lunedì 25 novembre 2013

Berlusconi tenta l'ultima difesa: "Ho sette nuove testimonianze per rivedere il processo". E scrive ai senatori Pd e M5S



Il Cavaliere torna all'attacco e in una conferenza stampa illustra i documenti Usa che secondo lui lo scagionerebbero. "Non prevedo scappatoie straniere". Lettera ai due partiti: "Rinvio del voto o ve ne pentirete coi vostri figli". Zanda: "Confermato per il 27". Per il Pd l'ex premier "è un pericolo per le istituzioni"
Berlusconi tenta l'ultima difesa: "Ho sette nuove testimonianze per rivedere il processo". E scrive ai senatori Pd e M5S
ROMA - Nella settimana decisiva per la sua decadenza da senatore e dopo lo scontro durissimo con il Colle, Silvio Berlusconi prova l'ultima, affannosa difesa. E in un'affollata conferenza stampa nella nuova sede di Forza Italia illustra le famose 'carte americane' che secondo lui dovrebbero cambiare la storia del processo Mediaset per cui è stato condannato in via definitiva a 4 anni per frode fiscale. I documenti consistono in un'intercettazione e un accertamento del fisco Usa sull'ex socio occulto Frank Agrama. "Contiamo di avere 12 testimonianze - spiega Berlusconi ai giornalisti - di cui più della metà, credo 7, completamente nuove" per avanzare la richiesta di revisione del processo presso la Corte d'appello di Brescia.

La lettera-appello a Pd e M5S. Berlusconi torna poi a lamentarsi per le "violazioni di ogni principio legale" che hanno permesso "che sia stato fissato per mercoledì il voto in aula" sulla sua decadenza. E legge il testo di una lettera-appello rivolta ai senatori del Pd e del M5S, chiedendo loro di rimandare il voto: "Noi siamo avversari politici - è l'incipit - ma non deve venire meno il rispetto reciproco. Prima di prendere una decisione valutate attentamente le nuove prove, testimonianze e documenti che sono arrivati dopo la sentenza della Cassazione. Stiamo aspettando altre carte da Hong Kong, dalla Svizzera e dall'Irlanda che smontano completamente la tesi accusatoria costruita nei miei confronti".


Non scappo via dall'Italia. "Non prevedo scappatoie straniere", afferma poi il Cavaliere rispondendo a chi gli chiede se accetterebbe un passaporto diplomatico da Vladimir Putin per lasciare l'Italia. "Nemmeno per sogno - replica - Non ho mai avuto proposte, né le ho cercate, da questo tipo né dalla Russia né dagli altri Paesi. Non cerchiamo scappatoie. Ho sempre dimostrato un grande amore per il mio Paese, ho qui tutto".

Nessun patto con Napolitano. Il Cavaliere assicura poi che non c'è stato nessun patto con il Capo dello Stato per ottenere un salvacondotto: "Non solo non c'è stato nessun patto, soprattutto rispetto a un salvacondotto, ma non c'è stata contrattazione alcuna". E a chi gli chiede se rivoterebbe Napolitano, risponde: "Non faccio nessuna valutazione".

L'attacco ai giudici. Non poteva mancare un nuovo affondo contro la magistratura e, in particolare, contro i giudici di Magistratura democratica: "Posso ben dire - afferma Berlusconi -  che nessun giudice può cambiare sede, ruolo e fare carriera se non c'è un accordo con Magistratura Democratica". Per il Cavaliere, ormai, "la magistratura è un contropotere che va sopra il potere legislativo ed esecutivo". E torna sulla necessità di una riforma della giustizia per garantire una piena democrazia: "La revisione del sistema giudiziario è una necessità per garantire la libertà dei cittadini e la democrazia, che oggi è dimezzata".

Io, cittadino esemplare. Così si definisce il leader di Forza Italia chiudendo la conferenza stampa: "Andrò fino in fondo con la revisione del processo e con il ricorso alla corte europea dei diritti dell'uomo: devo uscire da questo attacco per quello che sono, un cittadino esemplare che ha sempre pagato le tasse e ne ha pagate tante dando un contributo positivo ai suoi cittadini e al suo paese".

