Nel 2008 si sigla un patto bipartisan per la pacificazione e la continuità nella gestione dei trasporti capitolini tra centrodestra e centrosinistra in una cena a casa dell'ex ad dell'Ente Eur, Riccardo Macini, braccio destro di Alemanno. Si blinda un sistema che consente la produzione di milioni di titoli di viaggio paralleli che non sono fatturati e che producono 70 milioni di euro l'anno da spartirsi e per finanziare i partiti. L'incredibile frode denunciata in una relazione finita in Procura e confermata da un'altra indagine interna rimasta senza conseguenze. L'accesso alla struttura protetta consentito solo allo stesso personale presente da dieci anni. Il silenzio dell'attuale vertice dell'azienda
ROMA - Al cuore di una città in bancarotta - 800 milioni di euro è il deficit annuale del comune di Roma - c'è un'azienda pubblica che spiega molto, o forse tutto, di questo abisso di insolvenza. Perché in fondo ne è insieme lo specchio e una delle cause. È la più grande azienda del trasporto pubblico locale in Italia e una delle più grandi in Europa. È la peggiore. Perché, da dieci anni almeno, è la stanza di compensazione e la tasca della politica capitolina. Il perno di un Sistema. È Atac spa. Acronimo di "Azienda Tramvie ed Autobus del Comune": 12mila dipendenti, un miliardo di passeggeri nel 2012 (un terzo di quelli della "Rapt" parigina, un quarto di quelli londinesi della Transport for London), un deficit annuo di oltre 150 milioni e un debito che ha raggiunto 1 miliardo e 600 milioni.
In Atac tutto è stato possibile. Crasso clientelismo, appalti gonfiati. Ma - si scopre ora - anche digerire un audit interno che denuncia un'emorragia di liquidità da biglietti clonati che avrebbero la loro stamperia clandestina proprio dentro l'azienda. Un fiume di denaro nero, per una contabilità altrettanto nera necessaria a finanziare chi a questo carrozzone assicura la sopravvivenza. La Politica.
Per due mesi, "Repubblica" ha raccolto documenti e testimonianze che raccontano cosa è diventata Atac. Perché ne è cruciale il controllo. Ha quindi chiesto al nuovo amministratore delegato dell'azienda, Danilo Broggi, di rispondere ad alcune domande. A cominciare dalle circostanze illuminate dalla più sorprendente delle truffe - i biglietti clonati, appunto - che si consumerebbe ai danni della società con complicità interne. Ma ne ha ottenuto un cortese rifiuto via mail. Restano dunque una serie di evidenze per un racconto che ha il suo incipit nella primavera di cinque anni fa.
"L'ACCORDO"
È il 29 aprile del 2008. Ventiquattro ore prima, il voto ha consegnato il Campidoglio al nuovo sindaco Gianni Alemanno. Il senatore Pdl (e futuro vicesindaco di Roma) Mauro Cutrufo presenta un'interrogazione parlamentare ai ministri del Lavoro, dell'Interno e della Giustizia. Attacca la gestione "veltroniana" delle aziende comunali, denuncia appalti truccati, disservizi, e sprechi.
Ma la verve polemica e la voglia di pulizia ai vertici delle aziende comunali della Destra è un fuoco fatuo, che si spegne in un'estate. "Nel settembre del 2008 - racconta un ex manager dei trasporti - partecipai ad una cena a casa di Riccardo Mancini in cui si parlò dei vertici delle aziende del trasporto pubblico". Mancini, in quel momento, è l'asso di briscola del nuovo sindaco. Ha un passato neofascista in Avanguardia Nazionale e un presente da tesoriere della campagna elettorale di Alemanno (il futuro, lo vedrà prima issato alla poltrona di ad dell'Ente Eur e quindi in galera per le tangenti degli appalti per i filobus destinati al corridoio mobilità nel quartiere Laurentino). Per la "politica dei trasporti" è dunque da lui che bisogna passare.
