiamo oggi e, piano a piano, si smaterializza, si svincola dal supporto materiale, prima c’è la banconota, che Adam Smith considera una invenzione pari a quella della macchina a vapore e poi diventa virtuale. Questo ha alcune conseguenze, questa smaterializzazione del denaro dalla moneta fisica e la sua finanziarizzazione. Oggi ci sono i derivati e le opzioni si moltiplica il denaro esistente in modo enorme, perché sono scommesse su scommesse su scommesse. Si parte da un’azione di una azienda a una scommessa su quanto varrà questa azione due mesi dopo e poi una scommessa su questa scommessa. Insomma è un moltiplicatore di denaro, motivo per cui c’è questa bolla enorme che prima o poi ci ricadrà addosso. Ci ricadrà addosso anche per una ragione più di fondo, perché il nostro modello di sviluppo è basato sulle crescite esponenziali, che esistono in matematica ma non in natura, per cui a un certo punto tu arrivi a un limite e noi siamo molto vicini a questo limite. Non possiamo più crescere e chiunque parla di crescita mente sapendo di mentire. E’ come una potentissima macchina che partendo dalla rivoluzione industriale ha corso velocissima in questi due secoli e mezzo e adesso si trova davanti a un muro e continua a dare di gas e naturalmente a un certo punto fonde.
Ragionevolmente bisognerebbe fare qualche passo indietro. Le correnti di pensiero che si sono occupate di queste cose, soprattutto americane, perché essendo gli Stati Uniti la punta di lancio del modello sono anche quelli che esprimono per primi gli anticorpi, anche se sono pensieri di nicchia, ma non sottovalutati. In America, parlano di un ritorno graduale, ragionato a forme di auto-produzione e autoconsumo che passi attraverso il recupero della terra e il ridimensionamento drastico dell’apparato industriale finanziario.
Se tu hai autoproduzione e autoconsumo non hai bisogno di denaro, quando si dice che certi Paesi vivono poveramente perché hanno il reddito pro capite due dollari al mese, bisogna vedere, perché può essere che neanche quei due dollari gli servano, se sono autosufficienti.
Lo dice molto bene, devo dire, Ta-Tanka I-Yotank , il vecchio Toro Seduto a fine Ottocento “Quando avrete abbattuto l’ultimo bisonte, tagliato l’ultimo albero, prosciugato l’ultimo fiume vi renderete conto che non potrete mangiare il denaro accumulato nelle vostre banche”.
Viviamo in un mondo che è folle, continua a girare, ma non per molto. I tempi non li so calcolare, i tempi sono importanti, perché se il crack, il crollo, il sistema del denaro, che è inevitabile, avviene tra 10 anni è una cosa e ti può interessare, se avviene tra 50 anni è un’altra. Comunque al momento del crollo del sistema del denaro, ti fermerai da un benzinaio e dirai “Mi dia 60 Euro di benzina” e quello ti dirà “Che Euro ?… mi dia piuttosto una gallina e due uova”.
Andrebbe assolutamente rivalorizzata l’agricoltura, perché in realtà la prima esigenza dell’uomo è il cibo, invece l’agricoltura viene marginalizzata! Questa era stata una intuizione del fascismo, molto demonizzata, ma in realtà la terra è fondamentale, e noi non la stiamo distruggendo semplicemente dal punto di vista ecologico, ma dal punto di vista della sua produttività. Prima della rivoluzione industriale c’era l’abitudine del maggese, una parte della terra la facevi riposare. Adesso invece la si sfrutta a sangue e a un certo punto la terra diventa totalmente improduttiva.
Il popolo ha sempre avuto una estrema diffidenza nei confronti del denaro. Voglio fare prima un esempio che riguarda l’Africa esposto in un libro che mi è costato molta fatica: “Il denaro, sterco del demonio”, sterco del demonio sono parole di Martin Lutero.Quando i colonialisti arrivarono in Africa i neri non volevano saperne di denaro, loro vivevano di autoproduzione e di baratto e allora che cosa fecero? Imposero una tassa su ogni capanna, per cui questi dovevano procurarsi un surplus, e lì inizia la storia dello scambio attraverso il denaro e non più attraverso un baratto.
C’è una bella poesia di un poeta africano che dice “Ah che bello il tempo quando se io avevo sale e tu pepe io ti davo sale e tu pepe senza stare a pensare se il sale valeva più del pepe o il pepe più del sale”.
Il denaro favorisce quei soggetti che avendone capito profondamente l’essenza lo sanno maneggiare, e sono i grandi finanzieri, ma la gente comune non sa, non solo, si fa totalmente ingannare, il risparmiatore è la vittima designata del sistema del denaro, perché finanzia attraverso le banche i ricchi perché diventino sempre più ricchi, se le cose a costoro vanno bene tanto meglio per i ricchi, se vanno male la cosa cade sulla testa dei risparmiatori. In qualche forma la rapina del cosiddetto risparmio avviene già, perché o è l’inflazione o il fatto che a un certo punto vieni tassato, il risparmiatore non può uscirne.
Schiavi del meccanismo ormai siamo praticamente tutti, nel senso che questo treno è lanciato a mille all’ora, i finanzieri e compagnia bella sono le mosche cocchiere, ma non è che guidano il treno, il treno andrà a schiantarsi e travolgerà anche loro.
Non c’è qualcuno alla guida di questo treno, è un meccanismo che si autoriproduce, autopotenzia e che indebolisce l’uomo, più si indebolisce e più diventa prigioniero del meccanismo.
Questo me l’ha confermato Rubbia, uno scienziato positivista, quando gli ho fatto questo esempio ha ammesso che è così, che il treno è lanciato a mille all’ora e che noi non sappiamo se anche fermandolo adesso non abbiamo già superato il punto di non ritorno e quindi andiamo a schiantarci contro la montagna. Fuori di metafora verso quel momento in cui crollerà questo tipo di mondo e di sistema.