Zanda: confermato voto su decadenza il 27. Durissime le reazioni, del Pd e anche del M5S. Intanto, il capogruppo del Pd a Palazzo Madama, Luigi Zanda, ha riferito che il presidente del Senato Pietro Grasso ha confermato il voto del senato sulla decadenza per dopodomani, mercoledì 27 novembre. Mentre manca l'intesa l'intesa sul calendario dei lavori per quanto riguarda la legge di Stabilità. Per mettere a punto il nuovo ordine dei lavori domani mattina sarà convocata una nuova conferenza dei capigruppo del Senato. Le due questioni - stabilità e decadenza - sono interconnesse: se non si trova l'accordo sulla stabilità il voto sulla decadenza potrebbe essere compromesso. E a chi gli chiede se Forza italia voterà contro la fiducia sulla legge di stabilità, Berlusconi risponde: "Alle 19 abbiamo un incontro tra i gruppi parlamentari di Forza Italia per decidere che cosa fare".

"E' golpe". Questa mattina Berlusconi era tornato all'attacco dai microfoni di "Prima di tutto" su Radio 1 con un linguaggio durissimo. "Io non vedo come si possa chiamare in modo diverso da colpo di Stato  - ha detto il Cavaliere - quello che sta succedendo ad opera della sinistra in Parlamento. Partendo da una sentenza politica, che ho definito criminale, e che punta a sottrarre al centro-destra il leader capace di vincere le elezioni, spianando così la strada alla conquista definitiva del potere da parte loro. Quindi io credo che la realtà valga su tutto, prevalga su qualunque opinione ed espressione".

Il Pd: deriva eversiva. "Oramai Berlusconi è andato oltre l'ammissibile: la sua è una deriva eversiva e costituisce un pericolo per le istituzioni", ha commentato a caldo Danilo Leva, responsabile giustizia del Pd, che aggiunge: "Ci rispecchiamo totalmente nelle parole del Capo dello stato, nel suo invito fermo e sicuro sulla necessità del rispetto della legalità da parte di ciascuno cittadino, quale bene supremo per la tenuta del nostro stato di diritto".

Critiche anche da Ncd. Alfano ha annunciato ieri che il suo partito non parteciperà il 27 alla manifestazione di Forza Italia davanti a Palazzo Grazioli contro la decadenza. E oggi Roberto Formigoni, senatore di Ncd, ha criticato le espressioni del Cavaliere che "non sono condivisibili, solo comprensibili alla luce di una giustificata esasperazione di Berlusconi che si sente colpito da profonda ingiustizia e ha tutti i motivi per rivendicare la sua innocenza". Il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi, anche lui passato a Ncd, precisa: "Noi siamo per la grazia, ma evidentemente certi toni, certi insulti dell'ultimo mese-mese e mezzo - e non è un caso che abbiamo fatto la nostra scelta - non aiutano".

sabato 23 novembre 2013

Processo Trattativa, Riina: “Questi cornuti portano pure Napolitano”

Nel carcere di Opera il Capo dei capi, intercettato, parla con un boss della Sacra corona unita e tocca vari argomenti. Minacce contro i pm di Palermo: "Gli macinerei le ossa". E torna sugli attentati a Rocco Chinnici e a Giovanni Falcone: "Gli ho fatto fare la fine del tonno”