Ebbene, la sera di quel 29 aprile 2008, intorno al tavolo di casa Mancini, oltre al senatore Pdl Vincenzo Piso, sono seduti alcuni top manager. "Fu l'occasione - racconta la fonte - per parlare di un accordo politico bipartisan, siglato ad alti livelli, che avrebbe imposto pacificazione e continuità sulle aziende del trasporto pubblico nel passaggio dal centro-sinistra al centro-destra". Lo spoil system promesso da Alemanno è dunque un'operazione di facciata. Prova ne sia che la maggior parte degli alti dirigenti nominati nell'era veltroniana non viene cacciata, ma assegnata ad altre posizioni di rilievo. Ma, soprattutto, che la linea degli operativi, a partire dai direttori generali, rimane al suo posto. "Al termine della cena il messaggio era chiaro a tutti - ricorda ancora l'ex manager - Il sistema andava preservato".
LA CONTINUITA' DEL SISTEMA
Primavera 2008, estate 2013. Marino è il nuovo sindaco di Roma e, il 27 luglio, Danilo Broggi arriva in Atac come nuovo amministratore delegato. In molti, dentro e fuori l'azienda, parlano con enfasi di "rivoluzione". Perché la nomina del manager milanese (è stato ad di Consip) viene letta come segno di macroscopica discontinuità. E' così? In realtà, il povero Broggi mette piede in un'azienda che è una foresta pietrificata, dove il "patto" ha garantito continuità assoluta negli uomini. Il presidente dell'azienda, Roberto Grappelli, confermato da Marino, è stato infatti nominato da Gianni Alemanno nel dicembre del 2012. Al culmine di una parabola che lo ha visto, dal 2010 al 2012, amministratore delegato di Officine Grandi Revisioni (la società che gestisce la manutenzione dei veicoli Atac) e, prima di allora, presidente di Met.Ro. (altra società della galassia).
Antonio Cassano, il potente ex-direttore generale di Atac (oggi "a disposizione" dell'ad Broggi con uno stipendio di quasi 280mila euro), è un sopravvissuto a tre consiliature (Veltroni, Alemanno e adesso Marino) e dal 2002 ricopre cariche apicali che gli hanno consegnato la gestione operativa dell'azienda. Gioacchino Gabbuti, dopo aver guidato l'Atac dal 2005 al 2009, prima con Veltroni poi con Alemanno, viene accomodato sulla poltrona di amministratore delegato di Atac Patrimonio (società nata per vendere il patrimonio immobiliare dell'azienda ma che fino ad ora non ha concluso una sola operazione) con uno stipendio, tra indennità e bonus, di quasi 600mila euro. Il direttore acquisti, Franco Middei, nonostante le inchieste in corso su alcuni appalti sospetti, rimane saldamente ancorato alla sua poltrona, dove è arrivato nel 2008, dopo aver ricoperto incarichi di rilievo nella società Trambus, poi confluita in Atac.
"BIGLIETTI FALSI"
L'inossidabilità del Sistema Atac ha una ratio, a quanto pare. Che sembra un segreto di Pulcinella e che una fonte interna all'Azienda (di cui Repubblica conosce l'indentità e a cui ha assicurato l'anonimato) racconta con assoluta franchezza. Così: l'Atac stampa biglietti per autobus e metro. E i biglietti sono denaro. Chi ha le mani sui biglietti, ha le mani sulla cassa. E se quella cassa è in parte in chiaro e in parte in nero, perché quei biglietti sono in parte veri e in parte falsi, chi ha le mani sull'Atac ha di fatto le mani su una banca che batte moneta.
Già, "i biglietti falsi". E' una truffa che può costare all'Atac anche 70 milioni di euro l'anno, perché consente di immettere sul mercato milioni di titoli di viaggio contraffatti. E le cui dimensioni si possono intuire leggendo una semplice voce del bilancio 2012. I ricavi dalla vendita dei biglietti risultano pari a soli 249 milioni di euro, poco più del 20% del valore totale della produzione dell'azienda, che supera il miliardo. Eppure, dalle statistiche aziendali, emerge che quasi un miliardo di passeggeri prende ogni anno i mezzi gestiti dall'Atac, autobus e metropolitane.
