venerdì 27 settembre 2013

4 ottobre 2013 in piazza Carlo Alberto - Torino - Manifestazione: "Riprendiamoci l'Italia" Ricostruiamo il paese a misura d'Uomo.

Manifestazione "Riprendiamoci l'Italia"

sabato 21 settembre 2013

Papa: "O Dio o il denaro: non è comunismo, è vangelo puro"


Da Papa Francesco ancora un'invettiva forte contro brama di ricchezza, vanità e superbia, anche nella chiesa. Poi l'incontro con i ginecologi cattolici ai quali il pontefice dice: "Non perdete la vostra identità di servitori della vita".


CITTA' DEL VATICANO - "Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito, ha il volto del Signore, che prima ancora di nascere, e poi appena nato ha sperimentato il rifiuto del mondo. E ogni anziano, anche se infermo o alla fine dei suoi giorni, porta in sè il volto di Cristo. Non si possono scartare!". E' uno dei passaggi del discorso di Papa Francesco pronunciato oggi nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, dove ha ricevuto in udienza i ginecologi cattolici partecipanti all'incontro promosso dalla Federazione internazionale delle associazioni dei medici cattolici.

L'INCONTRO CON I GINECOLOGIO CATTOLICI - Papa Francesco ha messo in guarda i ginecologi della "diffusa mentalità dell'utile, la 'cultura dello scarto', che oggi schiavizza i cuori e le intelligenze di tanti, ha un altissimo costo: richiede di eliminare esseri umani, soprattutto se fisicamente o socialmente più deboli. La nostra risposta a questa mentalità è un 'sì' deciso e senza tentennamenti alla vita". Nella professione medica, ha aggiunto Bergoglio, si assiste a "una situazione paradossale", perché "mentre si attribuiscono alla persona nuovi diritti, a volte anche presunti, non sempre si tutela la vita come valore primario e diritto primordiale di ogni uomo. Il fine ultimo dell'agire medico rimane sempre la difesa e la promozione della vita"."Da una parte constatiamo - e ringraziamo Dio - per i progressi della medicina - ha detto Papa Francesco - grazie al lavoro di scienziati che, con passione e senza risparmio, si dedicano alla ricerca di nuove cure. Dall'altra, però, riscontriamo anche il pericolo che il medico smarrisca la propria identità di servitore della vita.

Il disorientamento culturale ha intaccato anche quello che sembrava un ambito inattaccabile: il vostro, la medicina". "Pur essendo per loro natura al servizio della vita - ha aggiunto - le professioni sanitarie sono indotte a volte a non rispettare la vita stessa". Papa Francesco ha quindi invitato i ginecologi ad essere "testimoni e diffusori di questa 'cultura della vita'. Il vostro essere cattolici - ha detto - comporta una maggiore responsabilità: anzitutto verso voi stessi, per l'impegno di coerenza con la vocazione cristiana; e poi verso la cultura contemporanea, per contribuire a riconoscere nella vita umana la dimensione trascendente, l'impronta dell'opera creatrice di Dio, fin dal primo istante del suo concepimento. È questo un impegno di nuova evangelizzazione che richiede spesso di andare controcorrente, pagando di persona". "Il Signore - ha proseguito - conta anche su di voi per diffondere il 'vangelo della vita'. In questa prospettiva i reparti ospedalieri di ginecologia sono luoghi privilegiati di testimonianza e di evangelizzazione".

giovedì 19 settembre 2013

Sedici minuti, sei bugie. Il Cavaliere che non si smentisce mai...



Il video-messaggio di Berlusconi non è solo un concentrato di dolori personali e di rancori collettivi. Come sempre, i suoi sedici minuti di "discorso alla nazione" racchiudono anche una micidiale sequenza di falsità. Dalla ricostruzione delle sue vicende politiche alla "narrazione" delle sue vicissitudini giudiziarie, la menzogna domina la scena e scandisce il plot della fiction berlusconiana. La menzogna, ancora una volta, è "instrumentum regni" del Cavaliere, utile a sovvertire il senso e a generare il consenso.

Nel triste, solitario e finale comizio televisivo, registrato come nel 1994 nella location di Villa San Martino, si possono contare almeno sei bugie, che vanno dal bilancio della crisi economica al rilancio della "moderata" Forza Italia. Omissioni della realtà, manomissioni della verità: vale la pena di ripercorrerle una per una, con una esegesi testuale e contro-fattuale, per capire ancora una volta i meccanismi che fanno funzionare la "macchina" del potere berlusconiano.

1) La crisi economica senza precedenti
Dice il Cavaliere agli italiani: "Siete certamente consapevoli che siamo precipitati in una crisi economica senza precedenti, in una depressione che uccide le aziende, che toglie lavoro ai giovani, che angoscia i genitori, che minaccia il nostro benessere... Il peso dello Stato, delle tasse, della spesa pubblica è eccessivo: occorre imboccare la strada maestra del liberalismo...".
Berlusconi parla come un passante, non come il presidente del Consiglio che solo dal 2001 ad oggi ha governato il Paese per ben otto anni. I risultati economici dei suoi due governi sono stati rovinosi. Lo dice Ignazio Visco, governatore della Banca d'Italia, nelle Considerazioni finali del maggio 2012 (il governo Berlusconi è caduto nel novembre 2011): "Le condizioni economiche si deteriorano da un anno. La produuzione industriale, che aveva a stento recuperato nel secondo trimestre dello scorso anno,... è da allora caduta del 5%. Il Pil è diminuito dalla scorsa estate per tre trimestri consecutivi, con una perdita complessiva di 1,5 punti percentuali. Il tasso di disoccupazione è salito, da luglio, da poco più dell'8 a quasi il 10%, fra i giovani con meno di 25 anni dal 28 al 36%". Quanto alle tasse, la pressione fiscale è sempre aumentata durante i governi del Cavaliere: dal 40,6 al 41,4% tra il 1994 e il 1996, dal 40,5 al 41,7% tra il 2001 e il 2006 e dal 42,7 al 44,8% tra il 2008 e il 2011.

