mercoledì 29 gennaio 2014

Gustavo Zagrebelsky sostiene la lista Tsipras/Spinelli

mercoledì, 29 gennaio 2014
Gustavo Zagreblsky appoggia la lista Tsipras, il cartello elettorale della società civile da presentare alle prossime europee in appoggio alla candidatura del leader di Syriza alla presidenza della Commissione UE. Il presidente emerito della Corte Costituzionale, presidente onorario dell’associazione “Libertà e Giustizia” ed editorialista de “La Repubblica”, ha aderito all’iniziativa promossa da Barbara Spinelli, Andrea Camilleri, Paolo Flores D’Arcais, Luciano Gallino, Marco Revelli e Guido Viale. Zagrebelsky evidenzia in un commento scritto per il sito di “Micromega” come la lista Tsipras e la candidatura del leader di Syriza alla presidenza della Commissione rappresentino la scossa necessaria per ripensare l’attuale Unione Europea, che sta tradendo gli ideali di giustizia e pace per cui è stata creata a causa del dominio della finanza. Ecco il post completo del presidente emerito della Corte Costituzionale sul suo appoggio alla lista Tsipras/società civile.
L’Europa ha smarrito gli ideali originali, tradendo la volontà degli stessi Padri costituenti. Prima che muoia del tutto, è necessaria una “scossa”. Per questo aderisco all’appello per la costruzione di una lista autonoma e della società civile che sostenga Alexis Tsipras alla Presidenza della Commissione di Bruxelles.
Dietro tale candidatura non si cela il rifiuto dell’Europa o il dilagante e pericoloso euroscetticismo invocato da forze nazionaliste e xenofobe, ma il ritorno ai veri valori dell’Europa, quella dei cittadini, dei diritti, dell’ambiente. Un’idea di comunità di popoli legati ad una cultura e solidarietà, con un ruolo centrale nella politica mondiale. In contrapposizione all’Europa attuale: della finanza, della Troika, che impoverisce e strangola i Paesi in nome dell’austerity e del rigore. Siamo alla smentita più clamorosa dei principi marxisti secondo i quali da un sistema economico si genererebbe sempre una sovrastruttura politica.
Viviamo invece in un’Europa in cui il sistema finanziario è fuori da qualunque controllo politico, si autogoverna. Senza alcun freno o limite. Così, la cittadinanza europea si sta sgretolando diktat dopo diktat e, di questo passo, l’illusione e il risentimento nei confronti delle istituzioni europee è destinato ad aumentare. Inoltre, da costituzionalista, aggiungo la seguente considerazione: l’Italia ha aderito all’Unione Europea in base all’articolo 11 della nostra Carta, il quale – nella seconda parte – consente la cessione di “pezzi” della propria sovranità in favore di istituzioni sovranazionali che si pongono lo scopo di creare un’integrazione sempre più stretta tra i popoli.
Ma la cessione di sovranità è subordinata a due principi: la pace e la giustizia. In questa nostra Europa, così costruita, pare palese che tali valori stiano venendo meno. Quando parlo di “guerra” mi riferisco ovviamente non ad operazioni militari (per fortuna scongiurate nel Continente) bensì allo strapotere della finanza che per propri interessi ed equilibri sta assoggettando intere nazioni.
Nelle istituzioni europee va reintrodotta linfa culturale, l’amore per un’altra idea di Europa e quell’energia politica del progetto originario d’unità nato a Ventotene dopo la II Guerra Mondiale. Dobbiamo ritornare a poter dire con orgoglio di essere “cittadini europei”. Per questo sostengo la lista Tsipras. Prima che sia troppo tardi.

Luciano Canfora: la truffa dell’Italicum divide la società in due come dice Karl Marx

mercoledì, 29 gennaio 2014
Il professor Luciano Canfora, filologo classico tra i più prestigiosi dell’università italiana, prende una posizione fortemente critica nei confronti dell’Italicum, la nuova legge elettorale voluta da Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Canfora propone un paragone ardito, ovvero che la riforma del sistema di voto abbia come esito una spaccatura della società tra due blocchi, simile a quella tra capitalisti contro proletari preconizzata da Karl Marx, in un’intervista condotta da Mario Ajello sul “Messaggero” di mercoledì 29 gennaio. “La storia invece è andata in maniera opposta, e ci è stato detto e ridetto che le società moderne sono complesse e frastagliate. Dunque, dovremmo dare voce a tutta la complessità del corpo sociale, politico e culturale. Viene recuperato Marx, per semplificare lo scenario elettorale. Ma le assurdità non finiscono qui”. Per Canfora è assurdo che Renzi si sia sottomesso agli ordini di Silvio Berlusconi sulle preferenze, così come è altrettanto sbagliato che i parlamentari del Partito Democratico abbiano accettato di subire il diktat del loro segretario ritirando gli emendamenti migliorativi alla legge. Secondo il professor di Filologia classica questo comportamento dei deputati democratici sembra in malafede, come se non avessero mai creduto in quello che facevano per modificare l’Italicum. Canfora dà ragione a Sartori quando ribadisce che bisogna respingere i trucchi elettorali introdotti per trasformare le minoranze in maggioranze, evidenziando come in relazione alla cosiddetta “legge truffa” della Dc si possa definire l’Italicum una truffa aggravata. “Bisogna smettere di escogitare leggi elettorali, più o meno alchemiche, fondate sul presupposto seguente: siccome prevedo il risultato, devo provvedere a truccarlo”. Luciano Canfora si contrappone infine alla litania contro i “partitini”, ribadendo come nella storia repubblicana le formazioni politiche minori, come il Pri di La Malfa, svolsero funzioni importanti nel contrasto al tentativo egemonico della Dc. Canfora riutilizza una metafora marxista quando rimarca come l’Italicum esprima un “renzismo-leninismo” volto ad annullare tutto ciò che a sinistra del PD. Il filologo classico, in passato candidato dei Comunisti europei alle elezioni europee, apprezza invece la legge elettorale uscita dalla Consulta, definita “perfetta”, che prevede preferenze e una soglia di sbarramento al 4% per temperare la ripartizione proporzionale dei seggi.