Dunque? La Guardia di Finanza ha lavorato a lungo sulla "falsa bigliettazione Atac", arrivando alla conclusione che si tratta di "un sistema oliatissimo capace di creare una contabilità parallela" dell'azienda. Un pozzo milionario senza fondo necessario a finanziare attività di altro genere. Ma ora la fonte di Repubblica dice di più. Della truffa spiega il meccanismo (semplice), il cuore, i beneficiari. "Tutti i biglietti emessi da Atac - dice - hanno un numero. Il processo normale di bigliettazione è costruito in modo che quando il biglietto viene ceduto ai rivenditori ufficiali entra automaticamente in una white list. Una volta acquistato e obliterato lo stesso biglietto finisce invece in una black list. Così quando il ciclo si conclude, white list e black list si ricongiungono e i biglietti venduti e utilizzati vengono cancellati. Quest'ultimo passaggio nel sistema di Atac non c'è. La black list non è mai ricongiunta con la white list e un ipotetico biglietto clonato con lo stesso numero di serie può passare anche dieci volte senza che le macchinette lo riconoscano. Atac è come la Banca d'Italia: ha la carta moneta, ci scrive sopra che cifra è, vende e rendiconta. Il tutto senza segregazione di responsabilità, cioè senza alcun controllo esterno".
La frode, a quanto pare, va avanti da 13 anni. Ancora la fonte: "Tutto nasce intorno al 2000 con la gara vinta dalla società australiana Erg per la fornitura della tecnologia informatica per la bigliettazione. Nel 2003 l'allora presidente di Atac Mauro Calamante scrive all'ex-sindaco Walter Veltroni una lettera riservata personale in cui denuncia che Atac non controlla il flusso dei soldi. A quel punto viene deciso di bonificare alla Erg il debito accumulato da Atac per il pagamento del servizio, e di cominciare a internalizzare tutto. Il management Erg entra dentro Atac e continua a resistere fino ad oggi. Erg nel frattempo cambia pelle e ritorna a lavorare con Atac con il nome di Claves, una società controllata dalla stessa Erg e con una quota importante in mano a Banca Finnat, la potente fiduciaria romana. Cambiano i nomi, ma gli uomini che gestiscono il servizio sono sempre gli stessi". "In via Sondrio, dove si cono alcuni uffici Atac - prosegue la fonte - è presente da anni un'area blindata alla quale si accede solo con un badge abilitato. Quello è il nucleo di dipendenti ex-Erg che non sono mai cambiati nel tempo. Sono una ventina e in tutti questi anni non è mai stata introdotta alcuna discontinuità nel personale. Lì dentro è raccolta l'intelligenza del sistema di bigliettazione".
Quindi, la chiosa. "È un sistema che dura da anni, un tram sul quale in tanti sono saliti e scesi arricchendosi. Manager, prima di tutto, e poi la politica. I benefici di un sistema che può drenare fino a 70 milioni di euro vanno oltre le istituzioni locali, e toccano anche alcuni parlamentari. Il salto di qualità arrivò nel 2006 quando si capì che al tavolo avrebbero dovuto sedersi tutti, centrosinistra e centrodestra. Il modo migliore per assicurarsi che nessuno lo avrebbe ribaltato".
L'AUDIT INTERNO E LE "CHIESETTE"
L'Atac non ignora cosa accade con i suoi biglietti. Il 3 agosto 2012 consegna alla Procura di Roma una "Relazione tecnico investigativa sui titoli di viaggio dell'Atac spa", un report coperto da segreto cui ha lavorato un team di ingegneri, investigatori e specialisti.