E’ chiaro che l’Occidente pur di salvarsi scatenerà guerre, ma si salveranno coloro che saranno fuori da questo tipo di logica, pochissime società marginali, autosufficienti.
In guerra si vede bene. La città diventa il luogo della prigionia e in campagna tu puoi autosostentarti. Una mucca può perdere anche un po’ di valore, ma continua comunque a brucare e trasformare in latte, a cagare come Dio comanda. Non può mai azzerarsi il valore di una mucca. Il denaro può azzerarsi totalmente in qualsiasi momento, si è visto in alcune crisi famose, il denaro non valeva più niente,la crisi di Weimar: un francobollo costava quattro miliardi di marchi! Il Messico doveva 50 miliardi ai Paesi industrializzati e era sull’orlo della bancarotta, la bancarotta in realtà fa più male al creditore che al debitore, cosa fecero? Prestarono al Messico 50 miliardi di dollari perché potesse restituire 50 miliardi di dollari.
Questa cosa sembra non avere nessuna logica. Se io ti devo 100 Euro e tu mi dai 100 Euro perché ti restituisca i 100 Euro non è logico. Nel sistema globale ha una sua logica, perché in questo modo tu tieni agganciato il Messico, quindi continui a vendergli Coca Cole e altre stronzate di questo genere. Nel 2008 la crisi subprime come è stata risolta? Gli americani hanno tirato fuori tre trilioni di dollari che o li avevano prima, e non si capisce perché non li avessero usati, o se li sono stampati e a che cosa corrispondono? A niente! Servono per mandare avanti ancora per un po’ il sistema, ma in realtà creano una bolla speculativa che ricadrà addosso a loro, agli europei, a tutti quanti.
Più o meno tutti i Paesi hanno reagito in questo modo, immettendo altro denaro non esistente sperando che il cavallo già dopato faccia ancora qualche passo avanti, ma prima o poi crolla per eccesso di overdose
Il lavoro diventa un valore con la rivoluzione industriale, sia da parte marxista che liberista, per Marx l’essenza è il valore e per i liberisti è quel fattore che combinandosi con il capitale dà il plusvalore, ma prima il lavoro non era affatto un lavoro, era uno spiacevole sudore della fronte. Non era proprio lavoro, ma mestiere, che è una cosa diversa, comunque la gente lavorava per quanto gli bastava, il resto è vita! Noi oggi invece siamo tutti degli schiavi salariati costretti a lavorare, sotto un qualche padrone. Che in questo caso è l’imprenditore, che a sua volta è schiavo di certe dinamiche, ma l’essere usciti in questo modo clamoroso dalla autoproduzione e autoconsumo per creare questo mondo così complesso alla fine si è rivelata una scommessa perdente.
La ribellione di Grillo e compagni parte da alcune cose molto pratiche, ma al fondo va oltre il concetto di destra e sinistra e anche oltre il concetto appunto del lavoro come valore assoluto, pare che sia una frase che Grillo ha detto, dove metteva in dubbio il valore assoluto del lavoro.
La rendita è in se parassitaria, perché è denaro fatto su altro denaro, cioè è un nulla fatto sul nulla, che poi si materializza, nel senso che poi tu compri una cosa magari, ma di fondo nel complesso mortifica tutti gli altri. A lungo termine questo crea una bolla speculativa che prima o poi ti cade addosso, in modo drammatico, perché è quello che succede a tutti i sistemi totalitari e totalizzanti a un certo punto. L’impero romano aveva appena finito di conquistare tutto il mondo conosciuto che implose su se stesso, qui accadrà la stessa cosa, solo che l’impero romano era uno sputo nel vasto mondo di allora, qui il sistema si pone come planetario, quindi il crollo quando sarà planetario e provocherà sconvolgimenti straordinari. Noi ci stiamo, si dice, risollevando dalla crisi, ma in realtà l’occupazione diminuisce. E allora dove ci stiamo risollevando? Ci stiamo risollevando a danno delle persone, e del resto tutte le volte che in America una grande multinazionale dice che i suoi profitti sono aumentati. ma contemporaneamente hai il licenziamento di decine di migliaia di lavoratori, allora il meccanismo è fatto per noi uomini o per altro?
Il progresso si è trasformato in uno straordinario regresso dal punto di vista umano. L’unico Dio veramente condiviso è il Dio quattrino e tutti gli altri valori sono spariti, lo vediamo, chi ha vissuto come me da anni appunto in questo Paese sa che alcuni valori pre-politici, come onestà, lealtà, dignità, esistevano anche nel nostro sciagurato Paese, negli anni ‘50 era così, l’onestà era un valore per tutti, per la borghesia, se non altro perché dava credito, nel mondo contadino lo sanno tutti, se tu violavi la stretta di mano eri emarginato e anche per il mondo proletario.
Tutti questi valori il benessere li ha cancellati. Ecco perché ho scritto un pezzo che ha suscitato molte polemiche, dico a noi occorrerebbe una guerra, non quelle che facciamo sugli altri, ma quelle da subire, perché almeno ci ridarebbero una scala di valori, ciò che è importante e ciò che non è importante..
Bisognerebbe ritornare all’essenziale, senza esagerare. Queste teorie americane, del neo comunitarismo, del bioregionalismo, non è che pretendano che si ritorni all’età delle caverne e neanche al medioevo, però non abbiamo bisogno ancora di ingozzarci di beni.
Quando trionfa in questo modo il principio individualistico la comunità si spezza. Allora passate parola.