Spazzati via i vecchi potenti della Curia

Il Papa vuole limitare il potere dei prelati italiani che per anni hanno fatto il bello e il cattivo tempo. Per questo si è mosso subito con decisione. Creando non poche tensioni.

Spazzati via i vecchi potenti della Curia
di Ignazio Ingrao
Venerdì 13 settembre 2013: il presidente della Cei Angelo Bagnasco è a Torino per la Settimana sociale dei cattolici italiani. Seduto in prima fila al Teatro Regio ascolta l’intervento del premier, Enrico Letta. A prima vista è una giornata memorabile: una rinnovata alleanza fra trono e altare, tra i vertici della Chiesa italiana e il capo del governo, il postdemocristiano Letta. Le lancette dell’orologio sembrano tornate indietro di vent’anni. Ma è solo un’illusione ottica. E Bagnasco lo sa bene. Sei mesi prima è salito sul soglio di Pietro Jorge Mario Bergoglio. Sconfitto l’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, candidato della Cei, di Camillo Ruini e di una parte dei curiali italiani.
Per Papa Francesco la Cei è accomunata in quel giudizio negativo sull’italianità che, a detta dell’intero conclave, ha guastato la Curia con scandali e veleni. A 150 anni dalla fine dello Stato pontificio, il Papa argentino vuole seppellire definitivamente il potere temporale della Chiesa. Lontani dalla politica e vicini alla gente, soprattutto ai poveri, questo chiede Bergoglio ai vescovi italiani. Bagnasco si sente mancare la terra sotto i piedi. In pochi mesi ha visto sgretolarsi tutta la filiera genovese che durante il pontificato di Benedetto XVI ha tenuto in pugno i vertici della Chiesa: l’arcivescovo di Genova alla presidenza della Cei, il suo predecessore, Tarcisio Bertone, segretario di Stato, il conterraneo Mauro Piacenza alla Congregazione per il clero, l’ex vescovo di Savona, Domenico Calcagno, presidente dell’Amministrazione del patrimonio. Perciò mentre Letta parla dal palco, Bagnasco in platea medita un colpo di scena. Poco dopo, a sorpresa, riunisce la presidenza della Cei: ci sono il segretario generale, Mariano Crociata, e i tre vicepresidenti Gualtiero Bassetti, Cesare Nosiglia e Agostino Superbo. Bagnasco propone di inviare al Papa una lettera di dimissioni dell’intera presidenza. Un modo per ricompattare i vertici della Chiesa, sperando di vedersi riconfermati in blocco. I vicepresidenti sono perplessi: mentre Bagnasco e Crociata sono stati scelti da Benedetto XVI, gli altri sono stati eletti dall’assemblea e non vorrebbero fare un passo indietro. Alla fine il cardinale convince anche i suoi vice. Però sottovaluta il filo diretto che uno di loro, Bassetti, ha con il Papa. Quando Bagnasco arriva al palazzo apostolico, il Papa già sa tutto e respinge le dimissioni, ma pone due condizioni: immediata riforma dello Statuto della Cei e proroga a tempo del segretario Crociata. Passano pochi giorni e si consuma un altro strappo: il quotidiano della Cei, Avvenire, invece di riferire che il segretario generale è stato solo prorogato, titola: «Crociata confermato». Bergoglio va su tutte le furie e il 4 ottobre, mentre è ad Assisi, riprende il direttore, Marco Tarquinio, allo scopo di ripubblicare la notizia nei termini corretti.
Nel frattempo un’altra vicenda contribuisce a rendere più tesi i rapporti tra il Papa e la Cei. Prima dell’estate la segreteria della Conferenza episcopale ordina una verifica amministrativa su tre uffici: l’Istituto per il sostentamento del clero, il Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa e il Servizio per gli interventi caritativi a favore del Terzo mondo. Sui primi due non vengono fatti rilievi, per il terzo (aiuti economici al Terzo mondo) la Cei decide di sostituire il responsabile del Servizio, monsignor Giovanni Battista Gandolfo, e il suo braccio destro. Peccato però che Gandolfo sia amico del Papa da vecchia data. Il sacerdote si fa da parte ma si lamenta con il Pontefice dei metodi usati nei suoi confronti. Il suo braccio destro fa ricorso contro il trasferimento e chiede di essere reintegrato. I rapporti tra il Papa e la segreteria della Cei così si deteriorano ancora e Bergoglio decide di interrompere immediatamente la proroga di Crociata. Mentre Bagnasco è in Sri Lanka, Papa Francesco annuncia il nuovo segretario generale, Nunzio Galantino, vescovo di Cassano allo Ionio. Poco dopo uno dei tre vicepresidenti, Bassetti, arcivescovo di Perugia, viene nominato cardinale, mentre restano senza berretta i due colleghi che risiedono in sedi cardinalizie: Nosiglia a Torino (legato a Ruini) e Francesco Moraglia a Venezia (vicino a Bagnasco). Se non è un commissariamento, poco ci manca. Da lunedì 27 gennaio, nel Consiglio permanente la Cei discuterà il nuovo statuto che, su suggerimento del pontefice, dovrebbe prevedere l’elezione diretta del presidente da parte dell’assemblea dei vescovi. Andrà però anche ridotto di un terzo il numero delle diocesi, soprattutto al Sud. Sono un lontano ricordo i tempi in cui il sottosegretario Gianni Letta, una volta a settimana, prima delle otto del mattino, saliva alla Cei per discutere con il segretario generale. A parte Lorenzo Leuzzi, cappellano di Montecitorio, uno dei pochi rimasti a parlare con i politici è il presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione, monsignor Rino Fisichella.
Anche la fila degli onorevoli nello studio del cardinale Camillo Ruini (83 anni a febbraio) si è molto ridotta. Al potere temporale, il Papa vuole sostituire un potere morale, libero dalla politica e dal denaro. Anche sull’uso dell’otto per mille ha in serbo qualcosa: meno soldi all’istituzione, più ai poveri. Di fronte agli oltre 20 milioni di buco della diocesi di Terni, sulla quale indaga la magistratura, Papa Francesco vuole dare una lezione: 10 milioni saranno coperti dallo Ior ma gli altri 10 dovrà versarli la Cei. Un avvertimento per il futuro a tener d’occhio come sono amministrate le diocesi. Dopo il ventennio ruiniano, la Chiesa italiana ha faticato a trovare una leadership. Il Papa punta a far emergere nuove figure, possibilmente fuori dai giochi, come i curiali del nostro Paese che ha nominato cardinali: Pietro Parolin, Beniamino Stella, Lorenzo Baldisseri. Segno che la penisola avrà ancora un ruolo nella Chiesa di domani purché trovi il coraggio di cambiare passo.n © riproduzione riservata