2) La magistratura "contropotere irresponsabile"
L'attacco più veemente, come al solito, è contro le toghe: "Siamo diventati un Paese in cui non vi è più la certezza del diritto, siamo diventati una democrazia dimezzata alla mercè di una magistratura politicizzata che, unica tra le magistrature dei Paesi civili, gode di una totale irresponsabilità... si è trasformata da Ordine dello Stato in un Contropotere in grado di condizionare il potere legislativo e il potere esecutivo e si è data come missione quella di realizzare la via giudiziaria al socialismo".
A quali "fonti" abbia attinto il Cavaliere è un vero mistero. La Costituzione prevede che "i giudici rispondono soltanto alla legge" (articolo 101), che spettano al Csm "secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati (articolo 105), ma che "il ministro della Giustizia ha facoltà di promuovere l'azione disciplinare" e che il pm "gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario" (articolo 107). Com'è evidente, la magistratura è un "organo dello Stato", che gode di autonomia secondo il principio della separazione dei poteri, ma non della "totale irresponsabilità" lamentata dallo Statista di Arcore: risponde alle leggi, come avviene in tutti i "Paesi civili". Quanto al "Contropotere" che condiziona "il potere legislativo e il potere esecutivo", il Ventennio berlusconiano dimostra l'esatto contrario: con 18 leggi ad personam sulla giustizia su un totale di 37 fatte approvare a forza dal Parlamento, è stato Berlusconi a usare il potere esecutivo per imporre al legislativo un vincolo al giudiziario. Infine, la "missione di realizzare la via giudiziaria al socialismo" è un inedito assoluto del Cavaliere: qualche solerte azzeccagarbugli deve avergli spacciato come documento di Magistratura Democratica un vecchio dispaccio di Andrej Vishinsky, procuratore dell'Unione Sovietica degli anni '30.

3) La caduta del primo governo del 1994
Per sostenere la tesi del "complotto politico" e della "Guerra dei Vent'anni" dichiarata contro di lui dai giudici rossi, Berlusconi risale ai tempi di Mani Pulite, alla sua discesa in campo e al suo primo trionfo elettorale del '94: "Immediatamente, i Pm e i giudici legati alla sinistra e in particolare quelli di Md si scatenarono contro di me e mi inviarono un avviso di garanzia accusandomi di un reato da cui sarei stato assolto, con formula piena, sette anni dopo".

È la famosa leggenda dell'avviso di garanzia recapitato all'allora premier dal Pool di Milano durante il vertice Onu sulla criminalità a Napoli. Fatto vero, che si verifica il 22 novembre 1994. in relazione all'inchiesta sulle tangenti alla Guardia di Finanza. Ma il primo governo del Polo non cade affatto per questo: si sfarina a causa della lotta fratricida sulla riforma Dini, che porta la Lega di Bossi a decidere il ribaltone e Berlusconi ad aprire la crisi il 22 dicembre, con un durissimo discorso alla Camera in cui accusa l'ex alleato Senatur di "rapina elettorale". Quanto all'esito di quel processo sulle tangenti alla Guardia di Finanza, non è vero che il Cavaliere viene "assolto, con formula piena, sette anni dopo". Intanto in quel processo, nel 2001, viene condannato Salvatore Sciascia, dirigente Fininvest, che le tangenti le ha pagate. Berlusconi viene assolto su tre capi d'imputazione, ma per un quarto se la cava grazie all'"insufficienza probatoria". Non solo: nella sentenza di condanna definitiva per David Mills la Cassazione accerta che l'avvocato inglese fu corrotto "per testimoniare il falso nel processo sulle tangenti alla Gdf", favorendo così l'assoluzione dell'ex premier.

4) Cinquanta processi, quarantuno assoluzioni
È un classico della vulgata berlusconiana: "Mi sono stati rovesciati addosso 50 processi che hanno infangato la mia immagine... ed ora, dopo 41 processi che si sono conclusi, loro malgrado, senza alcuna condanna, si illudono di estromettermi dalla politica con una sentenza che è politica ed è mostruosa... sottraendomi da ultimo al mio giudice naturale, cioè a una delle sezioni ordinarie della Cassazione che mi avevano già assolto, la seconda e la terza, due volte...".

Il vero numero dei processi di Berlusconi non è 50, come dice ora, né meno che mai 106, come sparò nel novembre 2009. I suoi processi sono finora 18. Quelli conclusi sono 14 (di questi uno è una condanna definitiva per frode fiscale, quello sui diritti tv Mediaset, e solo un altro è un'assoluzione con formula piena; quanto al resto, 2 sono assoluzioni con "formula dubitativa", e 10 sono assoluzioni dovute all'effetto delle leggi ad personam, tra legge Cirielli sulla prescrizione e depenalizzazione del falso in bilancio). Quelli ancora in corso sono 4: due di questi si sono conclusi con una condanna in primo grado (nastri Unipol e Ruby 1) mentre per altri 2 il procedimento è solo agli inizi (Ruby 2 e compravendita dei senatori a Napoli). Quanto alla condanna definitiva sui diritti tv Mediaset, la sentenza non è politica, poiché si riferisce a fatti che precedono la discesa in campo, e non c'è stata alcuna sottrazione al "giudice naturale": l'assegnazione alla "Sezione feriale" della Cassazione, invece che alle sezioni seconda e terza, rientra nella normale applicazione della legge e della prassi. La procedura d'urgenza nella discussione delle cause è prevista dall'articolo 169 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale e dal "decreto organizzativo" varato dalla stessa Corte nel 2012.

