Il racconto nero sta nei verbali di salvatore Belviso, killer al solo del clan D'Alessandro, oggi collaboratore di giustizia. Il 3 febbraio 2009 fa parte del commando che uccide il consigliere del Pd Luigi Tommasino. Inizia a collaborare nel novembre 2011
Lo dice un pentito del clan D’Alessandro, giovane e bello come un attore delle soap pomeridiane, che sta rivelando il dietro le quinte dell’omicidio del consigliere comunale Pd Luigi Tommasino, ucciso a colpi di pistola di fronte alla sede distaccata del Tribunale il 3 febbraio 2009. Si chiama Salvatore Belviso e quel delitto lo conosce bene perché ha fatto parte del commando di fuoco insieme ad altri tre ragazzi perduti come lui – uno persino iscritto al Pd stabiese, circostanza che per un po’ fece pensare a un delitto politico. Per ora Belviso ha firmato almeno una decina di verbali, altri sono ancora top secret, i sei mesi per parlare scadono il mese prossimo.
Belviso ha cominciato a collaborare con la giustizia il 4 novembre 2011, sei giorni dopo aver sposato in carcere Mena Fontana, la nipote di Luciano Fontana, il killer di Antonio Martone, zio di Vincenzo D’Alessandro (ras del clan avversario ai Fontana) e dello stesso Belviso. Una vicenda da Montecchi e Capuleti della camorra, un amore contrastato dalle famiglie rivali, e le foto del loro matrimonio furono il segnale che il 28enne fotografato con un sorriso da posa con i ferri ai polsi al momento della traduzione in carcere rompeva i ponti con tutto e tutti e ‘passava con gli sbirri’. Quando cambia avvocato e inizia a cantare, Belviso è già imputato per l’omicidio Tommasino e la sua decisione di vuotare il sacco è una scossa di terremoto per gli equilibri della criminalità locale. Che ha reagito con un nervosismo parossistico, fino ad assediare le edicole che vendevano il quotidiano Metropolis, che per primo pubblica la notizia, ‘invitando’ i rivenditori a nasconderne le copie sotto al bancone.
“La notizia è falsa” gridavano i guaglioni del clan. Era vera, ovviamente. Per raccogliere le deposizioni di Belviso si muovono in direzione Rebibbia due magistrati di spessore della Dda di Napoli, il procuratore aggiunto Rosario Cantelmo e il sostituto Claudio Siragusa. Siragusa è il titolare delle due inchieste, già sfociate in dibattimento, sull’omicidio Tommasino e sull’arresto della vicepresidente di Confindustria Napoli Olga Acanfora, imprenditrice stabiese della sanità privata che vive di convenzioni pubbliche, accusata di estorsione aggravata col metodo mafioso. Era amica di Tommasino e il politico Pd avrebbe chiesto a uno dei tre capi del clan D’Alessandro, Sergio Mosca, di ‘intervenire’ presso l’architetto che progettò per la Acanfora la realizzazione del nuovo centro medico ‘Villa Tropeano’, un lavoro da circa 2 milioni di euro. E convincerlo a fare lo sconto su una parcella di 400.000 euro, della quale la Acanfora si lamentava pubblicamente perché ritenuta esorbitante.
Tommasino, amico del boss e dell’imprenditrice, emerge come anello di collegamento tra politica, camorra ed economia, avvolte in un grumo maleodorante di clientele e violenza. Le due storie sono intersecate. Leggendo e rileggendo i verbali della collaborazione, spunta un dettaglio interessante, un barlume di ipotetico movente dell’omicidio che finora il processo non ha chiarito: fu mediato uno sconto di 150.000 euro, ma l’architetto alla fine riceverà ‘solo’ 200.000 euro. Mancano all’appello 50.000 euro e incrociando le notizie e le date che emergono dalle carte dei due procedimenti – l’assassinio di Tommasino, dice Belviso, fu ordinato da Mosca a ridosso del 10 gennaio 2009, mentre le ‘trattative’ Acanfora-Mosca-Tommasino-architetto si conclusero alla fine del 2008 – ecco adombrarsi un’ipotesi che potrebbe rappresentare un movente credibile: 50.000 euro di ‘cresta’, rimasti impigliati nelle tasche del consigliere comunale in quel periodo molto attivo nel tesseramento Pd e nel ripianare una delicata crisi di partito (l’ultima telefonata ricevuta dal suo cellulare proviene dal centralino del consiglio regionale, è la segreteria di un big del pd napoletano, ex Margherita come Tommasino, che voleva chiedergli lumi sulla riunione del pd stabiese in programma quella serata).
