Si è appena conclusa un’udienza durata quasi 8 ore, presso l’aula bunker del carcere di Rebibbia di Roma, del processo Borsellino quater, nel quale i pubblici ministeri di Caltanissetta Sergio Lari, Domenico Gozzo, Stefano Luciani e Gabriele Paci, indagano sulla morte del giudice Paolo Borsellino, ucciso nella strage di via D’Amelio il 19 luglio 1992 insieme agli agenti della sua scorta – Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina .
Tra gli imputati Salvatore Madonia, Vittorio Tutino, Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Calogero Pulci.
Oggi sono stati ascoltati i pentiti Gaspare Mutolo, Agostino Trombetta e Pietro Romeo.
Gaspare Mutolo ha delineato uno scenario, che rimanda immediatamente al clima dei racconti di Leonardo Sciascia, di tacito accordo e di pacifica convivenza fra mafia, forze dell’ordine e chiesa cattolica. In questo periodo storico durato fino ai primi anni ‘80, i mafiosi non erano visti come delinquenti ma, semplicemente, come persone in grado di mantenere un ordine incutendo una giusta dose di timore, motivo per cui ci si guardava bene dall’arrestarli. Poi le cose iniziarono a cambiare e Mutolo, che ha ancora un retaggio che vede sopravvivere il mito di un’etica della mafia, ha dichiarato di aver iniziato a collaborare “quando i corleonesi iniziarono a uccidere le donne e i bambini che non si toccano e io non mi sentivo più un uomo d’onore”. All’inizio della sua collaborazione, Mutolo avrebbe voluto affidarsi a Falcone, che stava però già a Roma, per parlare soprattutto del coinvolgimento del giudice Signorino e di Contrada, ma da Falcone stesso viene rimandato a Borsellino, che era a Marsala.
“L’incontro, inizialmente ostacolato da Giammanco, avvenne il giorno 1 luglio del 1992 e fu tormentato. Io dissi che dovevamo partire dall’indebolire il potente ‘esercito armato della mafia’ che metteva in pericolo perché controllava tutti i rioni. Doveva essere un incontro segreto, ma il dottor Borsellino riceve una telefonata dal ministro Nicola Mancino che, quindi, sapeva dov’era e interrompiamo l’interrogatorio perché Borsellino va da Mancino” continua Mutolo “Al ritorno, Borsellino era agitato e nervoso al punto di avere acceso due sigarette, una in bocca e una nella mano. Mi porta i saluti di Contrada, che aveva incontrato all’uscita del ministero, e mi riferisce che gli ha detto, con tono sarcastico, che per qualsiasi cosa mi potevo rivolgere a lui, ma in verità voleva dirmi di non parlare”. Mutolo, che è il collaboratore con il quale nasce la Dia e che ne diventa consulente, durante l’udienza di oggi, ha fatto riferimento, per la prima volta, a personaggi importanti di Palermo dai quali lui stesso cercava informazioni e che spingeva a collaborare fra il 1991 e il 1992. “Non posso fare i nomi così pubblicamente” ha risposto a una richiesta di ulteriore approfondimento “li farò se me li chiede un giudice. Comunque, non li cercavo per favori personali ma allargavo il mio campo d’azione per la Dia” e, su di loro, ha aggiunto soltanto che “sono professionisti pacifici che oggi continuano a lavorare, persone per bene che già allora rischiavano”.
Dopo la morte di Borsellino – che Mutolo ha definito “uno che non sentiva le redini” – i giudici Natoli e Lo Forte continuano a indagare con l’inchiesta ‘Golden Market’, così denominata a partire dalle iniziali del nome e cognome di Gaspare Mutolo.
Il secondo teste di oggi è Agostino Trombetta che apparteneva al mandamento di Brancaccio ed era l’autista di Gaspare Spatuzza – che all’epoca era capomandamento di Brancaccio – e lo proteggeva durante la sua latitanza cercandogli posti sicuri.
Trombetta decide di collaborare con la giustizia dall’aprile del 1996, la sera stessa in cui viene arrestato.
Interrogato a proposito delle sue attività lecite, dichiara: “avevo un’autofficina e un’autolavaggio in società con Maurizio Costa; lui era il vero e proprio meccanico, io facevo rubare o rubavo le macchine per montare i pezzi e poi rivenderle”. Trombetta viene ascoltato soprattutto in merito alla Fiat 126 e racconta che “una mattina cercavo Maurizio nei vari bar del quartire perché non riuscivo a trovarlo, poi lo vedo arrivare da una stradella di campagna che collega un magazzino dove facevamo riparazioni e smontavamo macchine rubate. Mi dice che è stato in giro a comprare cose che gli aveva commissionato Gaspare Spatuzza dandogli anche centomilalire: doveva sistemare i freni di una Fiat 126 vecchissima che aveva la carrozzeria malridotta e pure un fanale rotto. Mi dice pure che aveva notato qualcosa di strano, tipo un ripetitore sotto il sedile e che Spatuzza lo aveva bruscamente tirato fuori dalla macchina. Spatuzza diceva che la macchina voleva ripararla per la sorella, ma era strano che non mi avesse coinvolto e che, tirchio com’era, avesse uscito anche centomilalire”.
Purtroppo, è chiaro immediatamente a tutti di quale Fiat 126 stiamo parlando.
Per concludere, Trombetta ha risposto affermativamente alle domande riguardanti la sua conoscenza di Vincenzo Scarantino, del quale ha detto essere “uno spacciatore che si sentiva un grande mafioso ma era un grande infamone” e di Vittorio Tutino che “era il killer della famiglia Graviano”.
Agostino Trombetta ha concluso la propria dichiarazione con delle forti lamentele riguardanti la sua attuale situazione di collaboratore di giustizia che dal 2004, essendo stato capitalizzato, non ha più diritto al programma di protezione.
Come ultimo collaborante è stato ascoltato Pietro Romeo, appartente al gruppo di fuoco di Brancaccio che, poi, dal 1995 ha deciso di collaborare con la giustizia perché “mi volevo liberare da tutto quello che avevo fatto e volevo cambiare vita”.
La sua dichiarazione vale tutte le 8 ore dell’udienza di oggi.
Interrogato a proposito delle motivazioni delle stragi del 1993 e sui rapporti fra Cosa nostra e gli esponenti politici, ha raccontato che “dopo che Pasquale De Filippo aveva fatto arrestare Nino Mangano e Bagarella, io ho assistito a un incontro fra Francesco Giuliano e Gaspare Spatuzza durante il quale Giuliano chiese: «Chi è il politico che ha fatto mettere le bombe, Andreotti o Berlusconi?» e Spatuzza rispose «Berlusconi, quello di canale cinque». In effetti, Berlusconi era in contatto diretto con i fratelli Graviano, i quali andavano a Milano per discutere con lui di queste cose” e sui motivi di questo contatto, Romeo ha dichiarato: “Berlusconi aveva promesso ai Graviano che si sarebbe interessato per le questioni del 416 bis”.
Il processo è stato rinviato all’udienza di domani, 27 maggio, alle ore 9.30 sempre presso l’aula bunker del carcere di Rebibbia di Roma e verranno ascoltati Ferrante, Grigoli, Sinacori e Drago.