"La maggior parte degli illeciti attinenti i titoli di viaggio - si legge nella Relazione - sono avvenuti a mezzo complicità interne all'azienda (...). Ciò perché il settore dei titoli di viaggio Atac è vasto e complesso, il personale impiegato è numeroso, i compartimenti sono stagni e se ciò evita le comunicazioni e le associazioni, viene favorita invece la formazione di 'chiesette' consolidate sulle quali il controllo diventa difficile (...) Il sistema di bigliettazione elettronica dell'azienda è completamente indifeso". Un secondo report, frutto del lavoro di una commissione interna di manager Atac, al contrario non è mai uscito dagli uffici di via Prenestina. Troppo, e troppo gravi, a quanto pare, le scoperte che documentava.
Il 7 marzo scorso la Procura di Roma invia i primi avvisi di garanzia a tre alti dirigenti dell'Azienda (l'allora direttore commerciale, il responsabile della bigliettazione elettronica e il dirigente del settore informatico), ma il sasso sembra cadere in uno stagno. Perché la regola della sopravvivenza è digerire tutto, non strillare. Le "chiesette" hanno bisogno di far semplicemente dimenticare. Non fosse altro perché i biglietti non sono l'unica grana.
APPALTI GONFIATI
Negli ultimi anni, Atac e Metropolitane di Roma (Met.Ro.), azienda dedicata alla gestione dei mezzi di trasporto fusa in Atac l'8 aprile del 2010, finiscono infatti al centro di numerosi scandali sull'assegnazione degli appalti. L'altra grande voce del Sistema. Qualche esempio.
Il 31 dicembre 2009, l'amministratore delegato di Metropolitane di Roma, Antonio Marzia, firma il provvedimento 112 che prevede la fornitura di 500 dischi freno per i mezzi della linea del metro B. Valore totale della commessa: 3,3 milioni di euro. L'appalto viene affidato senza gara alla Ats, una piccola azienda con 11 dipendenti registrati nel 2008 e un capitale sociale di 100mila euro. L'8 aprile del 2010, al momento della fusione con Atac, la gestione degli appalti di Met.Ro passa quindi nelle mani dell'ad di Atac, Adalberto Bertucci. Ma invece di bloccare la commessa, la direzione tecnica dell'azienda richiede un intervento di sostituzione massiccio per il biennio 2010-2011 che prevede l'acquisto di 2.500-3.000 dischi freni per un valore previsto di oltre 13 milioni di euro, sempre da assegnare alla Ats. Ebbene, una semplice ricerca di mercato, realizzata dal membro del collegio sindacale Renato Castaldo sulle maggiori aziende mondiali del settore, dimostra che il prezzo medio per un disco freno non sono i 6.752,20 euro riconosciuti da Atac alla Ats, ma tra i 1.300 e i 1.600 euro.
Pagare le commesse fino a sei volte il prezzo di mercato sembra normale e consolidata amministrazione in Atac. L'8 aprile del 2008 la società Officine Grandi Revisioni (Ogr), costola di Met.Ro. e di Atac per la manutenzione dei veicoli, trasmette al top management delle due aziende una ricerca di mercato dedicata ai pezzi di ricambio acquistati per le "Frecce del Mare", i convogli che collegano la Capitale a Ostia. Il confronto si concentra sui vetri porte. A fronte dei due ordini approvati da Met.Ro. il 20 agosto e l'11 novembre 2008 alle ditte Angeloni srl e Vapor Europe srl, che prevedono un costo a pezzo di 98 euro per la prima e 128,52 per la seconda, le offerte pervenute dalle altre aziende contattate sono in media dieci volte più basse, e si aggirano tra i 6,48 e i 13,60 euro a pezzo.
Non cambia la musica nel 2011. Atac assegna un appalto per i servizi di pulizia con un valore a base d'asta di 95 milioni di euro. Una gara su cui, il 22 aprile di quest'anno, accende un faro il collegio sindacale che nella relazione allegata al bilancio 2012 denuncia una maggiorazione del 30% rispetto alle gare precedenti per lo stesso servizio. Ma per Atac, evidentemente, non è un problema. I "conti" che devono tornare non sono quelli dei bilanci.
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