5) L'evasione inesistente sui diritti tv
Sulla condanna nel processo Mediaset il Cavaliere si difende così: "Sono riusciti a condannarmi per una presunta ma inesistente evasione dello zero virgola... Io non ho commesso alcun reato, io sono assolutamente innocente...".

L'evasione fiscale, con la quale il gruppo Mediaset ha creato fondi neri necessari al pagamento di tangenti, non è affatto "inesistente". Secondo i giudici, che l'hanno confermato in tre gradi di giudizio, la frode fiscale effettivamente sanzionata si riferisce al biennio 2002/2003, ed ammonta a 7 milioni di euro. Ma quella originariamente contestata era pari a 370 milioni di dollari, perché risaliva indietro fino agli anni '80. Se questa imputazione è caduta è solo grazie, ancora una volta, alle leggi ad personam, che hanno fatto cadere le accuse di appropriazione indebita e di falso in bilancio. Ma la frode fiscale, ormai, è "res iudicata". Se questo è un innocente.

6) Forza Italia partito della tolleranza
Il mesto finale da Caimano attinge all'antico repertorio azzurro: "Forza Italia difende i valori della nostra tradizione cristiana, il valore della vita e della famiglia, della tolleranza verso tutti a cominciare dagli avversari...".

Sul "valore della famiglia" come caposaldo etico-morale dei valori forzisti, la sentenza di condanna in primo grado per prostituzione minorile patita dal Cavaliere per la vicenda di Ruby, la "nipote di Mubarak", sembra raccontare tutt'altra storia. E non si tratta di intrusione nella vita privata, ma del dovere di un uomo pubblico di rendere conto dei propri comportamenti, soprattutto quando questi rivelano l'abuso e la dismisura. Sulla "tolleranza verso gli avversari", a parte la sterminata letteratura sui "comunisti che coltivano l'odio e l'invidia sociale" e i numerosi "editti" emessi per cacciare dalla Rai i vari Biagi, Santoro e Luttazzi, fa fede una frase memorabile che proprio Berlusconi pronunciò il 6 aprile 2006, all'assemblea di Confcommercio: "Non credo che ci siano in giro così tanti coglioni che votano per la sinistra...". Questo perché, oggi come allora, Forza Italia è "il partito dei moderati". L'eterno ritorno. O, forse, l'eterno riposo.
m.giannini@repubblica.it

giovedì 12 settembre 2013

Ilva, annuncio shock dopo i maxi sequestri Riva acciaio: "Stop alle attività, 1.500 esuberi"

Si tratta degli addetti di 13 società dislocate su tutto il territorio nazionale che si occupano di trasformazione dell'acciaio e logistica. I sindacati: "Inaccettabile"

ll gruppo siderurgico Riva, proprietario dell'Ilva, annuncia 1500 esuberi nelle società riconducibili alla famiglia di imprenditori dopo il sequestro da 916 milioni di euro (tra cui 71 milioni di azioni Alitalia) effettuato nei giorni scorsi dalla Guardia di Finanza di Taranto su ordine del gip di Taranto, Patrizia Todisco. Da oggi cesseranno tutte le attività di Riva Acciaio, tra cui quelle produttive degli stabilimenti di Verona, Caronno Pertusella (Varese), Lesegno (Cuneo), Malegno, Sellero, Cerveno (Brescia) e Annone Brianza (Lecco) e di servizi e trasporti (Riva energia e Muzzana trasporti). Si tratta di personale dislocato su tutto il territorio nazionale che si occupa di trasformazione dell'acciaio e logistica. A Taranto, l'unica società interessata sarebbe 'Taranto Energia', che conta 114 dipendenti. L'azienda ha già convocato per domani i sindacati di categoria, pare prospettando problemi per il pagamento degli stipendi. La preoccupazione riguarda anche il fatto che da Taranto Energia dipende l'alimentazione del sito produttivo pugliese.

Tali attività, precisa a questo proprosito una nota dell'azienda, "non rientrano nel perimetro gestionale dell'Ilva e non hanno quindi alcun legame con le  vicende giudiziarie che hanno interessato lo stabilimento di Taranto". Dunque la fabbrica di Taranto, sotto la tutela della legge salva Ilva, non si tocca. Ma le conseguenze delle vicende giudiziarie del siderurgico oltrepassano i confini della Puglia. Durissime le reazioni. I sindacati parlano di decisione "inaccettabile". Protesta la politica, la Federacciai parla di "accanimento giudiziario senza precedenti, conseguenza del braccio di ferro tra governo e magistratura". E scatta immediata la reazione degli operai. Michele Emiliano, con un tweet, attacca: "Il ricatto di Ilva di chiudere tutti gli stabilimenti italiani per ripicca contro i magistrati dimostra che va nazionalizzata per disastro ambientale".

"La decisione - afferma la società in una nota - comunicata al custode dei beni cautelari, Mario Tagarelli, e illustrata alle rappresentanze sindacali dei diversi stabilimenti coinvolti, si è resa purtroppo necessaria poiché il provvedimento di sequestro preventivo penale del Gip di Taranto, datato 22 maggio e 17 luglio 2013 e comunicato il 9 settembre, in base al quale vengono sottratti a Riva Acciaio i cespiti aziendali, tra cui gli stabilimenti produttivi, e vengono sequestrati i saldi attivi di conto corrente e si attua di conseguenza il blocco delle attività bancarie, impedendo il normale ciclo di pagamenti aziendali, fa sì che non esistano più le condizioni operative ed economiche per la prosecuzione della normale attività".