Processo Trattativa, Riina: “Questi cornuti portano pure Napolitano”
Questi cornuti… (i pm di Palermo, ndr), se fossi fuori gli macinerei le ossa”. Totò Riina si guarda intorno, volta le spalle ai sorveglianti, si piega verso il suo interlocutore, poi bisbiglia: “Sono stati capaci di portarsi pure Napolitano”. Il boss è seduto su una panchina: accanto a lui c’è Alberto Lorusso, personaggio di spicco della Sacra corona unita, la mafia pugliese, un uomo rispettoso che sa ascoltare. Lorusso tace, Riina parla: “Berlusconi? A quello carcere non gliene fanno fare… Ci vuole solo che gli concedano la grazia”. E poi: “Io sono sempre stato un potentoso… e se fossi libero, saprei cosa fare, non perderei un minuto”.
L’immagine catturata dalla micro-telecamera nascosta è nitida e la voce registrata dalle cimici piazzate nel cortile del carcere di Opera arriva agli uomini della Dia forte e chiara: dopo vent’anni trascorsi in carcere al 41-bis, nel più assoluto silenzio, il capo dei capi non si trattiene più. La sua camera di decompressione, il suo sfogatoio, è l’ora d’aria: ricorda, commenta, si sfoga, chiacchiera a ruota libera di Berlusconi, cita Napolitano, critica il suo complice Bernardo Provenzano, giudicandolo poco coraggioso, e per la prima volta rivendica la piena paternità delle stragi di Capaci e via D’Amelio, gonfiandosi d’orgoglio: “Quello venne per i tonni – dice alludendo a Falcone che nel maggio del ’92 era stato invitato a Favignana ad assistere alla mattanza – e gli ho fatto fare la fine del tonno”.
“Che bella la mia stagione delle stragi”
Riina “il purosangue” (così lo ha definito il pentito Nino Giuffrè, alludendo alla sua fama di irriducibile all’interno di Cosa Nostra) perde l’autocontrollo che sfoggia nelle aule giudiziarie e appare come un fiume in piena, vomitando tutta la sua rabbia per il processo sulla trattativa Stato-mafia. Dice: “Mi fa impazzire”. E ancora: “Questi pm mi fanno impazzire”. Ce l’ha in particolare con Nino Di Matteo: “Ma che vuole questo? Perché mi guarda? A questo devo fargli fare la fine degli altri”. Di Matteo è il suo chiodo fisso. È uno che “fa parlare i pentiti, gli tira le cose di bocca”, uno “troppo accanito”.
È una svolta epocale. Per la prima volta, i pm di Palermo e gli investigatori della Dia ascoltano in presa diretta la storia di un ventennio di stragi attraverso i ricordi dello stratega mafioso più sfrenato. Quando parla di Rocco Chinnici, il magistrato assassinato con un’autobomba in via Pipitone Federico nel luglio dell’83, Riina è compiaciuto: “A quello l’ho fatto volare in aria, saltò in aria e poi tornò per terra, fece un volo”. Quando parla di Falcone e Borsellino, quasi si commuove al pensiero di quanto fosse gloriosa quella stagione di sangue. “Io sono sempre stato un potentoso, deciso, non ho mai perso tempo”. Il pugliese Lorusso, a questo punto, lo lusinga: “Che bella stagione quella, peccato che sia finita”. E Riina: “Se fossi fuori, non starei a perdere tempo, a questi cornuti gli macinerei le ossa”.
“Dovevamo continuare con le bombe in Sicilia”
I magistrati della procura palermitana hanno raccolto centinaia di pagine di trascrizioni, e altre decine di ore di conversazioni non sono state ancora trascritte. Riina si descrive come il capo assoluto dell’organizzazione che ha sfidato lo Stato. Con il rammarico, persino, di non aver potuto proseguire i piani sanguinari, stoppati il 15 gennaio ’93 dall’arresto sulla Circonvallazione di Palermo. E se avesse potuto, avrebbe continuato a colpire in Sicilia: “Io avrei continuato a fare stragi in Sicilia, piuttosto che queste cose in Continente, cose ambigue… dovevamo continuare qui”. Lo stragismo, insomma, è il suo pallino. E Riina, depositario di tutti i segreti, parlando con Lorusso, fa capire che ci sono alcuni “misteri fittissimi”, che riguardano soprattutto la strage di Capaci: “Queste cose i picciotti di Cosa Nostra non dovranno saperle mai”. Alcuni di questi misteri Riina dice di averli condivisi solo con un altro uomo d’onore, il boss poi pentito Totò Cancemi, il capo-mandamento di Porta Nuova che prese il posto di Pippo Calò, il “cassiere” della mafia, morto nel 2011.
L’assenso dal 41-bis per un attentato a Di Matteo