sabato 16 novembre 2013

Due giorni intensi che non potrò dimenticare di EUGENIO SCALFARI


La scissione del Pdl e la nascita di quella che noi chiamiamo la destra repubblicana rappresenta una novità di grandissimo rilievo nel panorama della politica non soltanto italiana ma anche europea.

Il governo Letta ne esce rafforzato perché scompare la presenza di Berlusconi e del berlusconismo dalla maggioranza. La prima conseguenza riguarda l'essenza stessa del governo Letta-Alfano. Finora infatti si trattava d'una situazione di necessità anche se, con l'ipocrisia che a volte è politicamente indispensabile, molti si ostinavano a chiamarlo di "grandi intese". Ma dopo la scissione Letta- Alfano consente anche quelle intese per realizzare le riforme e gli interventi che la crisi europea richiede.

I partiti che ora compongono la nuova maggioranza senza Berlusconi debbono tener conto di questa novità e comportarsi di conseguenza. Soprattutto il Pd che ora è la maggiore forza politica non solo alla Camera ma anche al Senato.

Non mi diffonderò più a lungo su questo tema del quale da tempo il nostro giornale auspicava la realizzazione. In un futuro ancora lontano anche in Italia una destra moderata e liberale disputerà il potere con una sinistra liberal-socialista; ma nel frattempo entrambe sono impegnate insieme per riformare lo Stato e l'assetto europeo all'insegna del lavoro e dello sviluppo economico.

* * *

Ora però il tema di questo articolo sarà un altro.

Accadono a volte per puro caso delle giornate particolarmente intense, punteggiate da incontri che ti emozionano e ti suscitano una scia di ricordi e di pensieri che dal passato si riflettono sul presente e disegnano un ancora incerto futuro.

A me è accaduto tra giovedì e venerdì, a Roma prima e poi a Milano.

A Roma giovedì mattina ero, insieme a molte altre persone, al Quirinale dove si è svolto l'incontro ufficiale, ma in parte anche riservato, tra il presidente Napolitano e papa Francesco. Non si è parlato certo di teologia, ma di politica, in pubblico e in privato.

Il Concordato - del quale Napolitano ha ricordato l'inserimento nella nostra Costituzione che fu opera dell'Assemblea Costituente con il voto favorevole della Dc e del Pci e quello contrario dei socialisti, del Partito d'azione e dei liberali - assicura la leale collaborazione tra lo Stato (laico per definizione) e la Chiesa cattolica nelle loro due distinte sfere della politica e della religione.

Questa situazione dura dal 1947 ma c'è da qualche mese un'importante novità: la Chiesa non prenderà più iniziative "parapolitiche" né tramite la Segreteria di Stato vaticana né attraverso la Conferenza episcopale italiana.

Di fatto questo non era mai accaduto per secoli e secoli, anche dopo la caduta del potere temporale verificatasi il 20 settembre del 1870 con la conquista di Roma da parte dei bersaglieri. Il potere temporale era rinato sotto altre spoglie.

Ora Francesco ha messo il fermo. La Chiesa predica il Vangelo ed esorta all'amore del prossimo; questo e solo questo è il suo compito, in Italia come nel resto del mondo. Un compito molto impegnativo che servirà (dovrebbe servire) anche alla politica per attuare con i propri strumenti la stessa visione: solidarietà, tutela dei diritti, rispetto dei doveri, libertà e giustizia.

La libertà riguarda anche la Chiesa di Francesco che ha teorizzato in varie occasioni la libertà di coscienza dei cristiani come di tutti gli altri uomini e la loro libera scelta tra quello che ciascuno di loro ritiene sia il Bene e quello che ritiene sia il Male. E portando avanti il Vaticano II ha deciso di dialogare con la cultura moderna.

Tutte queste questioni estremamente significative hanno echeggiato nelle sale del Quirinale e così si spiega l'amarissima constatazione di Napolitano che, di fronte a queste mete da perseguire, ha denunciato la situazione politica italiana, ammorbata da spirito di parte, interessi di gruppi e diffusione di veleni.

Ne abbiamo purtroppo conferma tutti i giorni e lì, nelle sale d'un palazzo che fu sede prima dei Papi, poi dei Re d'Italia e infine dei presidenti della Repubblica, erano presenti i vertici del governo, del Parlamento, dei partiti e delle gerarchie della Chiesa. Papa e Presidente hanno dato testimonianza del cammino ancora da compiere e della loro decisione di stimolarne con gli strumenti a loro disposizione il completamento.

Personalmente ne sono uscito assai confortato.

* * *

Milano è città assai diversa da Roma. Ci ho vissuto a lungo negli anni Cinquanta e poi l'ho sempre assiduamente frequentata. Ne fui consigliere comunale dal '60 al '63 e deputato dal '68 al '72; ma a Milano ci sono sempre state le redazioni dell'Espresso (dal 1955) e di Repubblica (dal 1976).

Venerdì scorso ho avuto modo d'incontrare nel corso di una cena in piedi una quantità di amici d'un tempo e di rievocare con loro la Milano di allora.

Qual era la Milano degli anni Cinquanta e Sessanta? Quella della ricostruzione e poi del "miracolo italiano" nelle sue classi dirigenti politiche ed economiche? Chi erano gli esponenti di quei partiti, di quei sindacati, di quel capitalismo e di quella classe operaia? C'erano parecchi dei loro figli a quella cena dell'altro ieri: la figlia di Bruno Visentini, il figlio di Carlo Draghi, il figlio di Raffaele Mattioli, Maurizio, il figlio di La Malfa, la figlia di Aldo Crespi, la moglie e i figli di Franco Cingano. Io conoscevo i padri, ma poi ho incontrato anche loro e ne sono diventato amico. Sono i vantaggi, per mia fortuna, d'una lunga vita.

Adesso (lo dico tra parentesi) mi preparo a ritirarmi su una panchina del Pincio come mi ha consigliato Beppe Grillo, ma la data non l'ho ancora decisa e Grillo dovrà pazientare ancora un poco.

I cardini del capitalismo milanese d'allora, che forniva al paese gran parte della sua visione degli interessi ma anche dei valori d'una borghesia agiata e al tempo stesso colta, erano una singolare mescolanza d'imprenditori, banchieri e uomini politici e se dovessi indicarne il personaggio più rappresentativo di quella mescolanza farei il nome di Mattioli.

Era abruzzese di nascita, aveva esordito come segretario di Toeplitz; aveva assistito alla crisi bancaria del '32 e poi aveva preso il posto di amministratore delegato. Era stato il rifondatore della Comit (si chiamava così la Banca commerciale italiana) che era diventata con lui la più importante in Italia e una delle più importanti in Europa.