LEGGI SEQUESTRO RECORD DA 8,1 MILIARDI
LEGGI Ilva, quel tesoro illegale sulla pelle della gente

Il riferimento è ai blitz della guardia di finanza scattati nelle aziende riconducibili al Gruppo Riva, partite con il maxi sequestro da 8,1 miliardi di euro disposto dal Gip lo scorso maggio: tesoro sottratto indebitamente - secondo l'accusa - alle attività di ambientalizzazione e messa in sicurezza degli impianti. Un primo sequestro era stato eseguito nei mesi scorsi, per una somma di circa 1,2, miliardi di euro. Un altro è stato disposto due giorni fa: pari a circa un miliardo di euro ha colpito le 13 società satellite, su cui oggi si abbatte la drammatica comunicazione dell'azienda.

"Riva Acciaio - si legge ancora nel comunicato dell'azienda - impugnerà naturalmente nelle sedi competenti il provvedimento di sequestro, già attuato nei confronti della controllante Riva Forni Elettrici e inopinatamente esteso al patrimonio dell'azienda, in lesione della sua autonomia giuridica, ma nel frattempo deve procedere alla sospensione delle attività e alla messa in sicurezza degli impianti cui seguirà, nei tempi e nei modi previsti dalla legge, la sospensione delle prestazioni lavorative del personale (circa 1.400 unità), a esclusione degli addetti alla messa in sicurezza, conservazione e guardiani degli stabilimenti e dei beni aziendali".

"Siamo di fronte a un ennesimo epilogo inaccettabile", dichiara il segretario nazionale della
Fim-Cisl, Marco Bentivogli. "Diffidiamo l'azienda ad avviare la messa libertà dei lavoratori e la invitiamo a ricorrere immediatamente all'utilizzo degli ammortizzatori sociali. Invitiamo altresì la procura in tempi rapidi, a scorporare dal provvedimento di confisca tutto ciò che impedisce la normale prosecuzione dell'attività produttiva e lavorativa. Non accetteremo questa ennesima beffa ai danni dei lavoratori che non hanno nessuna responsabilità".

"E' inconcepibile - dice Mario Ghini, segretario nazionale della Uilm - che si mini la ripresa e l'occupazione confiscando le strutture riconducibili al Gruppo. Siamo favorevoli affinché nessuna lentezza nelle procedure autorizzative possa bloccare i lavori previsti dal piano Ambiente per l'Ilva, ma non possiamo accettare che produzione ed occupabilità delle aziende collegate paghino in modo così pesante e costante".

Cinquant’anni dopo, 1.910 vite da ricordare. Insieme a voi


Il  9 ottobre 1963 metà di una montagna precipitò nel lago della grande diga del Vajont, al confine tra Veneto e Friuli. Un'enorme massa d'acqua superò la diga cancellando letteralmente tutti i paesi intorno a Longarone. Un evento che ha segnato la storia d'Italia, ma ancor più la storia delle popolazioni di quelle terre. A 50 anni di distanza, insieme a tutti voi, vogliamo ricordare le 1.910 persone che persero la vita. Ciascuna persona, una per una. Aiutateci.
di Antonio Ramenghi
Vai al memoriale delle vittime                            Come contribuire

PRIMA / IL PROGETTO

Vivere all’ombra dell’impero idroelettrico

Come si è arrivati alla tragica notte del 9 ottobre 1963? Gli abitanti di Longarone ricordano una vita serena, in un bel paese, che godeva di una prima industrializzazione. Per Erto e Casso, villaggi montani affacciati sul lago, quelli furono piuttosto anni di proteste contro chi rubava loro la terra per costruire la diga più alta del mondo. Perché “prima” è anche la storia di un monopolio idroelettrico, delle sue prepotenze e degli errori che non si vollero vedere.

DURANTE / LA TRAGEDIA

Quattro minuti di vento e di terrore

Erano le 22:39, il Monte Toc è improvvisamente crollato in un lago troppo pieno. Un'onda gigantesca si è abbattuta sul versante opposto investendo Erto e Casso. Un'altra ha superato la diga ed è piombata su Longarone, ingrossata di rocce, tronchi, resti di costruzioni. Per uccidere quasi duemila persone sono bastati quattro minuti. I superstiti ricordano il vento, il rumore, ma molti ancora oggi preferiscono non ricordare.

DOPO / LE CONSEGUENZE

Un deserto di fango, poi la rinascita tradita

Dopo l'onda, non c'è più nulla, la valle è completamente coperta di fango. Centinaia di soccorritori scavano in cerca di superstiti, che dovranno poi ricostruire la propria vita. E' l'inizio di un'altra tragedia: chi ha perso tutto viene di nuovo ferito. Da una ricostruzione irrispettosa, processi faticosi, scandali, anni di silenzio. Molti tuttavia restano e lottano per continuare a vivere dove son sempre vissuti. Sono loro ciò che resta del paese di un tempo.

mercoledì 11 settembre 2013

Papa Francesco scrive a Repubblica: "Dialogo aperto con i non credenti"




Il Pontefice risponde alle domande che gli aveva posto Scalfari su fede e laicità. "E' venuto il tempo di fare un tratto di strada insieme". "Dio perdona chi segue la propria coscienza"
di FRANCESCO

PREGIATISSIMO Dottor Scalfari, è con viva cordialità che, sia pure solo a grandi linee, vorrei cercare con questa mia di rispondere alla lettera che, dalle pagine di Repubblica, mi ha voluto indirizzare il 7 luglio con una serie di sue personali riflessioni, che poi ha arricchito sulle pagine dello stesso quotidiano il 7 agosto.