Sono intercettazioni che per la prima volta hanno monitorato tutte le esternazioni del boss in ogni momento della sua vita carceraria: dai colloqui con i familiari, dove Riina è sempre perfettamente vigile e auto-controllato, alla cosiddetta socialità, che si svolge in un ambiente interno del carcere, dove resta prudente, e si rivolge a Lorusso solo per parlare di calcio e di argomenti “neutri”. Ma quando arriva l’ora d’aria, il momento di maggiore libertà di un detenuto al 41-bis, che si svolge all’aperto e regala l’illusione di essere irraggiungibile da occhi e orecchie indiscreti, si assiste – secondo gli analisti dell’intelligence antimafia – all’incredibile metamorfosi del capo dei capi. Riina esce sul cortile a fianco del pugliese, si allontana con lui fino a spostarsi nell’angolo più distante dal portico dove stazionano i sorveglianti, si siede sulla panchina, si guarda intorno e alle spalle, e poi abbassando la voce comincia a discutere liberamente, elaborando le sue analisi, commentando le notizie apprese in tv, o semplicemente abbandonandosi ai ricordi. La sua voce si abbassa fino al bisbiglio, ma le cimici piazzate con grande perizia dagli uomini della Dia captano, sullo sfondo del cinguettio degli uccelli, ogni sussurro del boss. L’idea di intercettare Riina, nella primavera scorsa, viene dall’anonimo che con una lettera avverte la Procura di Palermo che Riina dal carcere, attraverso il figlio, ha dato l’assenso a un attentato contro il pm Nino Di Matteo: il Corvo, secondo gli inquirenti che ne hanno tracciato il profilo psicologico, è probabilmente un uomo delle istituzioni. A giugno, in coincidenza con l’avvio del processo sulla trattativa, i pm chiedono di piazzare microspie e telecamere nel carcere di Opera per scoprire se Riina reagisce con qualche commento interessante. La risposta è superiore a ogni aspettativa.
Una chiamata alle armi per i picciotti?
Sono messaggi o è la voce della rabbia covata in carcere per venti anni? L’analisi in queste ore ruota attorno a questa domanda: le conversazioni intercettate – fanno notare gli investigatori – sembrano rivelare per la prima volta i lati più oscuri della personalità del capo della mafia stragista. Per questo l’improvvisa loquacità del superboss in questo momento per gli 007 antimafia è un’autentica sciarada. Perché Riina parla tanto? Facile leggere le esternazioni del super-boss come una “chiamata alle armi”. La prima, e la più immediata lettura è quella di un messaggio rivolto alla manovalanza mafiosa in libertà, perché si attivi e metta in pratica le minacce a Di Matteo e ai pm della trattativa. Una lettura corretta dal procuratore Francesco Messineo secondo cui le dichiarazioni bellicose di Riina potrebbero fornire copertura a eventuali entità esterne a Cosa Nostra, fornendo – così ha detto Messineo – “l’alibi perfetto” per una nuova azione violenta a Palermo. Ma perché, si domandano gli inquirenti, il boss dovrebbe prestarsi a una simile messinscena? È possibile – è un’altra tesi diffusa tra chi indaga – che Riina parli spontaneamente, senza sapere di essere intercettato. E che le sue dichiarazioni siano assolutamente genuine. Ma perché il processo sulla trattativa, che fino a questo momento non ha fatto emergere nulla di particolare nei suoi confronti, lo fa “impazzire”?
Il ruolo del mafioso nella Trattativa Stato-mafia
Una risposta possibile riguarda gli sviluppi futuri dell’indagine: secondo chi indaga, Riina forse teme che prima o poi dall’aula bunker possa venire fuori qualcosa che provi pienamente la sua collaborazione con parti deviate dello Stato, che avrebbero usato lui e Cosa Nostra per portare avanti la strategia della tensione; e che alla fine avrebbero distrutto l’organizzazione mafiosa, uscita devastata dalla stagione delle stragi. Oggi, insomma, il boss, potrebbe avere paura: il processo sulla trattativa, fanno notare gli inquirenti, è per lui come “una spada di Damocle”. Perché se alla fine il processo proverà che Riina ha trattato, che si è fatto utilizzare, che ha esposto i suoi soldati alla rovina, la sua fama di “purosangue” sarebbe definitivamente oscurata. Con una grave perdita di prestigio tra gli affiliati di Cosa Nostra.
Di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza
Da Il Fatto Quotidiano del 23 novembre 2013