Ma Mattioli finanziava anche l'editore Riccardi che pubblicava in una splendida collana i classici della letteratura italiana; finanziava anche l'Istituto di studi storici fondato a Napoli da Benedetto Croce, dal quale uscirono personaggi come Omodeo, Calogero, Salvatorelli, Romeo, De Capraris.

Era amico di Sraffa, emigrato durante il fascismo a Cambridge e depositario per molti anni delle carte di Gramsci e del suo testamento.

La sera, terminato il lavoro, Mattioli teneva salotto nel suo studio alla Comit in piazza della Scala. Durava un paio d'ore e gli ospiti abituali erano Adolfo Tino che era stato uno dei dirigenti del Partito d'azione durante la Resistenza e che fu poi presidente di Mediobanca; Franco Cingano che era uno dei massimi dirigenti della Comit di cui poi diventò amministratore delegato; Leo Valiani. Ugo La Malfa e Bruno Visentini frequentavano il salotto Mattioli quando venivano da Roma a Milano e altrettanto faceva Elena Croce, figlia di don Benedetto, ed Elio Vittorini.

Mattioli a quell'epoca somigliava a Maurice Chevalier, l'attore francese. O almeno così pareva a me e un giorno glielo dissi. Lui si schermì ma da allora mi volle più bene di prima.

Ma in quegli stessi anni il capitalismo milanese era anche rappresentato da Leopoldo Pirelli, dai giovani membri della famiglia Bassetti, da Vincenzo Sozzani e soprattutto da Cuccia (Mediobanca) e Rondelli (Credito italiano).

Ricordo ancora che uno degli obiettivi di La Malfa, anzi il senso stesso della sua vita, era quello di cambiare la sinistra e il capitalismo. Li conosceva bene tutti e due, anzi era con un piede in una e un piede nell'altro. Lo stesso, nel suo medesimo Partito repubblicano, era l'obiettivo di Visentini e tutti e due videro con speranza e poi con giubilo l'arrivo di Berlinguer alla guida del Partito comunista.

Questo era allora il capitalismo, soprattutto nella sua proiezione bancaria ma non soltanto, e la sinistra riformatrice che aveva Gobetti e i fratelli Rosselli nel suo Dna ma si era anche nutrita del pensiero liberale di Croce e di Luigi Einaudi. Non dimentichiamoci che quest'ultimo fu il primo governatore della Banca d'Italia dopo la caduta del fascismo, poi ministro del Bilancio con De Gasperi e infine primo presidente della Repubblica.

Napolitano, militante e poi dirigente del Pci, deriva direttamente dalla cultura di Croce e di Einaudi. Adesso queste cose sembrano assurdità, ma allora la realtà era quella e fu quella a fare dell'Italia una democrazia e del capitalismo un sistema che apprezzava e sosteneva lo Stato sociale, il welfare e l'economia sociale di mercato.

Poi dalla fine dei Sessanta in giù, la situazione è cambiata, la partitocrazia ha occupato le istituzioni, una piccola parte della sinistra ha inclinato verso il terrorismo, mentre un'altra parte si è corrotta insieme al ventre molle della Dc e il capitalismo ha cambiato natura. Invece di costruire imprese, le ha dissanguate. Il capitalismo reale ha ceduto il posto alla finanza speculativa. I legami tra affari e politica non furono più culturali ma corruttivi e intanto il popolo sovrano diventava "gente", folla emotiva, materiale umano disponibile per i demagoghi e gli avventurieri.

Questo è purtroppo il paese. L'incontro con i discendenti del periodo migliore del Novecento mi ha al tempo stesso dato conforto e profonda tristezza, sperando che i figli emulino i padri ma disperando che riescano a educare la gente e farle riscoprire il popolo sovrano che è tutt'altra cosa.

Vorrei tanto che i giovani s'innamorassero di quest'idea ma se continuano a preferire l'avventura e gli avventurieri, allora non saremo più una nave ma una zattera con quel che ne segue.

* * *

Poi, prima di ripartire per Roma, la sera sono andato con mia moglie allo spettacolo di Nicoletta Braschi al teatro Parenti. Il programma era un testo di Samuel Beckett intitolato "Giorni felici". Nicoletta è una grande attrice di teatro, il testo da lei recitato è terribile ma splendido nella sua terribilità. Poi abbiamo cenato insieme a lei e a suo marito Roberto Benigni, con Franco Marcoaldi e Nadia Fusini.

Una volta scrissi che Benigni, quando Napolitano se ne andrà anche lui sulla panchina del Pincio come auspica Grillo, potrebbe benissimo andare al Quirinale.

Naturalmente era una battuta ma la cultura di Roberto e di Nicoletta è tremendamente seria e quello che pensa e come ama il nostro paese Benigni è esattamente quello che penso ed amo anch'io. Non siamo molti ma, come dice Beckett, la vita è fatta di poche cose. L'importante sarebbe di saperle scegliere e spero che questo avvenga.

sabato 9 novembre 2013

Sei un insegnante della scuola secondaria di secondo grado? Hai tempo fino al 15 novembre 2013 per iscrivere la tua classe a #TwSposi, il progetto di lettura social dei Promessi Sposi su Twitter di twitteratura.it.



Alessandro Manzoni - I promessi sposi
#TwSposi è il nuovo progetto di riscrittura finalizzato alla lettura di un’opera letteraria su Twitter, promosso da twitteratura.it. L’esercizio riguarderà I promessi sposi di Alessandro Manzoni. La partecipazione è aperta a tutti gli utenti di Twitter, in Italia e all’estero.
L’iniziativa si rivolge tuttavia in modo specifico alle scuole superiori italiane, in quanto si propone come sperimentazione di una nuova forma di didattica dei testi letterari. #TwSposi è anche un modo per stimolare i giovani a un uso consapevole del web e delle reti sociali.