La ringrazio, innanzi tutto, per l'attenzione con cui ha voluto leggere l'Enciclica Lumen fidei. Essa, infatti, nell'intenzione del mio amato Predecessore, Benedetto XVI, che l'ha concepita e in larga misura redatta, e dal quale, con gratitudine, l'ho ereditata, è diretta non solo a confermare nella fede in Gesù Cristo coloro che in essa già si riconoscono, ma anche a suscitare un dialogo sincero e rigoroso con chi, come Lei, si definisce "un non credente da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth".
Mi pare dunque sia senz'altro positivo, non solo per noi singolarmente ma anche per la società in cui viviamo, soffermarci a dialogare su di una realtà così importante come la fede, che si richiama alla predicazione e alla figura di Gesù. Penso vi siano, in particolare, due circostanze che rendono oggi doveroso e prezioso questo dialogo.

Esso, del resto, costituisce, come è noto, uno degli obiettivi principali del Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII, e del ministero dei Papi che, ciascuno con la sua sensibilità e il suo apporto, da allora sino ad oggi hanno camminato nel solco tracciato dal Concilio. La prima circostanza - come si richiama nelle pagine iniziali dell'Enciclica - deriva dal fatto che, lungo i secoli della modernità, si è assistito a un paradosso: la fede cristiana, la cui novità e incidenza sulla vita dell'uomo sin dall'inizio sono state espresse proprio attraverso il simbolo della luce, è stata spesso bollata come il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione. Così tra la Chiesa e la cultura d'ispirazione cristiana, da una parte, e la cultura moderna d'impronta illuminista, dall'altra, si è giunti all'incomunicabilità. È venuto ormai il tempo, e il Vaticano II ne ha inaugurato appunto la stagione, di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro.

La seconda circostanza, per chi cerca di essere fedele al dono di seguire Gesù nella luce della fede, deriva dal fatto che questo dialogo non è un accessorio secondario dell'esistenza del credente: ne è invece un'espressione intima e indispensabile. Mi permetta di citarLe in proposito un'affermazione a mio avviso molto importante dell'Enciclica: poiché la verità testimoniata dalla fede è quella dell'amore - vi si sottolinea - "risulta chiaro che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l'altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall'irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti" (n. 34). È questo lo spirito che anima le parole che le scrivo.

La fede, per me, è nata dall'incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza. Ma al tempo stesso un incontro che è stato reso possibile dalla comunità di fede in cui ho vissuto e grazie a cui ho trovato l'accesso all'intelligenza della Sacra Scrittura, alla vita nuova che come acqua zampillante scaturisce da Gesù attraverso i Sacramenti, alla fraternità con tutti e al servizio dei poveri, immagine vera del Signore. Senza la Chiesa - mi creda - non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell'immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d'argilla della nostra umanità.

Ora, è appunto a partire di qui, da questa personale esperienza di fede vissuta nella Chiesa, che mi trovo a mio agio nell'ascoltare le sue domande e nel cercare, insieme con Lei, le strade lungo le quali possiamo, forse, cominciare a fare un tratto di cammino insieme.
Mi perdoni se non seguo passo passo le argomentazioni da Lei proposte nell'editoriale del 7 luglio. Mi sembra più fruttuoso - o se non altro mi è più congeniale - andare in certo modo al cuore delle sue considerazioni. Non entro neppure nella modalità espositiva seguita dall'Enciclica, in cui Lei ravvisa la mancanza di una sezione dedicata specificamente all'esperienza storica di Gesù di Nazareth.

Osservo soltanto, per cominciare, che un'analisi del genere non è secondaria. Si tratta infatti, seguendo del resto la logica che guida lo snodarsi dell'Enciclica, di fermare l'attenzione sul significato di ciò che Gesù ha detto e ha fatto e così, in definitiva, su ciò che Gesù è stato ed è per noi. Le Lettere di Paolo e il Vangelo di Giovanni, a cui si fa particolare riferimento nell'Enciclica, sono costruiti, infatti, sul solido fondamento del ministero messianico di Gesù di Nazareth giunto al suo culmine risolutivo nella pasqua di morte e risurrezione.

Dunque, occorre confrontarsi con Gesù, direi, nella concretezza e ruvidezza della sua vicenda, così come ci è narrata soprattutto dal più antico dei Vangeli, quello di Marco. Si costata allora che lo "scandalo" che la parola e la prassi di Gesù provocano attorno a lui derivano dalla sua straordinaria "autorità": una parola, questa, attestata fin dal Vangelo di Marco, ma che non è facile rendere bene in italiano. La parola greca è "exousia", che alla lettera rimanda a ciò che "proviene dall'essere" che si è. Non si tratta di qualcosa di esteriore o di forzato, dunque, ma di qualcosa che emana da dentro e che si impone da sé. Gesù in effetti colpisce, spiazza, innova a partire - egli stesso lo dice - dal suo rapporto con Dio, chiamato familiarmente Abbà, il quale gli consegna questa "autorità" perché egli la spenda a favore degli uomini.

Così Gesù predica "come uno che ha autorità", guarisce, chiama i discepoli a seguirlo, perdona... cose tutte che, nell'Antico Testamento, sono di Dio e soltanto di Dio. La domanda che più volte ritorna nel Vangelo di Marco: "Chi è costui che...?", e che riguarda l'identità di Gesù, nasce dalla constatazione di una autorità diversa da quella del mondo, un'autorità che non è finalizzata ad esercitare un potere sugli altri, ma a servirli, a dare loro libertà e pienezza di vita. E questo sino al punto di mettere in gioco la propria stessa vita, sino a sperimentare l'incomprensione, il tradimento, il rifiuto, sino a essere condannato a morte, sino a piombare nello stato di abbandono sulla croce. Ma Gesù resta fedele a Dio, sino alla fine.