venerdì 8 novembre 2013

Stato-mafia, il pentito Onorato: «Dalla Chiesa ammazzato su ordine di Craxi e Andreotti»






PALERMO - «I politici a Riina prima gli hanno fatto fare le cose, poi l'hanno mollato. Prima ci hanno fatto ammazzare Dalla Chiesa i signori Craxi e Andreotti che si sentivano il fiato addosso. Poi nel momento in cui l'opinione pubblica è scesa in piazza i politici si sono andati a nascondere. Per questo Riina ha ragione ad accusare lo Stato». Lo ha detto il pentito Francesco Onorato deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia.

Onorato nella sua deposizione aggiunge che Totò Riina voleva assassinare anche Andreotti e suo figlio. Se ne dovevano interessare i capimafia Graviano a Roma, «ma ci furono problemi perchè gli fu rinforzata la scorta».

L'attentato a Falcone. «Furono i politici a farci mettere in giro la voce che la bomba all'Addaura se la mise da solo il giudice Falcone. Lo volevano fare passare per un bugiardo, per indebolirlo. Era una pressione fatta dai politici a Cosa nostra». Lo ha detto il pentito di mafia Francesco Onorato, parlando del fallito attentato all'Addaura nella villa al mare del giudice Giovanni Falcone, 21 giugno 1989. «La misi io quella bomba - dice ancora Onorato - e quando abbiamo fatto l’attentato all’Addaura, abbiamo messo in giro la voce che la bomba se l’era messa Giovanni Falcone da solo, per farlo diventare un biguardo, una persona di poco conto. E Salvatore Biondino Biondino mi disse che questa era una pressione fatta dai politici. Si doveva vergonare Falcone che si metteva le bombe, in modo da farlo diventare debole». Poi ha ribadito che il boss Salvatore «Riina prima era contento di avere tutte queste amicizie di politici, dai Salvo, ai Gioia, e altri i politici, poi aveva trovato altri canali».

Finanziamento a Martelli. «Martelli l'abbiamo fatto diventare ministro. Abbiamo investito anche 200 milioni per finanziarlo e portarlo a diventare ministro della Giustizia perchè si diceva che avrebbe fatto uscire i mafiosi dal carcere». Lo ha sostenuto il pentito Francesco Onorato deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia. Dopo il maxi-processo Claudio Martelli era nella lista dei personaggi da eliminare con politici come Salvo Lima, Giulio Andreotti, Carlo Vizzini e Calogero Mannino e imprenditori come Ferruzzi e Gardini.

giovedì 7 novembre 2013

Atac, fondo nero per finanziare la politica? Marino: Prendere colpevoli e buttare chiave

Atac, fondo nero per finanziare la politica? Marino: Prendere colpevoli e buttare chiave
Aggiungi didascalia


Sul presunto sistema di contraffazione dei ticket. Fonti e documenti interni all'azienda indicano l'esistenza di una doppia contabilità. E' stata convocata la prima protesta contro l'Atac per domani, venerdì 8 novembre dalle 11 alle 14 in via Prenestina
"Lo dico con molta chiarezza: se le parole pubblicate oggi sul quotidiano 'La Repubblica' sono vere spero che se ci sono colpevoli, di qualsiasi partito e forza politica, vengano arrestati e buttata la chiave". Un commento breve ma incisivo, quello del sindaco di Roma, Ignazio Marino, sul presunto sistema di contraffazione dei biglietti Atac per destinare gli introiti alla politica.

L'INCHIESTA: TICKET CLONATI IN UN BUNKER SEGRETO

La storia comincia nella primavera di cinque anni fa: la più grande azienda di trasporto pubblico locale in Italia e una delle più grandi in Europa, l'Atac, è il perno di un Sistema che, da dieci anni almeno, finanzia la politica a Roma. Fonti e documenti interni all'Azienda indicano l'esistenza di una doppia contabilità cresciuta all'ombra di una truffa di cui Atac è oggettivamente vittima, ma, si scopre ora, anche architetto. La Procura di Roma e la Guardia di Finanza, da tempo, indagano sull'azienda e, nel marzo scorso, hanno notificato tre avvisi di garanzia per una vicenda nota come "la truffa dei biglietti clonati". Un flusso incontrollato di "titoli di viaggio" falsi, stampati da Atac e girati ai rivenditori ufficiali, consentirebbe infatti di accantonare fuori bilancio circa 70 milioni di euro all'anno. Di questa truffa la Finanza e la Procura avevano sin qui svelato l'esistenza, ma ignoti ne restavano gli artefici e i beneficiari.