Come funziona: principi di base
Come nelle esperienze precedenti promosse da twitteratura.it, svolte su opere di Queneau, Pavese, Pasolini e Calvino – quest’ultima in corso – l’esercizio consiste nel leggere “insieme” il romanzo, in base a un calendario condiviso (un capitolo ogni tre giorni) e nel “riscriverlo” online su Twitter. I “riscrittori”, che chiameremo #Bravi, formano una comunità perché sono connessi attraverso la piattaforma. Ogni partecipante condivide la propria interpretazione in forma di tweet (uno o molti, a seconda dell’ispirazione), ovvero entro il limite dei 140 caratteri fissato da Twitter. La riscrittura può essere parafrasi, variazione, commento, libera interpretazione. Ne scaturisce un sistema vastissimo di micro-testi prodotti dalla comunità, in relazione con l’opera di partenza e fra di loro, perché ogni tweet si presta a sua volta a repliche, commenti, aggiunte. I tweet dovranno includere l’hashtag #TwSposi, seguito dall’indicazione del capitolo cui si riferiscono (ovvero: #TwSposi/01, #TwSposi/02, #TwSposi/03 ecc.). Durante la riscrittura questo corpus di micro-testi è oggetto di un processo editoriale di selezione e ordinamento: la comunità produce dei tweetbook (in formato PDF, HTML, ePub e Mobi/Kindle) contenenti i tweet migliori del progetto, capitolo per capitolo.
Per consentire la partecipazione delle scuole, abbiamo previsto la possibilità di operare secondo un calendario diverso da quello ufficiale. Pertanto mentre la riscrittura della comunità allargata avverrà dal 25 novembre 2013 al 18 marzo 2014, un capitolo ogni tre giorni, ciascuna scuola potrà impostare il lavoro in modo diverso (per esempio, riscrivendo un capitolo alla settimana o ogni dieci giorni, oppure limitandosi ad alcuni capitoli del romanzo, a scelta del docente).
Di seguito forniamo alcune informazioni di dettaglio per agevolare gli insegnanti. Per tutti gli altri utenti, valgono il calendario ufficiale e le regole già seguite con le precedenti riscritture, che riportiamo nel post #TwSposi: calendario e programma.


Fase 1: Preparazione
L’insegnante decide quali capitoli del romanzo leggere e riscrivere online con la classe, in funzione delle proprie esigenze didattiche e di programmazione. L’insegnante stabilisce anche il calendario in base al quale intende operare (un capitolo ogni tre giorni, ogni settimana, ogni dieci giorni), in modo che il lavoro di riscrittura de I promessi sposi su Twitter integri e approfondisca lo studio del romanzo svolto con metodologie più tradizionali, senza sostituirlo. Infine l’insegnante si assicura che in classe sia garantito l’accesso a Twitter. Per procedere con l’esercizio ogni studente si doterà di un account di Twitter, qualora non ne disponga già.


Fase 2: Lettura e riscrittura
In base a quanto pianificato in Fase 1, l’insegnante guida la classe nel lavoro di lettura e riscrittura su Twitter del testo di Manzoni. La riscrittura può essere parafrasi, interpretazione, traduzione o commento. Per ogni capitolo ciascuno studente è libero di proporre più riscritture, anche interagendo con le riscritture dei compagni di classe e con quelle di tutti gli altri utenti di Twitter che partecipano al progetto. Gli unici due vincoli sono il limite di 140 caratteri imposto dalla piattaforma e la necessità di marcare ogni tweet con l’hashtag #TwSposi, seguito dal numero del capitolo relativo, secondo la seguente sintassi: #TwSposi/01, #TwSposi/02, #TwSposi/03 e così via, fino a #TwSposi/38.


Fase 3: Il tweetbook
Mentre legge e riscrive il testo (fase 2), ogni classe realizzerà un tweetbook dedicato a #TwSposi, ovvero una collezione ragionata delle riscritture prodotte su Twitter a partire dalla lettura de I promessi sposi. A tale scopo sarà resa disponibile la piattaforma editoriale @HiTweetbook, che permette di raccogliere e impaginare in un unico libro digitale – in formato HTML, PDF, ePub e Mobi/Kindle – tutti i tweet prodotti nell’arco di una settimana da un determinato account o su un determinato argomento. Tutti i tweetbook del romanzo saranno collezionati su www.twitteratura.it.


Fase 4: Il follow-up
Dal 19 marzo al 31 maggio 2014: le scuole/classi aderenti consolidano l’esperienza e la analizzano criticamente attraverso tesi di gruppo ispirate all’esperienza di lettura e riscrittura social de I promessi sposi. Questa attività si accompagnerà, senza sostituirsi, alla lettura approfondita in classe del romanzo, che potrà evidentemente continuare ed essere ultimata secondo il programma scolastico anche dopo la riscrittura integrale del romanzo su Twitter da parte della comunità di twitteratura.it.
Al termine della riscrittura ogni classe o istituto potrà inoltre produrre un breve filmato conclusivo, in cui gli studenti racconteranno la loro esperienza e il loro approccio con il romanzo.


Sei un insegnante? Ti iscrivi così
Per iscrivere una classe o una scuola a #TwSposi l’insegnante deve inviare una mail a info@twitteratura.it entro venerdì 15 novembre 2013, indicando:
  • Nome e cognome dell’insegnante rappresentante
  • Nome e indirizzo  completo della scuola
  • Nome delle classe, o delle classi, che parteciperanno al gioco
  • Nome degli eventuali account Twitter già utilizzati dalla scuola
  • Indirizzo e-mail da utilizzare per tutte le comunicazioni fra la scuola e twitteratura.it
Ogni insegnante iscritto al gioco riceverà una mail di conferma. Tutti gli utenti di Twitter, invece, potranno partecipare alla rilettura e riscrittura social di #TwSposi – così come a tutti i progetti di twitteratura.it – senza necessità di iscriversi, secondo quanto specificato nel post #TwSposi: calendario e programma.



Tweetbook a Santo Stefano  Belbo
I tweetbook su Cesare Pavese realizzati dagli alunni delle scuole medie di Santo Stefano Belbo

venerdì 8 novembre 2013

Stato-mafia, il pentito Onorato: «Dalla Chiesa ammazzato su ordine di Craxi e Andreotti»






PALERMO - «I politici a Riina prima gli hanno fatto fare le cose, poi l'hanno mollato. Prima ci hanno fatto ammazzare Dalla Chiesa i signori Craxi e Andreotti che si sentivano il fiato addosso. Poi nel momento in cui l'opinione pubblica è scesa in piazza i politici si sono andati a nascondere. Per questo Riina ha ragione ad accusare lo Stato». Lo ha detto il pentito Francesco Onorato deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia.