Ed è proprio allora - come esclama il centurione romano ai piedi della croce, nel Vangelo di Marco - che Gesù si mostra, paradossalmente, come il Figlio di Dio! Figlio di un Dio che è amore e che vuole, con tutto se stesso, che l'uomo, ogni uomo, si scopra e viva anch'egli come suo vero figlio. Questo, per la fede cristiana, è certificato dal fatto che Gesù è risorto: non per riportare il trionfo su chi l'ha rifiutato, ma per attestare che l'amore di Dio è più forte della morte, il perdono di Dio è più forte di ogni peccato, e che vale la pena spendere la propria vita, sino in fondo, per testimoniare questo immenso dono.

La fede cristiana crede questo: che Gesù è il Figlio di Dio venuto a dare la sua vita per aprire a tutti la via dell'amore. Ha perciò ragione, egregio Dott. Scalfari, quando vede nell'incarnazione del Figlio di Dio il cardine della fede cristiana. Già Tertulliano scriveva "caro cardo salutis", la carne (di Cristo) è il cardine della salvezza. Perché l'incarnazione, cioè il fatto che il Figlio di Dio sia venuto nella nostra carne e abbia condiviso gioie e dolori, vittorie e sconfitte della nostra esistenza, sino al grido della croce, vivendo ogni cosa nell'amore e nella fedeltà all'Abbà, testimonia l'incredibile amore che Dio ha per ogni uomo, il valore inestimabile che gli riconosce. Ognuno di noi, per questo, è chiamato a far suo lo sguardo e la scelta di amore di Gesù, a entrare nel suo modo di essere, di pensare e di agire. Questa è la fede, con tutte le espressioni che sono descritte puntualmente nell'Enciclica.

Sempre nell'editoriale del 7 luglio, Lei mi chiede inoltre come capire l'originalità della fede cristiana in quanto essa fa perno appunto sull'incarnazione del Figlio di Dio, rispetto ad altre fedi che gravitano invece attorno alla trascendenza assoluta di Dio.
L'originalità, direi, sta proprio nel fatto che la fede ci fa partecipare, in Gesù, al rapporto che Egli ha con Dio che è Abbà e, in questa luce, al rapporto che Egli ha con tutti gli altri uomini, compresi i nemici, nel segno dell'amore. In altri termini, la figliolanza di Gesù, come ce la presenta la fede cristiana, non è rivelata per marcare una separazione insormontabile tra Gesù e tutti gli altri: ma per dirci che, in Lui, tutti siamo chiamati a essere figli dell'unico Padre e fratelli tra di noi. La singolarità di Gesù è per la comunicazione, non per l'esclusione.

Certo, da ciò consegue anche - e non è una piccola cosa - quella distinzione tra la sfera religiosa e la sfera politica che è sancita nel "dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare", affermata con nettezza da Gesù e su cui, faticosamente, si è costruita la storia dell'Occidente. La Chiesa, infatti, è chiamata a seminare il lievito e il sale del Vangelo, e cioè l'amore e la misericordia di Dio che raggiungono tutti gli uomini, additando la meta ultraterrena e definitiva del nostro destino, mentre alla società civile e politica tocca il compito arduo di articolare e incarnare nella giustizia e nella solidarietà, nel diritto e nella pace, una vita sempre più umana. Per chi vive la fede cristiana, ciò non significa fuga dal mondo o ricerca di qualsivoglia egemonia, ma servizio all'uomo, a tutto l'uomo e a tutti gli uomini, a partire dalle periferie della storia e tenendo desto il senso della speranza che spinge a operare il bene nonostante tutto e guardando sempre al di là.

Lei mi chiede anche, a conclusione del suo primo articolo, che cosa dire ai fratelli ebrei circa la promessa fatta loro da Dio: è essa del tutto andata a vuoto? È questo - mi creda - un interrogativo che ci interpella radicalmente, come cristiani, perché, con l'aiuto di Dio, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, abbiamo riscoperto che il popolo ebreo è tuttora, per noi, la radice santa da cui è germinato Gesù. Anch'io, nell'amicizia che ho coltivato lungo tutti questi anni con i fratelli ebrei, in Argentina, molte volte nella preghiera ho interrogato Dio, in modo particolare quando la mente andava al ricordo della terribile esperienza della Shoah. Quel che Le posso dire, con l'apostolo Paolo, è che mai è venuta meno la fedeltà di Dio all'alleanza stretta con Israele e che, attraverso le terribili prove di questi secoli, gli ebrei hanno conservato la loro fede in Dio. E di questo, a loro, non saremo mai sufficientemente grati, come Chiesa, ma anche come umanità. Essi poi, proprio perseverando nella fede nel Dio dell'alleanza, richiamano tutti, anche noi cristiani, al fatto che siamo sempre in attesa, come dei pellegrini, del ritorno del Signore e che dunque sempre dobbiamo essere aperti verso di Lui e mai arroccarci in ciò che abbiamo già raggiunto.

Vengo così alle tre domande che mi pone nell'articolo del 7 agosto. Mi pare che, nelle prime due, ciò che Le sta a cuore è capire l'atteggiamento della Chiesa verso chi non condivide la fede in Gesù. Innanzi tutto, mi chiede se il Dio dei cristiani perdona chi non crede e non cerca la fede. Premesso che - ed è la cosa fondamentale - la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell'obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c'è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire.