Belviso parla, spiega e illustra una Castellammare simile al Far West. Tommasino viene ucciso quel giorno e non in un altro perché quel giorno va a vuoto l’originario intento di dare una lezione al gestore di alcuni campetti sportivi. Il pentito non conosce il viso del consigliere comunale, non sa dove abita e lo scopre solo dopo (“altrimenti ci saremmo appostati altrove e lo avremmo ammazzato davanti al Bar Italia, senza farci due km di telecamere su Viale Europa”). Belviso racconta di essere diventato camorrista dopo anni trascorsi tra l’organizzazione di feste e concerti e una florida attività di furti di scooter con cavallo di ritorno. Troppi furti, tanto che il boss Enzo D’Alessandro lo convoca per dirgli di calmarsi, nel quartiere di Scanzano, la roccaforte della camorra, sono in troppi a lamentarsi. Tra i due il gelo farà posto a un tiepido feeling. L’affiliazione di Belviso al clan D’Alessandro avviene secondo modalità da film di Francis Ford Coppola: in silenzio e senza spiegazioni gli viene consegnata una pistola e gli si dice di seguire in scooter un altro motorino diretto verso Gragnano con due persone a bordo. “Sapevo che andavamo a compiere un omicidio ma senza sapere di chi e perché”. Era il 28 ottobre 2008 e Belviso partecipa, senza sparare, all’assassinio di Carmine D’Antuono, una vecchia gloria del clan Imparato, ormai sgominato da tempo e sacrificato sull’altare dei nuovi assetti camorristici.
Al verbale ‘rompighiaccio’ del 4 novembre Belviso fa seguire quelli del 10, 17, 28 novembre, del 16 dicembre, del 23 febbraio. Lunghi omissis coprono – per ora – i passaggi più scabrosi. Per cui ancora non sappiamo i dettagli e le ragioni in base ai quali, nel riassunto del primo verbale, il pentito afferma che ‘il clan D’Alessandro alle comunali del 2005 ha fatto votare il sindaco Salvatore Vozza’, un ex sindacalista ed ex Pci che ha sempre combattuto la camorra e la cui candidatura fu benedetta da una trasferta di Piero Fassino. Certo, Vozza aveva tra i suoi alleati anche Tommasino e un altro consigliere comunale Pd, ex Margherita, Carlo Nastelli, del quale Belviso narra un episodio ai limiti dell’incredibile: pochi giorni dopo l’omicidio Tommasino, Nastelli lo avrebbe contattato per consegnargli “un libro che non era un libro, ma tutte pagine del Comune, c’erano tutti gli appalti da qua a tre anni, tutto quello che si doveva fare, quanti permessi ci volevano, quanti soldi erano. In base a quei soldi sapevamo chi doveva prendere l’appalto e quanti soldi ci doveva dare, se il 3% o il 5% dipendeva se era già una persona ‘amica’ della famiglia il 3%, altrimenti il 5%”. Nastelli vuole che il fascicolo arrivi al boss Enzo D’Alessandro e il postino Belviso, durante il tragitto, per curiosità lo apre e ne legge qualcosa.
Belviso sa sicuramente il movente dell’omicidio Tommasino. Ma per ora ne intuiamo solo qualche brandello sopravvissuto agli omissis: “L’ordine – dice il pentito – venne da Sergio Mosca direttamente a me, e nel darmelo, mi ha detto che Tommasino era diventato politicamente importante grazie all’appoggio del clan D’Alessandro, ma non aveva rispettato gli impegni prendendo le distanze”. Quali impegni? Solo il processo e la desecretazione delle parti di verbale coperte da omissis ci potrà dire qualcosa in più sul perché a Castellammare di Stabia un politico di spicco del Pd muore per uno sgarro alla camorra.
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