Onorato nella sua deposizione aggiunge che Totò Riina voleva assassinare anche Andreotti e suo figlio. Se ne dovevano interessare i capimafia Graviano a Roma, «ma ci furono problemi perchè gli fu rinforzata la scorta».

L'attentato a Falcone. «Furono i politici a farci mettere in giro la voce che la bomba all'Addaura se la mise da solo il giudice Falcone. Lo volevano fare passare per un bugiardo, per indebolirlo. Era una pressione fatta dai politici a Cosa nostra». Lo ha detto il pentito di mafia Francesco Onorato, parlando del fallito attentato all'Addaura nella villa al mare del giudice Giovanni Falcone, 21 giugno 1989. «La misi io quella bomba - dice ancora Onorato - e quando abbiamo fatto l’attentato all’Addaura, abbiamo messo in giro la voce che la bomba se l’era messa Giovanni Falcone da solo, per farlo diventare un biguardo, una persona di poco conto. E Salvatore Biondino Biondino mi disse che questa era una pressione fatta dai politici. Si doveva vergonare Falcone che si metteva le bombe, in modo da farlo diventare debole». Poi ha ribadito che il boss Salvatore «Riina prima era contento di avere tutte queste amicizie di politici, dai Salvo, ai Gioia, e altri i politici, poi aveva trovato altri canali».

Finanziamento a Martelli. «Martelli l'abbiamo fatto diventare ministro. Abbiamo investito anche 200 milioni per finanziarlo e portarlo a diventare ministro della Giustizia perchè si diceva che avrebbe fatto uscire i mafiosi dal carcere». Lo ha sostenuto il pentito Francesco Onorato deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia. Dopo il maxi-processo Claudio Martelli era nella lista dei personaggi da eliminare con politici come Salvo Lima, Giulio Andreotti, Carlo Vizzini e Calogero Mannino e imprenditori come Ferruzzi e Gardini.

giovedì 7 novembre 2013

Atac, fondo nero per finanziare la politica? Marino: Prendere colpevoli e buttare chiave

Atac, fondo nero per finanziare la politica? Marino: Prendere colpevoli e buttare chiave
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Sul presunto sistema di contraffazione dei ticket. Fonti e documenti interni all'azienda indicano l'esistenza di una doppia contabilità. E' stata convocata la prima protesta contro l'Atac per domani, venerdì 8 novembre dalle 11 alle 14 in via Prenestina
"Lo dico con molta chiarezza: se le parole pubblicate oggi sul quotidiano 'La Repubblica' sono vere spero che se ci sono colpevoli, di qualsiasi partito e forza politica, vengano arrestati e buttata la chiave". Un commento breve ma incisivo, quello del sindaco di Roma, Ignazio Marino, sul presunto sistema di contraffazione dei biglietti Atac per destinare gli introiti alla politica.

L'INCHIESTA: TICKET CLONATI IN UN BUNKER SEGRETO

La storia comincia nella primavera di cinque anni fa: la più grande azienda di trasporto pubblico locale in Italia e una delle più grandi in Europa, l'Atac, è il perno di un Sistema che, da dieci anni almeno, finanzia la politica a Roma. Fonti e documenti interni all'Azienda indicano l'esistenza di una doppia contabilità cresciuta all'ombra di una truffa di cui Atac è oggettivamente vittima, ma, si scopre ora, anche architetto. La Procura di Roma e la Guardia di Finanza, da tempo, indagano sull'azienda e, nel marzo scorso, hanno notificato tre avvisi di garanzia per una vicenda nota come "la truffa dei biglietti clonati". Un flusso incontrollato di "titoli di viaggio" falsi, stampati da Atac e girati ai rivenditori ufficiali, consentirebbe infatti di accantonare fuori bilancio circa 70 milioni di euro all'anno. Di questa truffa la Finanza e la Procura avevano sin qui svelato l'esistenza, ma ignoti ne restavano gli artefici e i beneficiari.

Intanto dopo l'inchiesta di Repubblica è stata convocata la prima protesta contro l'Atac per domani, venerdì 8 novembre dalle 11 alle 14 in via Prenestina. Tutte le info sulla pagina fb "Roma non paga l'Atac" e su twitter con l'hashtag #scioperoatac.

Per rilanciare l'azienda capitolina dei trasporti, dopo anche la protesta degli autisti di ieri in Campidoglio, Marino ha osservato: "Atac è in un deficit drammatico: negli ultimi anni, invece di assumere personalità che col loro lavoro aiutano a far circolare il trasporto, ha assunto solo sul settore amministrativo con funzioni dirigenziali. In tutto ciò, ogni mattina metà delle vetture resta ferma per mancanza di risorse. Ho proposto una revisione degli accordi salariali, ad esempio, perché non è possibile che tutti i dirigenti abbiano stipendi che superino i 200mila euro: entro il 2014 vi sarà un taglio del 15% per avere una razionalizzaizone generale delle spese".

Intanto, nella serata di giovedì la Procura, che nei giorni scorsi ha chiesto 15 rinvii a giudizio a conclusione di un'inchiesta sulla falsificazione di biglietti Atac, ha aperto un nuovo fascicolo contro ignoti per clonazione di biglietti della stessa azienda. L'ipotesi di reato sono il falso e la truffa.

La prima indagine,

cominciata nel 2011 e in cui l'Atac è parte lesa, era stata affidata come la seconda al pubblico ministero Alberto Pioletti e si riferisce alla falsificazione dei ticket non stampati nei normali circuiti dell'azienda. Le indagini affidate alla Guardia di finanza avevano portato alla scoperta di un accordo illecito tra dipendenti infedeli e alcuni rivenditori facendo ipotizzare i reati di appropriazione indebita e falsificazione di biglietti di pubblico trasporto.