Intanto dopo l'inchiesta di Repubblica è stata convocata la prima protesta contro l'Atac per domani, venerdì 8 novembre dalle 11 alle 14 in via Prenestina. Tutte le info sulla pagina fb "Roma non paga l'Atac" e su twitter con l'hashtag #scioperoatac.

Per rilanciare l'azienda capitolina dei trasporti, dopo anche la protesta degli autisti di ieri in Campidoglio, Marino ha osservato: "Atac è in un deficit drammatico: negli ultimi anni, invece di assumere personalità che col loro lavoro aiutano a far circolare il trasporto, ha assunto solo sul settore amministrativo con funzioni dirigenziali. In tutto ciò, ogni mattina metà delle vetture resta ferma per mancanza di risorse. Ho proposto una revisione degli accordi salariali, ad esempio, perché non è possibile che tutti i dirigenti abbiano stipendi che superino i 200mila euro: entro il 2014 vi sarà un taglio del 15% per avere una razionalizzaizone generale delle spese".

Intanto, nella serata di giovedì la Procura, che nei giorni scorsi ha chiesto 15 rinvii a giudizio a conclusione di un'inchiesta sulla falsificazione di biglietti Atac, ha aperto un nuovo fascicolo contro ignoti per clonazione di biglietti della stessa azienda. L'ipotesi di reato sono il falso e la truffa.

La prima indagine,

cominciata nel 2011 e in cui l'Atac è parte lesa, era stata affidata come la seconda al pubblico ministero Alberto Pioletti e si riferisce alla falsificazione dei ticket non stampati nei normali circuiti dell'azienda. Le indagini affidate alla Guardia di finanza avevano portato alla scoperta di un accordo illecito tra dipendenti infedeli e alcuni rivenditori facendo ipotizzare i reati di appropriazione indebita e falsificazione di biglietti di pubblico trasporto.

La Bce anticipa i tempi e taglia i tassi. Draghi: "Inflazione bassa a lungo"

L'Eurotower non interveniva dal maggio scorso ed è al quarto taglio del costo del denaro sotto la presidenza di Draghi. In seno al board della Bce vince la volontà di contenere il rischio deflazione e di contrastare il rafforzamento dell'euro

MILANO -  La Bce taglia il costo del denaro al minimo storico, intervenendo di nuovo dopo la variazione del 2 maggio scorso, quando i tassi furono portati allo 0,5%. Oggi la Banca centrale europea, guidata da Mario Draghi, ha nuovamente tagliato il tasso riferimento di un quarto di punto allo 0,25%. Il "refi" - il tasso di rifinanziamento pronti contro termine - aggiorna così il minimo storico, mentre il tasso sui depositi resta fermo a quota zero e il tasso marginale cala dello 0,25%, allo 0,75%. Immediata la reazione dei mercati finanziari, con i listini - incerti fino all'annuncio dell'Eurotower - che accelerano al rialzo, mentre lo spread tra Btp e Bund tedeschi si restringe e l'euro perde terreno nei confronti del dollaro toccando i minimi da 7 settimane: la moneta unica viene scambiata a quota 1,33 dollari.

Motivando la decisione del taglio, Draghi ha spiegato che le stime dell'Eurotower sono "per un prolungato periodo di bassa inflazione" e altrettanto "prolungato" sarà il periodo per il quale i tassi resteranno bassi, senza escludere il fatto che potrebbero scendere ancora. Proprio questo l'andamento dei prezzi, cresciuti solo dello 0,7% annuo nella rilevazione di ottobre, è ben lontano dal target che l'Eurotower deve mantenere (inflazione poco sotto il 2%). Ciò ha diffuso lo
spettro di una deflazione per il Vecchio Continente, che insieme alla stentata ripresa economica ha giocato un ruolo decisivo nella scelta della Bce.