Crisi, il 68% degli italiani costretto a rinunciare a bar, pizzerie e ristoranti

ristorante vuoto
La crisi economica è sempre più pesante per le famiglie in tutta la Penisola. Il 68% degli italiani ha tagliato i pasti fuori casa nei ristoranti, al bar in trattoria o in pizzeria per effetto della crisi.
Non è tutto. Il 60% ha anche ridotto le spese per l’intrattenimento, con una netta tendenza al peggioramento rispetto allo scorso anno ed effetti drammatici sulle imprese e sull’occupazione, evidenziati anche da Confesercenti. È quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla base dei dati Nielsen relativi al secondo trimestre 2013 dai quali si evidenzia il rischio di alimentare ulteriori effetti recessivi al consumo con l’aumento dell’aliquota Iva che scatta il primo ottobre. “Minori acquisti riguardano infatti – sottolinea la Coldiretti – dal 68% dei consumatori che hanno tagliato sull’abbigliamento al 43% che usano meno l’auto ma anche il 57% degli italiani che per risparmiare è stato costretto a scegliere a prodotti più economici nel largo consumo”.
“Un esempio eclatante – precisa la Coldiretti – è rappresentato dal fatto che per la prima volta dal loro arrivo in Italia si è addirittura ridotta la spesa per l’acquisto di insalate pronte fresche e confezionate che erano state immuni dalla crisi”.
Gli italiani adesso preferiscono passare piu’ tempo in cucina a lavare e tagliare l’insalata e sottrarre tempo al tempo libero pur di contenere i budget familiari. Fino alla fine del 2012, gli acquisti delle verdure di IV gamma – ricorda la Coldiretti – hanno registrato un costante trend in crescita, complici l’elevato contenuto di servizio e la praticita’ d’uso che ne hanno fatto impennare i consumi del 380 per cento in dieci anni nonostante prezzi decisamente piu’ elevati rispetto al fresco tradizionale.
“A preoccupare per i prossimi mesi e’ quindi – sostiene la Coldiretti – l’aumento dell’aliquota Iva che avrebbe un effetto valanga sull’88% della spesa degli italiani che viene trasportato su strada, a seguito del rincaro del costo del carburante. L’innalzamento dell’aliquota dal 21 al 22% colpisce direttamente i bicchieri degli italiani con rincari dalle bevande gassate ai superalcolici, dagli spumanti alla birra, dai succhi di frutta al vino, fino all’acqua minerale, mentre sono esclusi la maggioranza dei prodotti di largo consumo come frutta, verdura, carne, latte e pasta”. “In realta’ ad essere coinvolto e’ l’intero sistema economico. Se si vuole ripartire il primo punto da affrontare – conclude la Coldiretti – e’ quello di non penalizzare ulteriormente i consumi riducendo ulteriormente il potere di acquisto, compromesso dalla crisi”.