In secondo luogo, mi chiede se il pensiero secondo il quale non esiste alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta, ma solo una serie di verità relative e soggettive, sia un errore o un peccato. Per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità "assoluta", nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l'amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant'è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt'altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: "Io sono la via, la verità, la vita"? In altri termini, la verità essendo in definitiva tutt'uno con l'amore, richiede l'umiltà e l'apertura per essere cercata, accolta ed espressa. Dunque, bisogna intendersi bene sui termini e, forse, per uscire dalle strettoie di una contrapposizione... assoluta, reimpostare in profondità la questione. Penso che questo sia oggi assolutamente necessario per intavolare quel dialogo sereno e costruttivo che auspicavo all'inizio di questo mio dire.
Nell'ultima domanda mi chiede se, con la scomparsa dell'uomo sulla terra, scomparirà anche il pensiero capace di pensare Dio. Certo, la grandezza dell'uomo sta nel poter pensare Dio. E cioè nel poter vivere un rapporto consapevole e responsabile con Lui. Ma il rapporto è tra due realtà. Dio - questo è il mio pensiero e questa la mia esperienza, ma quanti, ieri e oggi, li condividono! - non è un'idea, sia pure altissima, frutto del pensiero dell'uomo. Dio è realtà con la "R" maiuscola. Gesù ce lo rivela - e vive il rapporto con Lui - come un Padre di bontà e misericordia infinita. Dio non dipende, dunque, dal nostro pensiero. Del resto, anche quando venisse a finire la vita dell'uomo sulla terra - e per la fede cristiana, in ogni caso, questo mondo così come lo conosciamo è destinato a venir meno - , l'uomo non terminerà di esistere e, in un modo che non sappiamo, anche l'universo creato con lui. La Scrittura parla di "cieli nuovi e terra nuova" e afferma che, alla fine, nel dove e nel quando che è al di là di noi, ma verso il quale, nella fede, tendiamo con desiderio e attesa, Dio sarà "tutto in tutti". Egregio Dott. Scalfari, concludo così queste mie riflessioni, suscitate da quanto ha voluto comunicarmi e chiedermi. Le accolga come la risposta tentativa e provvisoria, ma sincera e fiduciosa, all'invito che vi ho scorto di fare un tratto di strada insieme. La Chiesa, mi creda, nonostante tutte le lentezze, le infedeltà, gli errori e i peccati che può aver commesso e può ancora commettere in coloro che la compongono, non ha altro senso e fine se non quello di vivere e testimoniare Gesù: Lui che è stato mandato dall'Abbà "a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore" (Lc 4, 18-19).

Con fraterna vicinanza

Francesco
 

martedì 10 settembre 2013

LA VIA MAESTRA. Il documento in difesa della Costituzione firmato da Lorenza Carlassare, Don Luigi Ciotti, Maurizio Landini, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky


1. Di fronte alle miserie, alle ambizioni personali e alle rivalità di gruppi spacciate per affari di Stato, invitiamo i cittadini a non farsi distrarre. Li invitiamo a interrogarsi sui grandi problemi della nostra società e a riscoprire la politica e la sua bussola: la Costituzione. La dignità delle persone, la giustizia sociale e la solidarietà verso i deboli e gli emarginati, la legalità e l'abolizione dei privilegi, l'equità nella distribuzione dei pesi e dei sacrifici imposti dalla crisi economica, la speranza di libertà, lavoro e cultura per le giovani generazioni, la giustizia e la democrazia in Europa, la pace: questo sta nella Costituzione. La difesa della Costituzione non è uno stanco richiamo a un testo scritto tanti anni fa. Non è un assurdo atteggiamento conservatore, superato dai tempi. Non abbiamo forse, oggi più che mai, nella vita d'ogni giorno di tante persone, bisogno di dignità, legalità, giustizia, libertà? Non abbiamo bisogno di politica orientata alla Costituzione? Non abbiamo bisogno d'una profonda rigenerazione bonificante nel nome dei principi e della partecipazione democratica ch'essa sancisce?

Invece, si è fatta strada, non per caso e non innocentemente, l'idea che questa Costituzione sia superata; che essa impedisca l'ammodernamento del nostro Paese; che i diritti individuali e collettivi siano un freno allo sviluppo economico; che la solidarietà sia parola vuota; che i drammi e la disperazione di individui e famiglie siano un prezzo inevitabile da pagare; che la partecipazione politica e il Parlamento siano ostacoli; che il governo debba essere solo efficienza della politica economica al servizio degli investitori; che la vera costituzione sia, dunque, un'altra: sia il Diktat dei mercati al quale tutto il resto deve subordinarsi. In una parola: s'è fatta strada l'idea che la democrazia abbia fatto il suo tempo e che si sia ormai in un tempo post-democratico: il tempo  della sostituzione del governo della "tecnica" economico-finanziaria al governo della "politica" democratica. Così, si spiegano le "ineludibili riforme"  -  come sono state definite  - , ineludibili per passare da una costituzione all'altra.

La difesa della Costituzione è dunque innanzitutto la promozione di un'idea di società, divergente da quella di coloro che hanno operato finora tacitamente per svuotarla e, ora, operano per manometterla formalmente. È un impegno, al tempo stesso, culturale e politico che richiede sia messa in chiaro la natura della posta in gioco e che si riuniscano quante più forze è possibile raggiungere e mobilitare. Non è la difesa d'un passato che non può ritornare, ma un programma per un futuro da costruire in Italia e in Europa.

