sabato 29 settembre 2012

Zombi e mostri viventi camminano politichevolissimevolmente


Giustizia sia fatta
Zombi che si sono nutriti di corruzione, di ruberie, di saccheggi di prostituzione in un Italia già prostrata verso un futuro incerto. Un catastrofico e apocalittico futuro destino decretato da un governariato infame e ingrato verso un paese ricco di meraviglie, dall'arte alla creatività, da esploratori e scienziati, che il mondo intero ci invidia e vede ancora come un paradiso terrestre. Zombi stanno tornando nelle loro dimore, nei loro sarcofaghi e nelle loro tombe per lasciare finalmente un paese libero e giusto.

Alla mia nazione di Pasolini:

"Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico, ma Nazione vivente, ma Nazione Europea. Che cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti. Governanti impiegati di agrari, prefetti codini, avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi. Funzionari liberali, come gli zii bigotti, una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino. Milioni di piccoli borghesi, come milioni di porci, pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti tra case coloniani scrostate colmi come chiese. Proprio perchè tu sei esistita, ora non esisti. Proprio perchè fosti cosciente ora sei incosciente, e solo perchè sei cattolica, non puoi pensare che il tuo male, tutto il male, colpa di ogni male, sprofonda in questo tuo bel male. 
LIBERA IL MONDO











 

  



venerdì 28 settembre 2012

Lavitola a Berlusconi: "Lei è in debito con me" Fini: "Ex premier corruttore". Replica: lo querelo

L'ex editore dell'Avanti detta le condizioni "per aver comprato il senatore de Gregorio e i senatori necessari a far cadere Prodi, per aver fatto pervenire a Mastella le notizie della Procura di Santa Maria Capua Vetere e per l'affaire casa di Montecarlo". E chiede posti di lavoro per parenti e conoscenti. La reazione di Fini: "Sono disgustato, mio errore capitale confluire nella destra. Ora gli italiani capiranno chi è il Cavaliere". Bonaiuti annuncia azioni giudiziarie

di DARIO DEL PORTO e CONCHITA SANNINO
Venti pagine di una lettera scritta al computer. Per richiamare al pagamento dei suoi "debiti morali" e materiali Silvio Berlusconi. E per raccontare "il mostro" che lui stesso, Valter Lavitola, dice di essere diventato. Con un ampio spazio dedicato all'affaire "casa di Montecarlo". Parole che infiammano la politica. "Berlusconi è un corruttore, sono disgustato", dice Gianfranco Fini. Con la replica immediata di Bonaiuti che annuncia "azioni giudiziarie" nei confronti del presidente della Camera.

All'origine del caso una lettera, datata "Rio de Janeiro 13 dicembre 2011", e sequestrata dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza su mandato dei pm Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli. E' stata trovata nel computer dell'uomo d'affari italoargentino Carmelo Pintabona  -  indagato perché ritenuto il tramite tra Lavitola e l'ex premier  - e depositata agli atti del giudizio immediato a carico di Valter Lavitola (ex direttore ed editore de l'Avanti! imputato di tentata estorsione ai danni di Silvio Berlusconi). In quello scritto, che secondo quanto riferito da Pintabona non sarebbe stato recapitato al Cavaliere, Lavitola detta le sue condizioni all'uomo che, in quel momento, è il capo del governo italiano. Indica nomi, fatti, circostanze sulla cui fondatezza sono in corso accertamenti. Ovviamente, è solo la versione di Valter.

"Lei mi fa male a paragonarmi ai mafiosi"

Valter

comincia con un richiamo all'ex premier. "Leggere che lei mi accomuna a un mafioso mi ha fatto molto male", scrive a Silvio. Lavitola si riferisce a quanto dichiarato dal maggiordomo di Palazzo Chigi agli inquirenti napoletani Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli, il quale ricorda che "quando consegnai le sim straniere a Berlusconi lui disse "ma guarda un po' queste cose le fanno i mafiosi"".

Lavitola spiega ancora: "Le dico francamente: non so se le sue prese di distanza sono reali, o frutto di un misto di istinto di conservazione, vigliaccheria e cattivi consigli, o come spero, di un giusto e normale gioco delle parti".

"Ecco perché è in debito con me"

Berlusconi, asserisce Lavitola, era "in debito" per una pluralità di ragioni: "Per aver io comprato De Gregorio, tenuto fuori dalla votazione cruciale Pallaro, fatto pervenire a Mastella le notizie dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, dove erano arrivate le pressioni per il vergognoso arresto della moglie, e assieme a Ferruccio Saro e al povero Comincioli aver lavorato Dini. Ciò dopo essere stato io a convincerla a tentare di comprare i senatori necessari a far cadere Prodi". Quanto al ruolo che notoriamente Lavitola aveva svolto nell'affaire della casa di Montecarlo, che risulterà riconducibile al cognato del presidente della Camera Fini, Lavitola per la prima volta mette nero su bianco e ricostruisce testualmente: "Ho ricevuto 400-500mila euro di rimborso per la casa di Montecarlo" e racconta di aver fatto arrivare in Italia "i documenti originali di Santa Lucia con un volo privato da Panama a Roma con un volo messo a disposizione dal presidente panamense Martinelli". "Li portarono fuori (i documenti, ndr) i piloti".