In Sicilia è allarme. Un esercito di 400mila giovani senza alcun futuro

disoccupazione
400.000 giovani. Questo l’impressionante dato siciliano. Non studiano né lavorano, sono i cosiddetti Neet (in inglese, “Not in Education, Employment or Training”).
La situazione dell’Isola va oltre questo dato inquietante. Oggi, i lavoratori coinvolti in vertenze sindacali nell’isola sono circa 100 mila; 84 mila sono i posti di lavoro andati in fumo nel secondo trimestre del 2013. La situazione sconfortante nel rilevamento fatto dalla Cgil.
Michele Pagliaro, segretario generale della Cgil Sicilia, dice che per ripartire “è necessario che il dibattito politico torni a guardare ai contenuti, a quella realtà dalla quale è sempre più scollato. In una regione in cui si contano circa 400 mila Neet credo che un serio sistema di formazione professionale sia quantomeno necessario”, denuncia Pagliaro. Una formazione, aggiunge, “ridotta per decenni a sistema clientelare”.
I giovani siciliani senza speranza, tornano ad emigrare. L’emigrazione giovanile, infatti, è tornata ad essere un problema, con circa 50 mila giovani che ogni anno lasciano l’Isola. Preoccupa il fatto che a partire siano i giovani più scolarizzati. Restano gli sfiduciati, mentre le energie migliori vanno via”.
“Nel secondo trimestre del 2013, rispetto allo stesso periodo del 2012, sono andati in fumo 84 mila posti di lavoro, di cui 26 mila in agricoltura, 17 mila nell’edilizia, 40 mila nel settore terziario – osserva Pagliaro -. Un dato drammatico che racconta come gli effetti devastanti della crisi si stiano vedendo adesso. Negli anni della recessione, la Sicilia ha perso un terzo della sua capacità produttiva a livello industriale. Le cifre degli ammortizzatori sociali in deroga raccontano di oltre 20 mila siciliani coinvolti”.
Per Pagliaro, per uscire da questa situazione “bisogna guardare alle singole criticità, agire prima che la vertenza diventi emergenza. Il brand “Sicilia” aspetta ancora le attenzioni della politica. Si puntava sull’area di libero scambio, pensando potesse diventare la piattaforma d’Europa e del Mediterraneo e invece il tema delle infrastrutture e della mobilità mostra una pessima immagine di questa regione”.

martedì 28 gennaio 2014

SCANDALOSO – E NESSUNO CI DICE NIENTE: tramite la fondazione Vedrò Letta e Alfano (E NON SOLO LORO) “prendono i soldi dalle lobby delle slot machine” !!! LEGGETE, INCAZZATEVI E DIFFONDETE !!!



zzz

SCANDALOSO – E NESSUNO DICE NIENTE: tramite la fondazione Vedrò Letta e Alfano “prendono i soldi dalle lobby delle slot machine” !!!
Non proprio “Nessuno dice niente”, lo dicono i Grillini, ma questi vengono sistematicamente CENSURATI dai mass-media.
Ed è questo l’aspetto più grave: l’On. Carlo Sibilia ha denunciato i loschi traffici di Letta, Alfano & C. in Parlamento, ma qualche media vi ha fatto arrivare la notizia??
Ecco il video con le gravissime accuse da noi pubblicato il 17 ottobre:
http://blogdieles.altervista.org/brevevideoaccusa/
DIFFONDETE QUEST’ARTICOLO, FACCIAMO SAPERE A TUTTI LA VERITA’ !!
La fondazione Vedrò, di cui fan parte Letta, Alfano e tanti altri ministri dell’attuale governo del Bilderberg più altri politici fuori governo come Renzi, prende i soldi dai concessionari delle slot machine.
Recentemente è stata accertata un evasione fiscale di BEN 98 miliardi di euro di cui 96,5 sono stati condonati, il comandante della Guardia di Finanza che ha accertato l’evasione, Rapetto, è stato costretto alle dimissioni.
Tra i concessionari di slot machine figura la Glembin sotto controllo di Mondadori e quindi del solito pregiudicato Berlusconi.
Il nanetto incassa e finazia la fondazione Vedrò di cui è mebro il suo braccio destro Alfano che è anche ministro dell’interno del governo Letta, quest’ultimo è un beneficiario dei finanziamenti della fondazione Vedrò.
Persino Renzi il rottamatore prende i soldi dalla stessa fondazione ed è stato concorrente alla ruota della fortuna, trasmissione in onda sulle reti mediaset di Berlusconi, il discorso da Renzi tenuto alla Leopolda prima della candidatura alla segreteria del Pd gli fu preparato da Giorgio Gori dirigente Mediaset.
Tra i finanziatori di Renzi ci sono: speculatori, banchieri, immobiliaristi, costruttori e sopratutto MPS, la banca la cui fondazione è in mano al PD
Le banche versano ingenti finanziamenti alla fondazione Vedrò, chissà come mai? Nessuno fa niente per niente.
Se Renzi è il futuro forse è il caso di cominciare a cambiare il passato già oggi.
Raccontare la politica seguendo la pista del denaro è tutta un’altra storia.
Se avete ancora dei dubbi su chi comandi veramente in questa colonia…….

I pm accelerano, De Girolamo tra gli indagati



Ipotesi di abuso e turbativa d'asta per le riunioni del "direttorio" con il dg dell'Asl. L'avvocato dell'ex ministro: non abbiamo ricevuto nessun avviso. E intanto alcuni studi professionali restituiscono somme "frutto di calcoli errati"

BENEVENTO - "Sviluppi giudiziari imminenti", soffiano le voci di Benevento. Ma una certezza intanto c'è: il cerchio delle indagini si è stretto. Secondo indiscrezioni figurano tra gli indagati l'ex ministro Nunzia De Girolamo e i dirigenti suoi fedelissimi, tra cui l'attuale direttore generale della Asl, Michele Rossi.