A favore di un intervento ha giocato anche la quotazione della moneta unica, che recentemente si è rafforzata fino a quota 1,38 nei confronti del dollaro. Livelli che certo non favoriscono le aziende esportatrici, unico appiglio per la ripresa del Vecchio Continente di fronte a un mercato interno pesantemente indebolito. Contro il taglio del costo del denaro, per altro, si sono sempre schierati i tedeschi che temono un impatto negativo sui rendimenti dei loro fondi pensione. Non è un caso che l'associazione delle banche tedesche abbia commentato immediatamente la notizia sottolineando che "avrà un basso effetto sull'economia". Sotto la presidenza di Draghi, l'Eurotower è alla quarta sforbiciata dei tassi.

Come notano gli analisti di Ig Markets, commentando a caldo le decisioni di Francoforte, la fretta mostrata dalla Bce rispetto alla aspettative sposta ora l'attenzione sulla possibilità di nuove operazioni straordinarie, come le due aste di liquidità Ltro già fatte a cavallo tra 2011 e 2012: "Ci aspettiamo una nuova Ltro nel primo trimestre dell'anno, che in qualche modo possa avere un effetto più diretto sull'economia reale. Il taglio dei tassi infatti rimane per lo più un operazione 'civetta', con una forte valenze simbolica".

Trattativa, il j'accuse del pentito Onorato "Dalla Chiesa ucciso per ordine di Andreotti-Craxi"



La Procura chiama a testimoniare il collaboratore Francesco Onorato sull'omicidio dell'eurodeputato Dc Salvo Lima, che il killer racconta nei dettagli. Il suo atto d'accusa prima di deporre.  "Andreotti e il figlio dovevano essere uccisi a Roma dai fratelli Graviano". Non ancora arrivata alla corte d'assise la lettera del presidente della Repubblica a proposito della sua citazione al processo. Dal Quirinale si apprende che la lettera è stata spedita giovedì
Non voleva deporre Francesco Onorato, uno dei killer di Salvo Lima oggi collaboratore di giustizia. "Mi sento solo e abbandonato dallo Stato", questo il suo sfogo: "Dal 1996 depongo nei processi e non mi sono mai lamentato, ma adesso non ce la faccio più". Nonostante le sue resistenze, il pentito ha poi iniziato a rispondere alle domande del pm Nino Di Matteo.

"Facevo parte del gruppo di fuoco della commissione", ha spiegato Onorato. "Il gruppo di fuoco è come la nazionale, Totò Riina prendeva gli elementi più validi delle varie famiglie".

In apertura di udienza, il presidente della Corte ha informato che la lettera annunciata dal Quirinale nei giorni scorsi non è ancora arrivata al collegio.
Il giudice Alfredo Montalto si riserva "allorchè la lettera perverrà, di esaminarla e ove il contenuto sia rilevante per il processo metterla successivamente a disposizione delle parti per le eventuali rispettive valutazioni e determinazioni".

Nelle scorse settimane, la Corte di Palermo aveva autorizzato la citazione del presidente Napolitano al processo Trattativa, così come chiesto dai pubblici ministeri. Ma nei limiti posti dalla sentenza della Corte Costituzionale. Nella sua lettera, Napolitano ha espresso la sua disponibilità a deporre, anticipando però "i limiti delle conoscenze sull'argomento", ma anche alcune riserve sulla "costituzionalità dell'articolo 205 del codice di procedura penale", quello che prevede la deposizione del Capo dello Stato.

Fonti del Quirinale informano che la lettera indirizzata al presidente della Corte d'assise di Palermo è partita con una raccomandata giovedì, intorno alle 18.30, contemporaneamente al comunicato del Colle.

La deposizione di Onorato

L'ex killer di Cosa nostra racconta dell'avvio della strategia stragista disposta da Totò Riina dopo la sentenza del maxiprocesso: "Nella lista delle persone da uccidere, come seppi da Salvatore Biondino, l'ambasciatore della commissione, c'erano Lima, Andreotti e suo figlio, gli ex ministri Mannino, Vizzini, ma anche Martelli. Siamo stati noi a far eleggere Martelli come ministro della Giustizia: nel 1987 avevamo finanziato la sua campagna elettorale con 200 milioni di lire. E poi mantenne le promesse, perché fece dare gli arresti ospedalieri ad alcuni mafiosi".

