Parla l'ex boss al processo per favoreggiamento alla mafia, in corso a Palermo, a carico dell'ex generale dei Carabinieri, Mario Mori. "Mi disse: 'ho consegnato il papello con le richieste scritte'". E chiarisce alcuni particolari del fallito attentato allo stadio Olimpico
L'ultima volta Brusca era stato ascoltato, sempre al processo Mori, il 18 maggio scorso a Rebibbia. E in quell'occasione aveva già parlato dell'incontro con Riina il cui il boss gli aveva riferito del 'papello', cioè le richieste avanzate dal capo mafia allo Stato per fare cessare la strategia stragista. Ma non ricordava la data dell'incontro con Riina, e non era riuscito a collocarla se era avvenuta prima o dopo la strage di Borsellino, avvenuta il 19 luglio '92. Il collaboratore ha voluto aggiungere nuovi particolari sul punto e ha chiesto ai giudici di tornare sul banco dei testimoni.
"Dopo l'audizione del 18 maggio sono tornato in cella e ho ricordato come sono andati i fatti - ha ricordato Brusca - Incontrai Riina a casa del boss Girolamo Guddo e lì, dopo esserci appartati per una decina di minuti, mi disse: 'finalmente si sono fatti sotto, gli ho consegnato il papello con le richieste scritte (allo Stato ndr). In quella occasione me ne parlò per la prima volta. Sempre allora si vantava del fatto che erano stati mobilitati anche i servizi segreti anche se non era così. Mi disse che lo Stato se l'era fatta sotto e mi fece intendere dell'esistenza della trattativa".
E ha continuato: "Ricordo adesso che l'incontro con Riina avvenne prima del 16 luglio quando andai a casa di Salvatore Biondino, il suo autista, per chiedere una cortesia. In quell'occasione Biondino mi disse: 'siamo sotto lavoro' e tre giorni dopo (dopo la strage di via D'Amelio ndr), capii di che cosa si trattava".
Questa è la cronologia dei fatti ricostruita da Brusca: Riina, tra fine giugno e inizi luglio del 1992, a margine di un summit di mafia a casa del mafioso Girolamo Guddo gli avrebbe detto che "lo Stato finalmente si era fatto sotto e che lui gli aveva dato un papello con una serie di richieste scritte".
Successivamente Brusca e il capomafia corleonese si sarebbero visti in un'altra occasione per programmare un duplice omicidio ma non sarebbero tornati a discutere del papello. Il 16 luglio del '92, tre giorni prima dell'omicidio di Borsellino, Brusca avrebbe incontrato il boss Salvatore Biondino che gli avrebbe accennato ad un "lavoro da compiere". Il pentito avrebbe poi capito che si riferiva alla strage di via d'Amelio. Sempre in quella occasione, Biondino gli riferì da parte di Riina di sospendere i preparativi di una serie di attentati progettati a politici come l'ex ministro Calogero Mannino.
Infine Brusca ha ricordato di avere rivisto Riina a metà agosto del '92. Il pentito ha voluto ricordare la scansione temporale di quei mesi a riprova del fatto che di trattativa si parlò prima dell'eccidio di via D'Amelio. In occasione dell'incontro di agosto, a cui erano presenti anche i boss Vincenzo Sinacori e Leoluca Bagarella, sarebbe venuta fuori l'esigenza "di dare un altro colpetto per far tornare qualcuno a trattare".
L'ex capomafia di San Giuseppe Jato ha collocato, dunque, le sue informazioni sulla trattativa in un momento precedente all'attentato in cui furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta il 19 luglio del 1992. Il dettaglio assume particolare rilievo e va a sostegno dell'ipotesi investigativa secondo cui Borsellino fu eliminato perché rappresentava un ostacolo ai contatti tra i vertici mafiosi ed esponenti delle istituzioni.
Brusca ha anche citato per la prima volta Gaspare Spatuzza, collaborante sulla cui attendibilità i magistrati non sono unanimi. In particolare, ha detto che Spatuzza gli riferì del fallito attentato allo stadio Olimpico, programmato per il gennaio del 1994, e gli disse che doveva essere "una vendetta nei confronti dei carabinieri che ci hanno preso in giro". Brusca ha sostenuto di aver saputo sempre da Spatuzza che l'autobomba era stata preparata per causare un alto numero di vittime, e imbottita di bulloni e pezzi di ferro che con l'esplosione sarebbero stati sparati come proiettili nel raggio di decine di metri. Il pentito non ha specificato quando ha ricevuto queste confidenze da Spatuzza, anche se ha puntualizzato che fu sicuramente dopo il 1994 perchè dell'attacco all'Olimpico non aveva alcuna conoscenza. L'autobomba, una Lancia Thema, era stata effettivamente collocata allo stadio, ma non scoppiò per un difetto del telecomando che avrebbe dovuto innescare la deflagrazione.
Nel corso della deposizione del pentito, durate oltre due ore e mezzo, diverse contraddizioni sono state rilevate dalla difesa di Mori e Obinu e dagli stessi giudici.
Al termine dell'udienza, il pm Antonino Di Matteo ha chiesto l'acquisizione di numerose circolari riservate del ministero dell'Interno scritte tra il 14 gennaio e il 31 marzo 1992 su "intensi allarmi per una campagna terroristica contro esponenti politici" dell'epoca. In particolare, il pm ha chiesto al Tribunale di acquisire le circolari, tra cui telegrammi, fonogrammi e altri documenti sulla "possibile campagna di destabilizzazione con attentati nei confronti di esponenti politici". Nel 1996 Giovanni Brusca, dopo avere deciso di collaborare con i magistrati, disse ai pm che tra gli obiettivi di cosa nostra c'erano anche esponenti politici, tra cui esponenti del governo, "come Calogero Mannino e Carlo Vizzini".
Il pm ha parlato, quindi, di esponenti politici nel mirino tra cui "personaggi dell'allora Dc, Psi e Ds". Sempre oggi il pm ha chiesto di produrre diversi articoli di stampa "successivi all'entrata in vigore del decreto del 41 bis", cioè il carcere duro per i boss, scritti tra l'8 giugno e i primi di luglio del '92.
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