Almeno quattro filoni. Dodici, almeno, le persone inquisite. Il pool della Procura che si occupa della Sanitopoli beneventana punta sui molteplici aspetti di una spy story che sembra consumata in una vera e propria "faida", tra gruppi di potere, a colpi di registrazioni incrociate. Tutto comincia quando un dirigente dell'Asl, inquisito per truffa e peculato, Felice Pisapia, nel settembre del 2013 consegna alla Procura i file audio di lunghe conversazioni in cui la De Girolamo, Rossi, lo stesso Pisapia e altri discutono di "ogni aspetto della gestione" della Sanità sul territorio, a cominciare dalla gara d'appalto da 12 milioni per il 118.

Ora, attraverso interrogatori serrati, ricerca di documentazione e forse altre azioni in arrivo, i pm Giovanni Tartaglia Polcini, Nicoletta Giammarino e Flavia Felaco stanno stringendo sui capitoli più scottanti: la presunta turbativa sugli appalti; le transazioni milionarie e le domiciliazioni fasulle autorizzate con milioni di denaro pubblico, a favore di avvocati amici; e soprattutto le gesta di quel "direttorio", guidato dalla De Girolamo, che avrebbe ispirato a criteri di interesse personale o di ricerca di consenso elettorale, le scelte della Asl, come già paventava il gip Flavio Cusani nell'ordinanza del 27 dicembre.

Da fonti qualificate, ecco l'indiscrezione: l'attuale dg, Rossi, il manager che in privato si inchinava all'allora deputata Pdl ("Nunzia io non resterei un secondo di più alla Asl, se non per te e con te, perché la nomina l'ho chiesta a te, tu me l'hai data...") è indagato con le ipotesi di abuso e turbativa d'asta. Il suo nome porta direttamente all'ipotesi di concorso per l'ex ministro De Girolamo, e dei suoi fedelissimi. L'iscrizione nel registro degli indagati, per la De Girolamo, risalirebbe già a tempo addietro, ma coperta da segreto. Un dato che non contrasta con le affermazioni di Angelo Leone, legale dell'ex ministro: "Smentisco. Non ci sono state comunicazioni della Procura. Non abbiamo ricevuto né un avviso di garanzia, né un invito a comparire". Si può essere infatti indagati e non avvertiti dalla Procura. Una fonte autorevole sottolinea: "Le dimissioni? Una scelta avvenuta anche in ragione dell'incedere dell'inchiesta".

L'istruttoria ha imboccato una svolta. Lo segnalano due elementi. Da un lato, crolla il muro dell'omertà: alcuni testi, compresi dirigenti della Asl, si presentano in Procura. E c'è un altro fenomeno insolito: alcuni studi professionali si sono presentati per restituire all'Asl ingenti somme, frutto di "errati calcoli" o di transazioni sbagliate. Dopodomani, infine, torna davanti ai pm l'indagato-accusatore Pisapia. Non è escluso che decida di vuotare il sacco.

Lagarde: "In Ue 20 milioni di disoccupati. In Italia un terzo degli under 25 senza lavoro"

La direttrice del Fmi smorza gli entusiasmi sulla ripresa. Tre obiettivi per riportare una crescita sostenibile in Europa: rafforzare la struttura dell'unione monetaria, ridurre i livelli di indebitamento pubblici e privati, riformare i mercati del lavoro e dei prodotti

NEW YORK - Ancora allarme disoccupazione per l'Europa. A lanciarlo è il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, che denuncia quasi 20 milioni di disoccupati nel Vecchio Continente. "Fino a che gli effetti sul lavoro non saranno invertiti, non possiamo dire che la crisi è finita". Insomma, una bella secchiata ghiacciata sui già timidi entusiasmi di chi in questo periodo vede il bicchiere mezzo pieno e canta alla ripresa economica diffusa. "Per ridurre la disoccupazione bisogna prima capire il legame tra occupazione e lavoro: le persone consumano di meno se non hanno lavoro. Per creare lavoro ci serve recuperare crescita", spiega Lagarde presentando il suo libro su crescita e occupazione.

Poi Lagarde si sofferma sulla situazione dei giovani in Italia. "Mi preoccupa che quasi un quarto dei giovani europei under-25 non riesce a trovare un lavoro. In Italia e Portogallo più di un terzo dei giovani sotto i 25 anni è disoccupato. E in Spagna e Grecia sono più della metà". Secondo la direttrice del Fondo, tre sono le priorità per la politica economica nel medio e lungo termine: rafforzare la struttura dell'Unione monetaria, ridurre i livelli di indebitamento pubblici e privati, riformare i mercati del lavoro e dei prodotti. "L'Unione bancaria serve per stabilizzare il settore finanziario ed evitare contagi, e riduce l'incertezza per gli investitori", spiega Lagarde, secondo cui occorre agire anche sul debito perché
"impedisce la crescita" e sul mercato del lavoro "aumentando la protezione dei disoccupati". "La strada da percorrere", conclude Lagarde, "è sicuramente difficile", ma l'unica in grado di riportare l'Europa sul sentiero di "una crescita sostenibile".
(28 gennaio 2014)

Blitz Gdf romana, evasione e false fatture 9 arresti: c'è pure il commercialista Oliverio

Blitz Gdf romana, evasione e false fatture 9 arresti: c'è pure il commercialista Oliverio
Sequestrati beni per 154 milioni di euro a carico di 13 persone, non dichiarato al fisco 1 milione di euro. Scoperti soldi transitati su conti correnti svizzeri e monegaschi intestati a società panamensi. Coinvolto il noto 'faccendiere' già in carcere
Arrestate dalla Guardia di finanza di Roma, nove persone tra cui il commercialista e il noto ''faccendiere'' Paolo Oliverio. Sequestrati beni per 154 milioni di euro a carico di 13 persone e individuato un imponibile evaso per circa 1 miliardo di euro, attraverso l'emissione e uso di false fatture per oltre un miliardo e 300 milioni. Denunciate 79 persone e coinvolte 82 imprese: tra queste, alcune aggiudicatarie di appalti con la pubblica amministrazione. Milioni di euro transitati su conti correnti svizzeri e monegaschi intestati a società panamensi.