La Bce anticipa i tempi e taglia i tassi. Draghi: "Inflazione bassa a lungo"

L'Eurotower non interveniva dal maggio scorso ed è al quarto taglio del costo del denaro sotto la presidenza di Draghi. In seno al board della Bce vince la volontà di contenere il rischio deflazione e di contrastare il rafforzamento dell'euro

MILANO -  La Bce taglia il costo del denaro al minimo storico, intervenendo di nuovo dopo la variazione del 2 maggio scorso, quando i tassi furono portati allo 0,5%. Oggi la Banca centrale europea, guidata da Mario Draghi, ha nuovamente tagliato il tasso riferimento di un quarto di punto allo 0,25%. Il "refi" - il tasso di rifinanziamento pronti contro termine - aggiorna così il minimo storico, mentre il tasso sui depositi resta fermo a quota zero e il tasso marginale cala dello 0,25%, allo 0,75%. Immediata la reazione dei mercati finanziari, con i listini - incerti fino all'annuncio dell'Eurotower - che accelerano al rialzo, mentre lo spread tra Btp e Bund tedeschi si restringe e l'euro perde terreno nei confronti del dollaro toccando i minimi da 7 settimane: la moneta unica viene scambiata a quota 1,33 dollari.

Motivando la decisione del taglio, Draghi ha spiegato che le stime dell'Eurotower sono "per un prolungato periodo di bassa inflazione" e altrettanto "prolungato" sarà il periodo per il quale i tassi resteranno bassi, senza escludere il fatto che potrebbero scendere ancora. Proprio questo l'andamento dei prezzi, cresciuti solo dello 0,7% annuo nella rilevazione di ottobre, è ben lontano dal target che l'Eurotower deve mantenere (inflazione poco sotto il 2%). Ciò ha diffuso lo
spettro di una deflazione per il Vecchio Continente, che insieme alla stentata ripresa economica ha giocato un ruolo decisivo nella scelta della Bce.

A favore di un intervento ha giocato anche la quotazione della moneta unica, che recentemente si è rafforzata fino a quota 1,38 nei confronti del dollaro. Livelli che certo non favoriscono le aziende esportatrici, unico appiglio per la ripresa del Vecchio Continente di fronte a un mercato interno pesantemente indebolito. Contro il taglio del costo del denaro, per altro, si sono sempre schierati i tedeschi che temono un impatto negativo sui rendimenti dei loro fondi pensione. Non è un caso che l'associazione delle banche tedesche abbia commentato immediatamente la notizia sottolineando che "avrà un basso effetto sull'economia". Sotto la presidenza di Draghi, l'Eurotower è alla quarta sforbiciata dei tassi.

Come notano gli analisti di Ig Markets, commentando a caldo le decisioni di Francoforte, la fretta mostrata dalla Bce rispetto alla aspettative sposta ora l'attenzione sulla possibilità di nuove operazioni straordinarie, come le due aste di liquidità Ltro già fatte a cavallo tra 2011 e 2012: "Ci aspettiamo una nuova Ltro nel primo trimestre dell'anno, che in qualche modo possa avere un effetto più diretto sull'economia reale. Il taglio dei tassi infatti rimane per lo più un operazione 'civetta', con una forte valenze simbolica".

Trattativa, il j'accuse del pentito Onorato "Dalla Chiesa ucciso per ordine di Andreotti-Craxi"



La Procura chiama a testimoniare il collaboratore Francesco Onorato sull'omicidio dell'eurodeputato Dc Salvo Lima, che il killer racconta nei dettagli. Il suo atto d'accusa prima di deporre.  "Andreotti e il figlio dovevano essere uccisi a Roma dai fratelli Graviano". Non ancora arrivata alla corte d'assise la lettera del presidente della Repubblica a proposito della sua citazione al processo. Dal Quirinale si apprende che la lettera è stata spedita giovedì
Non voleva deporre Francesco Onorato, uno dei killer di Salvo Lima oggi collaboratore di giustizia. "Mi sento solo e abbandonato dallo Stato", questo il suo sfogo: "Dal 1996 depongo nei processi e non mi sono mai lamentato, ma adesso non ce la faccio più". Nonostante le sue resistenze, il pentito ha poi iniziato a rispondere alle domande del pm Nino Di Matteo.

"Facevo parte del gruppo di fuoco della commissione", ha spiegato Onorato. "Il gruppo di fuoco è come la nazionale, Totò Riina prendeva gli elementi più validi delle varie famiglie".

In apertura di udienza, il presidente della Corte ha informato che la lettera annunciata dal Quirinale nei giorni scorsi non è ancora arrivata al collegio.
Il giudice Alfredo Montalto si riserva "allorchè la lettera perverrà, di esaminarla e ove il contenuto sia rilevante per il processo metterla successivamente a disposizione delle parti per le eventuali rispettive valutazioni e determinazioni".

Nelle scorse settimane, la Corte di Palermo aveva autorizzato la citazione del presidente Napolitano al processo Trattativa, così come chiesto dai pubblici ministeri. Ma nei limiti posti dalla sentenza della Corte Costituzionale. Nella sua lettera, Napolitano ha espresso la sua disponibilità a deporre, anticipando però "i limiti delle conoscenze sull'argomento", ma anche alcune riserve sulla "costituzionalità dell'articolo 205 del codice di procedura penale", quello che prevede la deposizione del Capo dello Stato.

Fonti del Quirinale informano che la lettera indirizzata al presidente della Corte d'assise di Palermo è partita con una raccomandata giovedì, intorno alle 18.30, contemporaneamente al comunicato del Colle.

La deposizione di Onorato

L'ex killer di Cosa nostra racconta dell'avvio della strategia stragista disposta da Totò Riina dopo la sentenza del maxiprocesso: "Nella lista delle persone da uccidere, come seppi da Salvatore Biondino, l'ambasciatore della commissione, c'erano Lima, Andreotti e suo figlio, gli ex ministri Mannino, Vizzini, ma anche Martelli. Siamo stati noi a far eleggere Martelli come ministro della Giustizia: nel 1987 avevamo finanziato la sua campagna elettorale con 200 milioni di lire. E poi mantenne le promesse, perché fece dare gli arresti ospedalieri ad alcuni mafiosi".