2. Eppure, per quanto si sia fatto per espungerla dal discorso politico ufficiale, nel quale la si evocava solo per la volontà di cambiarla, la Costituzione in questi anni è stata ben viva. Oggi, ci accorgiamo dell'attualità di quell'articolo 1 della Costituzione che pone il lavoro alla base, a fondamento della democrazia: un articolo a lungo svalutato o sbeffeggiato come espressione di vuota ideologia. Oggi, riscopriamo il valore dell'uguaglianza, come esigenza di giustizia e forza di coesione sociale, secondo la proclamazione dell'art. 3 della Costituzione: un articolo a lungo considerato un'anticaglia e sostituito dall'elogio della disuguaglianza e dell'illimitata competizione nella scala sociale. Oggi, la dignità della persona e l'inviolabilità dei suoi diritti fondamentali, proclamate dall'art. 2 della Costituzione, rappresentano la difesa contro la mercificazione della vita degli esseri umani, secondo le "naturali" leggi del mercato. Oggi, il dovere tributario e l'equità fiscale, secondo il criterio della progressività alla partecipazione alle spese pubbliche, proclamato dall'art. 53 della Costituzione, si dimostra essere un caposaldo essenziale d'ogni possibile legame di cittadinanza, dopo tanti anni di tolleranza, se non addirittura di giustificazione ed elogio, dell'evasione fiscale. Ecco, con qualche esempio, che cosa è l'idea di società giusta che la Costituzione ci indica.

Negli ultimi anni, la difesa di diritti essenziali, come quelli alla gestione dei beni comuni, alla garanzia dei diritti sindacali, alla protezione della maternità, all'autodeterminazione delle persone nei momenti critici dell'esistenza, è avvenuta in nome della Costituzione, più nelle aule dei tribunali che in quelle parlamentari; più nelle mobilitazioni popolari che nelle iniziative legislative e di governo. Anzi, possiamo costatare che la Costituzione, quanto più la si è ignorata in alto, tanto più è divenuta punto di riferimento di tante persone, movimenti, associazioni nella società civile. Tra i più giovani, i discorsi di politica suonano sempre più freddi; i discorsi di Costituzione, sempre più caldi, come bene sanno coloro che frequentano le aule scolastiche. Nel nome della Costituzione, ci si accorge che è possibile parlare e intendersi politicamente in un senso più ampio, più elevato e lungimirante di quanto non si faccia abitualmente nel linguaggio della politica d'ogni giorno.

In breve: mentre lo spazio pubblico ufficiale si perdeva in un gioco di potere sempre più insensato e si svuotava di senso costituzionale, ad esso è venuto affiancandosi uno spazio pubblico informale più largo, occupato da forze spontanee. Strade e piazze hanno offerto straordinarie opportunità d'incontro e di riconoscimento reciproco. Devono continuare ad esserlo, perché lì la novità politica ha assunto forza e capacità di comunicazione; lì si sono superati, per qualche momento, l'isolamento e la solitudine; lì si è immaginata una società diversa. Lì, la parola della Costituzione è risuonata del tutto naturalmente.

3. C'è dunque una grande forza politica e civile, latente nella nostra società. La sua caratteristica è stata, finora la sua dispersione in tanti rivoli e momenti che non ha consentito di farsi valere come avrebbe potuto, sulle politiche ufficiali. Si pone oggi con urgenza, tanto maggiore quanto più procede il tentativo di cambiare la Costituzione in senso meramente efficientistico-aziendalistico (il presidenzialismo è la punta dell'iceberg!), l'esigenza di raccogliere, coordinare e potenziare il bisogno e la volontà di Costituzione che sono diffusi, consapevolmente e, spesso, inconsapevolmente, nel nostro Paese, alle prese con la crisi politica ed economica e con la devastazione sociale che ne consegue.
Anche noi abbiamo le nostre "ineludibili riforme". Ma, sono quelle che servono per attuare la Costituzione, non per cambiarla.

domenica 8 settembre 2013

"RIPRENDIAMOCI L'ITALIA". Manifestazione il 4 ottobre 2013 in P.zza Carlo Alberto a Torino Inizio ore 18.00


Palazzo del Risorgimento... che ha ospitato il primo Parlamento Italiano in piazza Carlo Alberto a Torino.

1- Voglio un Paese Nuovo
Dove cessi di circolare il denaro e comincino a circolare uomini liberi dalla schiavitù del possedere

 2- Voglio un Paese Nuovo
Dove la scelta di una professione non sia motivata da vanto e di lucro ma sia una missione
  
3- Voglio un Paese Nuovo
Libero dalle maglie di una rete corrotta... e sia vigile una giustizia uguale per tutti
  
4- Voglio un Paese Nuovo
Dove “io non sono superiore a te” e tutti remino per portare la barca in salvo

                                           
5- Voglio un Paese Nuovo
Nei cui cieli sventolino le bandiere della pace e del Tricolore ai quattro venti
6- Voglio un Paese Nuovo
Dove contadino e professionista siano considerati con pari dignità

  
                                 7- Voglio un Paese Nuovo
Dove il più forte aiuti il più debole a sollevarsi

8- Voglio un Paese Nuovo

Dove si riconosca il merito e mai più i privilegi
                                  
                                   9- Voglio un Paese Nuovo
Dove il lusso non sia motivo di vanto ma di vergogna
                                 
                                  10- Voglio un Paese Nuovo
Dove le mafie non restino che un ricordo del passato
                              
                               11- Voglio un Paese Nuovo
Che non si finanzi col gioco d’azzardo e con le multe
                                 
                                12- Voglio un Paese Nuovo
Speciale che il mondo si sogni di visitare tra Arte, Cultura, Cibo e Natura

                                 13- Voglio un Paese Nuovo
Dove tu sia un essere speciale e il Paese si prenda cura di te



















 
 








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