Nell'ambito dell'operazione della Gdf denominata Ermitage, figura anche Paolo Oliverio già arrestato, sempre dalle fiamme gialle, nelle scorse settimane e tuttora detenuto presso il carcere romano di Regina Coeli, nell'ambito dell'indagine che ha coinvolto, tra gli altri, padre Renato Salvatore, superiore generale dell'Ordine religioso dei Camilliani. I finanzieri del Comando provinciale di Roma hanno eseguito questa mattina, dando corso a 18 perquisizioni domiciliari in provincia di Roma, Genova, Novara, Crotone e Cuneo, le nove misure di custodia cautelare, di cui sei in carcere e tre agli arresti domiciliari, disposte dal giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Roma su richiesta della locale Procura della Repubblica - nei confronti di alcuni imprenditori.

I militari del II gruppo del Nucleo di polizia tributaria di Roma hanno sequestrato beni del valore di 154 milioni di euro a carico di 13 persone (tra cui due commercialisti), apponendo sigilli a 54 immobili, ubicati a Roma e provincia (tra cui un'ampia villa, di assoluto pregio, ad Albano Laziale, su 3 piani, di 14 vani per circa 500 mq, con annesso giardino di circa 2.500 mq, prospiciente al lago di Castel Gandolfo), a Milano, in provincia di Perugia, Viterbo, Latina ed in Toscana, sul Monte Argentario. Molte delle unità abitative citate erano formalmente intestate a una società ''cassaforte'', L'Ermitage s. r. l. (da cui il nome dell'operazione), fusasi poi, per incorporazione, in una società anonima svizzera, nell'ottica di schermare la titolarità effettiva dei beni.

Sequestrate anche auto, moto, quadri (alcuni di autori famosi quali Mario Schifano e Fernandes Armann), ulteriori beni mobili di valore, nonché una barca a vela di circa 15 metri e cospicue disponibilità finanziarie. Le misure cautelari e i provvedimenti ablatori traggono origine da complesse indagini nell'ambito delle quali erano state già effettuate, nel dicembre 2012, 44 perquisizioni nelle sedi legali e le unità operative di società e nelle abitazioni di indagati, che hanno portato alla denuncia di 33 persone, con il coinvolgimento di 32 società, facendo emergere un collaudato e gigantesco sistema di false fatture, emesse da imprese operanti nel settore dell'informatica e della gestione dei call center, che hanno sottratto al fisco materia imponibile in circa 570 milioni di euro, con un'effettiva evasione d'imposta, ai fini imposte dirette ed iva, stimata in circa 154 milioni di euro. Gli ulteriori sviluppi investigativi hanno consentito di segnalare all'autorità giudiziaria le responsabilità penali di altre 46 persone fisiche e di 50 società che risultano aver beneficiato del sistema di false fatture: tra queste, vanno menzionate dodici società vincitrici di appalti pubblici, società beneficiarie di finanziamenti comunitari, importanti imprese leader nel settore informatico.

I reati ipotizzati a carico delle 79 persone fisiche denunciate - tra cui 5 titolari di studi commercialisti - vanno dall'emissione e utilizzo di fatture false all'occultamento di scritture contabili, all'omessa dichiarazione dei redditi e iva, con l'aggravante della transnazionalità, alla sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, al millantato credito, al riciclaggio, alla bancarotta fraudolenta patrimoniale. Nei confronti di 11 soggetti è contestata pure l'associazione a delinquere. Nel complesso, le 82 società coinvolte (di cui 3 inglesi, 1 lussemburghese e 4 panamensi) hanno sottratto al fisco materia imponibile ad oggi stimata in oltre 1 miliardo di euro, con un'effettiva evasione d'imposta, ai fini imposte dirette e dell'iva, quantificata in circa 500 milioni di euro, negli anni dal 2006 al 2013.

