Lotta all'evasione fiscale. Germania e Gran Bretagna hanno cercato di siglare accordi bilaterali con gli elvetici, ma l'Ue ha detto No. Il Commissario alla Fiscalità Algirdas Semeta: "Certe cose si fanno in maniera collegiale". Si chiama "Rubik" ed è un trucchetto per incassare soldi e mantenere il segreto bancario. Per l'Italia, "l'accordo va trovato a livello europeo"
Gran
Bretagna e Germania ci hanno provato ma Bruxelles ha detto No. Il
tentativo di siglare accordi bilaterali sul fisco con la Svizzera da
parte di Berlino e Londra si infrange contro il muro dell’Ue, che per
bocca del commissario alla Fiscalità Algirdas Semeta,
ha ricordato ai due Paesi che certe cose si fanno tutti insieme. E
l’Italia? Dopo le indiscrezioni dello scorso dicembre su un possibile
accordo Roma-Berna, la posizione del governo Monti sembra oggi opposta:
niente personalismi, l’accordo con la Svizzera deve essere europeo.
Germania e Gran Bretagna
avevano cercato di firmare alla chetichella un accordo con Berna che
avrebbe consentito loro di ricevere una somma forfettaria sui capitali
nazionali depositati nelle banche della Confederazione elvetica in
cambio del mantenimento del segreto bancario, tanto caro oltre confine.
Si chiama “Rubik”, come il dado colorato, ed è un trucchetto messo in atto per consentire alle banche di non aprire certi “armadi” e ai governi di battere cassa. Inutile dire che si tratta di una pratica ai limiti della legalità e fortemente osteggiata dall’Ue, che cerca di dare una risposta collegiale e trasparente al problema evasione fiscale.
Dura
la reazione del Commissario Semeta. “Abbiamo spiegato molto chiaramente
ai nostri colleghi tedeschi e britannici quello che deve essere
modificato per renderle compatibili i loro accordi con la legislazione
Ue”. Questo si legge nella lettera inviata alla presidenza di turno
dell’Ue danese, dove il Commissario ha scritto nero su bianco che “gli
accordi internazionali che gli Stati nazionali sono autorizzati a
stringere non possono includere aspetti che si sovrappongono alla
normativa comunitaria, in essere o in fieri”. Insomma, niente banche e
accordi fiscali tra pochi intimi.
Si perché l’Unione europea sta sudando sette camicie per riuscire a far passare la revisione della cosiddetta Savings Taxation Directive,
ma Austria e Lussemburgo si stanno mettendo di mezzo perché vogliono
che questo accordo includa anche la Svizzera e altri paradisi fiscali
come le isole Vergini. Inutile ribadire i loro interessi in gioco. Dati
della Commissione stimano infatti che l’evasione fiscali nell’Ue ammonti
a circa 1000 miliardi di euro l’anno, molti dei quali finiscono in
Svizzera e Liechtenstein, oppure negli altri nove paradisi individuati
dall’Ocse (Antigua e Barbuda, Barbados, Brunei, Botswana, Panama, Seychelles, Trinidad e Tobago, Uruguay e Vanuatu).
Ad assumere una posizione forte è già stata la Francia,
che nei mesi scorsi ha bocciato i precedenti tentativi della Germania
di stringere accordi bilaterali con la Svizzera. D’altronde si stima che
i patrimoni tedeschi non dichiarati in Svizzera
ammontino tra i 100 e i 180 miliardi di euro, tanto che Berlino potrebbe
incassare subito 10 miliardi di franchi svizzeri per la
regolarizzazione dei conti fino ad oggi non dichiarati. “Non vogliamo
nessun altro paradiso fiscale. Il messaggio è chiaro, e i Paesi che
continueranno a farlo verranno ostacolati dalla comunità
internazionale”, aveva dichiarato dopo il G20 di Cannes dello scorso
novembre Nicolas Sarkozy.
E l’Italia? Dopo la firma del fiscal compact
da parte del Consiglio europeo lo scorso 1 marzo, Monti ha fatto capire
che un accordo comunitario con la Svizzera fosse una parte fondamentale
di quel “Economic compact” che secondo lui deve adesso seguire il
risanamento dei bilanci per rilanciare crescita e sviluppo in Europa.
Insomma viene abbandonata per sempre l’idea di un accordo con i vicini svizzeri
sulla falsa riga dei tedeschi. “Stiamo aspettando l’esame da parte
della Commissione europea dei casi di Stati membri che hanno fatto
accordi e stiamo fortemente assecondando l’azione della Commissione
europea per un’impostazione maggiormente comunitaria. Al momento non
abbiamo intenzioni bilaterali”, ha dichiarato Monti dopo la firma del
fiscal compact. La parola torna a Bruxelles, e in questo caso ai 27
ministri delle finanze che si riuniranno il 13 gennaio in occasione del
prossimo Ecofin. Ostacolo numero uno è l’opposizione di Austria e
Lussemburgo.
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