Onorato è un fiume in piena: "Quando Riina accusa lo Stato nelle sue interviste ha ragione. Prima gli hanno fatto fare tanti omicidi, e adesso stanno pagando solo i mafiosi. Prenda il caso Dalla Chiesa: cosa interessava ai mafiosi ammazzarlo. Sono stati Craxi e Andreotti a chiederlo ai mafiosi, perché si sentivano il fiato sul collo. Poi, anche l'omicidio Mattarella, voluto da altri politici". Il collaboratore dice: "Non è mai esistita una trattativa fra mafia e Stato, c'è sempre stata una convivenza fra la mafia e lo Stato". E poi racconta nei dettagli l'omicidio Lima, di cui è stato l'esecutore materiale.

Nel 1992, nel mirino c'era anche  l'allora capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera: "Io stesso - dice Onorato - fui incaricato di pedinarlo all'hotel Perla del Golfo, dopo l'omicidio Lima".

Secondo il racconto di Onorato, Andreotti e suo figlio dovevano essere uccisi a Roma: "Se ne dovevano occupare i fratelli Graviano. Riina era davvero adirato dopo la sentenza del maxiprocesso: voleva morti tutti i politici".

Rispondendo alle domande dei pm Di Matteo, Teresi e Del Bene, Onorato ricorda anche una convocazione dei politici fatta da Cosa nostra: "Dopo il maxiprocesso, Riina convocò alla Perla del Golfo Lima, Mannino, Vizzini, i Salvo. Seppi da Biondino che Lima aveva dato buca".
 

'Ndrangheta, 47 arresti tra i 'colletti bianchi'. A Reggio Calabria il boss gestiva l'azienda sequestrata

Maxioperazione Gdf in 5 regioni: arrestate 47 persone, novanta indagati, sequestrati beni per quasi cento milioni di euro. Gran parte degli ordini di custodia cautelare nei confronti di imprenditori e professionisti
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REGGIO CALABRIA – Continuava a gestire direttamente l'azienda che lo Stato gli aveva confiscato da anni. Alla guida della Euroedil c'era ufficialmente la commercialista Francesca Marcello, di fatto però, tutti gli affari erano curati da Giuseppe Stefano Tito Liuzzo, mafioso del quartiere Arangea di Reggio Calabria. La Marcello firmava ogni cosa: acquisti, assunzioni, pratiche, bilanci. Ma firmava quello che Liuzzo e i suoi gli chiedevano di firmare, nulla di più nulla di meno. Una testa di legno, ripagata con lavori gratuiti in casa. Ora, quei favori, gli sono costati l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione e peculato.

E' uno spaccato inquietante quello svelato all'alba di oggi con l'operazione “Araba fenice” che ha portato all'arresto di 47 persone (29 in carcere gli altri ai domiciliari). La Dda di Reggio Calabria ha infatti messo a nudo i rapporti, le connivenze, le complicità di una vasta e varia area del mondo delle professioni. Avvocati, commercialisti, bancari e imprenditori collegati in maniera più o meno diretta con gli uomini dei clan reggini. Cosche che “nascondevano” i propri affari soprattutto nel mercato immobiliare. Secondo quanto spiegato dal Procuratore di Reggio, Federico Cafiero de Raho, “non si tratta semplicisticamente di 'ndrangheta”. Ma “della 'ndrangheta più pericolosa”, quella “in giacca e cravatta che sporca il mercato legale, grazie alle complicità che quello stesso mercato arrivano”.

Da una parte quindi le connivenze con professionisti - “consiglieri” e “contabili” - che spiegavano ai boss come e dove nascondere i patrimoni e le attività per evitare i sequestri dei beni da parte della magistratura. Dall'altra la gestione degli affari “interni” che le cosche si spartivano durante veri e propri summit a cui partecipavano le famiglie interessate. L'inchiesta, firmata dal Procuratore aggiunto Michele Prestipino (poi trasferitosi a Roma) e dal pm Giuseppe Lombardo, registra come per ogni palazzo, per ogni complesso di villette o edificio, le imprese edili avessero consolidato un metodo che accontentava tutti. Così c'erano le ditte delle “famiglie” che si occupavano degli sbancamenti di terreno, quelle a cui interessava la carpenteria e quelle a cui venivano affidati la posa degli ascensori oppure degli infissi. C'era lavoro per tutti, per i Lo Giudice, per i Condello, per i Ficara-Latella, per i Ficareddi, per i Rosmini-Serraino, per i Fontana-Saraceno, per i Nicolò Serraino. L'élite dei clan reggini.

Quando poi arrivava un controllo, c'era aria di indagini della magistratura o, semplicemente, qualcosa di strano veniva annusato da boss e picciotti partiva una sorta di controspionaggio. Secondo quanto scoperto dalla Comando della  Guardia di Finanza, guidato da Alessandro Barbera e dagli specialisti della Tributaria e del Gico, diretti da Domenico Napolitano e Giuseppe Abbruzzese, i clan erano in grado di ottenere informazioni riservate. La chiave d'accesso a certe stanze era garantita dall'avvocato Mario Giglio. Era lui che incontrava esponenti delle forze dell'ordine da cui “carpire” le notizie che interessavano ai boss. Padrini che hanno smesso di frequentare i quartieri malfamati o i paesini della provincia reggina, e che siedono sempre più spesso allo stesso tavolo con funzionari di banca o dello Stato. Per questo Cafiero de Raho parla di un'inchiesta che è “tra le più importanti fatte negli ultimi anni a Reggio Calabria”. Perchè “va a colpire il livello superiore della 'ndrangheta, e delinea lo scenario di un’organizzazione criminale che si è sempre più mimetizzata nel mondo dell’economia e delle professioni e si impone a danno dell’economia legale”. Tesi ribadita anche dal Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti colpito “dalla pervasività di un'organizzazione criminale che può contare sulla connivenza di pubblici ufficiali”. Questa insomma, è “la 'ndrangheta che conta”.

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