Le indagini, in particolare, hanno preso avvio da una verifica fiscale nei confronti di una società operante nel settore informatico e hanno fatto emergere l'esistenza di una collaudata organizzazione, articolata su vari livelli, operante in diversi settori economici, di fatto costituente un vero e proprio ''gruppo societario'', riconducibile ad un unico dominus, Giovanni Mola, destinatario oggi di ordinanza di custodia cautelare in carcere, tuttora residente in Italia ma con rilevanti interessi economici anche in territorio svizzero, dove ha avuto la disponibilità di conti correnti monegaschi e svizzeri, fittiziamente intestati a società off - shore, su cui sono transitate somme pari a circa 110 milioni di euro. Mola che aveva l'hobby di organizzare e partecipare esposizioni, in vari Paesi del mondo, di moto d'epoca di valore, è risultato disporre, in aggiunta, di alcuni ''bond'' emessi da società di diritto britannico, per un valore di circa 80 milioni di euro. Le attività dei finanzieri hanno consentito di censire, all'interno del menzionato gruppo societario riconducibile a Mola (che non vi appariva formalmente), ben 32 imprese: alcune erano ''scatole completamente vuote'', costituite al solo fine di emettere false fatture; altre società sono risultate, invece, aver assunto anche centinaia di dipendenti (per poi cessare, riassumendo le medesime risorse in altre società, dal nome diverso) che venivano posti a disposizione di ulteriori imprese, questa volta ''terze'', cioè estranee al perimetro societario facente capo a Mola, spesso, come accennato, aggiudicatarie di appalti pubblici. Tali società beneficiavano di fatture totalmente fittizie o recanti corrispettivi sovradimensionati, emesse dalle imprese da Mola, cui faceva seguito la restituzione, in nero, di una frazione dell'imponibile, che veniva ''spartita'' tra lo stesso Mola ed i referenti delle stesse società terze beneficiarie, secondo un accordo tra le parti: il sistema consentiva alle società ''terze'' di abbattere il proprio reddito con fatture di acquisto ''gonfiate'' e di risultare (ingiustificatamente) competitive sul mercato. I ricavi connessi alla somministrazione di manodopera da parte delle società di Mola venivano abbattuti da costi documentati da fatture altrettanto fittizie e gli oneri contributivi ed assistenziali del personale assunto erano assolti utilizzando, in compensazione, indebiti crediti iva, costituiti attraverso, appunto, le false fatturazioni. Nel complesso, è stato documentato il ricorso a circa 1,3 miliardi di falsi documenti contabili; le dinamiche fraudolente, peraltro, sono state rese più complesse dall'utilizzo, da parte dell'organizzazione criminale, di società falsamente ubicate all'estero (spesso in Gran Bretagna), con personale in loco pienamente organico al sistema di frode, con il compito di riciclarne i proventi.

Le investigazioni hanno permesso, di fare piena luce sul ruolo di primissimo piano svolto da Paolo Oliverio, che si sarebbe inserito nel contesto associativo orchestrato da Mola, sia grazie alla sua capacità di risolvere problematiche varie connesse
ad alcuni intervenuti accertamenti tributari che quale organizzatore materiale dell'occultamento della documentazione contabile delle società del gruppo. Oliverio inoltre, risulterebbe, secondo gli inquirenti, aver fornito un contributo essenziale per ostacolare le azioni di recupero erariale, anche in pregiudizio dei creditori, acquistando, ad esempio, nel settembre 2012, un immobile di proprietà di una società riconducibile a Mola, dichiarata fallita dopo soli due mesi.

Legge elettorale, Renzi riapre a Berlusconi: Pd ritira modifiche all'Italicum, Forza Italia no



Alla vigilia della data fissata per l'approdo del testo in aula alla Camera ma all'indomani della frenata impressa a causa dello scontro tra i due partiti, riprende quota la trattativa. Atteso per oggi, infatti, nuovo incontro tra segretario ed ex premier per chiudere l'accordo
ROMA - Da un lato c'è l'assetto di governo, che oggi è talmente precario da congelare l'annunciato 'patto di coalizione' per il 2014. Dall'altro ci sono le riforme da fare alla svelta, legge elettorale in primis: gestita direttamente dal segretario democratico Matteo Renzi, la revisione del Porcellum ora assomiglia tanto a una bomba che, dopo lo scontro di ieri tra Pd e Forza Italia, rischia di far esplodere l'Esecutivo guidato da Enrico Letta. Ecco perché la trattativa sull'Italicum tra lo stesso Renzi e Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, oggi riparte con l'obiettivo di dipanare i punti su cui si sta consumando lo scontro: innalzamento dal 35 al 38% della soglia fissata per accedere al premio di maggioranza, delega sui collegi e preferenze.

La novità di stamani è che il Pd ha ritirato la maggior parte dei propri emendamenti, confermando solo i tre relativi all'innalzamento della soglia di sbarramento per accedere al premio di maggioranza, alle primarie facoltative e alla delega al governo per la ridisegnazione dei collegi. Forza Italia, invece, contrariamente a quanto appreso in precedenza, ha mantenuto tutti gli emendamenti depositati. La conferma arriva dal presidente della commissione, Francesco Paolo Sisto (Fi): "Allo stato - riferisce Sisto - sono stati ritirati solo gli emendamenti del Pd. In tutto, quelli ammessi, sono circa 250-260". Sul tavolo rimane pertanto anche il cosiddetto emendamento 'salva Lega' che prevede il ripescaggio dei partiti fortemente radicati in un determinato territorio qualora questi superino l'8% dei voti in 7 circoscrizioni: una sorta di ciambella di salvataggio lanciata dall'ex premier agli ex alleati del Carroccio che si riproporrebbe anche nella versione fotocopia presentata dalla Lega stessa.