Onorato è un fiume in piena: "Quando Riina accusa lo Stato nelle sue interviste ha ragione. Prima gli hanno fatto fare tanti omicidi, e adesso stanno pagando solo i mafiosi. Prenda il caso Dalla Chiesa: cosa interessava ai mafiosi ammazzarlo. Sono stati Craxi e Andreotti a chiederlo ai mafiosi, perché si sentivano il fiato sul collo. Poi, anche l'omicidio Mattarella, voluto da altri politici". Il collaboratore dice: "Non è mai esistita una trattativa fra mafia e Stato, c'è sempre stata una convivenza fra la mafia e lo Stato". E poi racconta nei dettagli l'omicidio Lima, di cui è stato l'esecutore materiale.

Nel 1992, nel mirino c'era anche  l'allora capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera: "Io stesso - dice Onorato - fui incaricato di pedinarlo all'hotel Perla del Golfo, dopo l'omicidio Lima".

Secondo il racconto di Onorato, Andreotti e suo figlio dovevano essere uccisi a Roma: "Se ne dovevano occupare i fratelli Graviano. Riina era davvero adirato dopo la sentenza del maxiprocesso: voleva morti tutti i politici".

Rispondendo alle domande dei pm Di Matteo, Teresi e Del Bene, Onorato ricorda anche una convocazione dei politici fatta da Cosa nostra: "Dopo il maxiprocesso, Riina convocò alla Perla del Golfo Lima, Mannino, Vizzini, i Salvo. Seppi da Biondino che Lima aveva dato buca".
 

Rapporto scienziati svizzeri, "Arafat avvelenato da polonio"

Le conclusioni degli esami sugli oggetti appartenuti al leader palestinese deceduto in Francia nel 2004. L'Olp chiede un'inchiesta. Israele: una telenovela
Invia per email
Stampa
ROMA - Yasser Arafat è morto con tutta probabilità per un avvelenamento da polonio. E' quanto emerge nelle conclusioni degli esami effettuati dagli scienziati svizzeri, che hanno esaminato alcuni oggetti appartenuti al leader palestinese, consegnate ai palestinesi e rese note dall'emittente al-Jazeera. "I nuovi esami tossicologici e radio-tossicologici hanno mostrato inaspettati alti livielli di polonio-210 e piombo-210 in molti dei campioni analizzati", si legge nel rapporto di 108 pagine firmato da 10 esperti dell'università di Losanna.

"Non avevo alcun dubbio sul fatto che fosse stato avvelenato - ha detto Nabil Shaat dell'Olp, commentando la notizia - .Prima era stato accennato ora ne abbiamo le conferme". Shaat ha poi invocato un'inchiesta per stabilire "come e chi lo abbia avvelenato": "E' stato ucciso - ha aggiunto - da chi lo voleva morto".

Il governo israeliano ha definito una "telenovela" l'inchiesta. "Non ha niente a che vedere con Israele, nè ha la minima credibilità. Quest'altro episodio dell'interminabile telenovela tra Suha Arafat e l'Autorità nazionale palestinese", ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Igal Palmor.

Arafat è morto in Francia l'11 novembre del 2004, ma i dottori non furono in grado di stabilire le cause del decesso. All'epoca, su richiesta della moglie, non venne effettuata l'autopsia, ma nel novembre del 2012 i suoi resti sono stati riesumati nel sospetto che il leader palestinese sia stato ucciso dal polonio come la ex spia russa Alexander Litvinenko nel 2006.

Il mese scorso anche un rapporto di otto scienziati dell'istituto universitario specializzato di Losanna aveva confermato di aver trovato alte tracce di polonio nei vestiti usati da Arafat.

Il polonio 210 è uno dei killer più potenti in natura, e agisce già in quantità piccolissime, non rilevabili a occhio nudo. "Come per tutti i veleni un'esposizione acuta uccide in poco tempo, e una a basse quantità impiega di più - spiega Sandro Degetto, ricercatore esperto in radiochimica ambientale dell'Istituto di Chimica Inorganica e delle Superfici (Icis) del Cnr - ma in questo caso si parla di dosi tossiche estremamente piccole, per cui la distinzione ha poco senso perché ne basta veramente poco per produrre danni irreversibili".