Indicativa di una disponibilità a discutere fino in fondo con quello che viene riconosciuto come il principale alleato di governo era stata, già ieri sera, la decisione presa dai membri Pd della commissione Affari costituzionali della Camera, di ritirare quasi tutte le proposte di modifica al modello di legge elettorale sul tavolo. Alle 13 di ieri era scaduto il termine per la presentazione degli emendamenti ed erano state 318 le proposte arrivate. Ma in serata Renzi aveva convinto i deputati Pd ad un 'ritiro tecnico' delle proposte di modifica non concordate con Fi e Nuovo centrodestra proprio per permettere la prosecuzione della trattativa con Forza Italia e in vista soprattutto di un possibile incontro (o comunque contatto) oggi con Berlusconi. Vero è che un'intesa tra i due rischia di non avere vita facile in aula, dove peraltro a seguito della frenata di ieri il testo potrebbe arrivare con un giorno di ritardo rispetto alla data già fissata del 29 gennaio. Ciò tuttavia non smuoverebbe l'ostacolo che la nuova legge elettorale si troverebbe davanti, e cioè l'esiguità delle truppe renziane all'interno dei gruppi dem di Camera e Senato. Un fatto questo che potrebbe creare non poche difficoltà al progetto del segretario. Da qui il tentativo di Renzi di allargare il più possibile il fronte favorevole alla nuova legge, cercando di rendere il più omogeneo possibile lo schieramento. Ecco allora la necessità di avere dalla propria parte, oltre che Forza Italia, anche Ncd di Angelino Alfano, che servirebbe a mitigare le forti insofferenze della minoranza Pd.

Sul tavolo della commissione, dunque, erano rimasti la delega al governo per la definizione dei nuovi collegi elettorali, l'innalzamento della soglia per il premio dal 35 al 38% e la previsione di primarie previste per legge ma non obbligatorie. Ieri sera ad un certo punto sul premio di maggioranza era sembrato che Renzi e Denis Verdini, plenipotenziario di Fi, potessero raggiungere una sorta di intesa. Sul tardi, però, ci ha pensato Renato Brunetta, capogruppo di Fi a Montecitorio, a stoppare la questione: "Non c'è nessun accordo sull'innalzamento della soglia dal 35 al 38 per cento. Forza italia smentisce nella maniera più assoluta che ci sia un accordo. Per noi i patti vanno mantenuti. Noi li manterremo e speriamo che li mantenga anche il Pd". A commentare la retromarcia ci pensa, alcune ore più tardi, Lorenzo Guerini, portavoce della segreteria Pd: "Le modifiche al 35 per cento? Verdini sa bene che sono fondamentali".

A quel punto, l'aut aut di Renzi al partito - "o ritirate gli emendamenti o annuncio che il gruppo non mi segue" - raggiunge lo scopo nel momento in cui incassa l'ok di Gianni Cuperlo, principale esponente della minoranza democratica. Di sicuro c'è che il tempo per chiudere un accordo sulla legge è ormai al limite. I nodi aperti sono ancora molti e domani il testo dovrebbe approdare in aula.

Oggi, intanto, dal Movimento 5 Stelle via alle consultazioni on line sui colleggi: "Oggi - si legge in un post pubblicato sul blog di Beppe Grillo, leader del M5S - gli iscritti ceritificati votano per il secondo punto della legge elettorale del M5S dopo la scelta tra proporzionale e maggioritario, che ha visto prevalere il proporzionale. Il punto di oggi riguarda i collegi. E' possibile scegliere tra: collegio uninominale, collegio unico nazionale o collegio intermedio". Il sistema di votazione sarà attivo oggi dalle 10 alle 19.

Bankitalia: la povertà è salita al 16%. Il reddito delle famiglie cala del 7,3%

Un italiano su sei vive con meno di 640 euro netti al mese. Aumenta al concentrazione della ricchezza: il 10% della famiglie possiede il 46,6% del patrimonio. Una famiglia su due ha un reddito complessivo annuo inferiore ai 25mila euro

MILANO - La crisi picchia sulle famiglie italiane: aumenta la povertà e diminuiscono i redditi. Secondo l'indagine biennale di Bankitalia sui bilanci delle famiglie italiane tra il 2010 e il 2012 il reddito familiare medio in termini nominali è diminuito del 7,3%, mentre la ricchezza media del 6,9%, mentre la povertà è salita dal 14% del 2010 al 16% nel 2012. La Banca d'Italia individua la soglia di povertà con un reddito di 7.678 euro netti l'anno (15.300 euro per una famiglia di 3 persone): un italiano su sei vive con meno di 640 euro al mese.

Se aumenta la povertà, l'altra faccia della medaglia mostra una sempre maggior concentrazione della ricchezza: il 10% delle famiglie più ricche possiede il 46,6% della ricchezza netta totale (45,7% nel 2010). La quota di famiglie con ricchezza negativa è invece aumentata al 4,1% dal 2,8% del 2010. La concentrazione della ricchezza è pari al 64%.

Dallo stesso studio emerge che metà delle famiglie italiane vive con meno di 2.000 euro al mese: in particolare solo una famiglia su due ha un reddito annuo superiore ai 24.590 euro, mentre un 20% conta su un reddito addirittura inferiore ai 14.457 euro (1.200 euro al mese). Il 10% delle famiglie a più alto reddito, invece, percepisce più di 55.211 euro.

Più di una famiglia italiana su quattro (26,1%), inoltre, possiede almeno un debito, per un ammontare medio di 51.175 euro (nel 2010 erano il 27,7% per un ammontare medio di 43.792 euro). Si tratta, per
lo più, di famiglie a reddito medio-alto, con capofamiglia di età inferiore ai 55 anni, lavoratore indipendente o con elevato titolo di studio: la maggior parte dei debiti è costituita da mutui per l'acquisto e per la ristrutturazione di immobili.


 
(27 gennaio 2014)

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