"La foto di Berlusconi con i camorristi"


Entra in gioco nella lunga lettera di Lavitola anche il presunto ruolo svolto, secondo Valter, a tutto campo da un ex maresciallo dei carabinieri, Enrico La Monica, già coinvolto assieme al parlamentare del Pdl Alfonso Papa e all'uomo d'affari Luigi Bisignani nell'inchiesta sulla P4. Il sottufficiale avrebbe distrutto, scrive Lavitola, alcune fotografie in cui Berlusconi era ritratto insieme con l'ex governatore della Campania Antonio Bassolino e alcuni affiliati a clan camorristici. Affermazioni su cui Bassolino interviene dicendo: "Ho incontrato Berlusconi sempre e soltanto in sede istituzionali: al comune di Napoli, in Prefettura, a Palazzo Chigi. E' allora evidente che l'affermazione contenuta nella lettera di Lavitola di presunte fotografie  poi distrutte da un certo Lamonica  è non solo destituita di ogni fondamento ma è anche una torbida provocazione".

Ma torniamo alla lettera. Scrive Valter, riferendosi alle inchieste che lo vedono sotto accusa tra Napoli, Roma e Bari: "Tra le "aberranti accuse a me mosse", c'è dunque la P4, "per averLe insistentemente raccomandato il maresciallo La Monica. Era la fonte che ha quantomeno ha contribuito a salvare Bertolaso (glielo può chiedere), ci ha coperti nell'indagine sull'acquisto dei Senatori, ha dato una mano sul serio nelle indagini su Saccà (con le intercettazioni) e Cosentino, e ha eliminato alcune foto che La vedevano ritratto assieme a Bassolino e ad alcuni mandanti della camorra per la vicenda dei rifiuti (sono certo che lei non sapesse chi fossero). Eravamo  -  prosegue la lettera di Lavitola  -  in grande debito e lui si era reso conto che Bisignani e Papa lo sfruttavano e lo prendevano in giro promettendogli di andare ai Servizi per guadagnare 2000 euro in più al mese. Io lo mantengo da un anno in Senegal. Non c'è nulla di più pericoloso di un amico che si sente tradito, abbandonato e senza vie di uscita".

"Ricordi che lei doveva farmi ministro"

Ecco i presunti impegni che, secondo Lavitola, sarebbero stati assunti da Berlusconi nei suoi confronti e in gran parte disattesi. "Lei mi ha ha promesso: più volte di entrare al Governo (persino mi chiamò dopo la nomina della Brambilla e con onestà mi disse che era dispiaciuto di non riuscire solo con me a mantenere la parola); di mandarmi al Parlamento Europeo (alle precedenti presi da solo 54.000 preferenze); di entrare nel Cda della Rai; che il primo incarico importante che si fosse presentato sarebbe stato per me (inizio 2010), di collocare la Ioannuci nel cda dell'Eni; di nominare Pozzessere almeno direttore generale di Finmeccanica".

"Ecco perché mi aspetto il suo aiuto"


Valter chiede posti di  "lavoro"  per la moglie, la sorella, il suo ex autista, due ragionieri e un giornalista, con tanto di indicazione di qualifica e stipendio. Quindi una serie di pagamenti in contanti: mezzo milione di dollari per un affare, 5 milioni per un pagamento che deve ad un avvocato, 900mila euro per un'altra pratica. Infine riepiloga a numeri, e tra parentesi, tutti i soldi che vuole incassare da Berlusconi "come prestito". E assicura: "Assieme alla somma prima elencata (900.000 $ + 500.000 $ + 5 milioni di euro) le restituirò anche i 255 mila euro residuo dei 500.000 affidatimi per i Tarantini". E aggiunge: "È la prima volte che le chiedo un aiuto (...) Senza il suo prestito, con le fideiussioni che ho prestato, mi ridurrei (Dio non voglia) alla fame". Tutto, sostiene ancora Valter, "per avere indotto Tarantini a mentire nel 2009 (sulla vicenda delle escort su cui indaga Bari, ndr), pur essendo io indagato solo dal giugno 2011. Da ciò è nato il mostro che sono diventato e con il quale nessuno vuoel avere più a che fare.

La reazione di Fini. Commentando la lettera - per quanto riguarda la vicenda della casa di Montecarlo - il presidente della Camera lancia un durissimo attacco all'ex premier: "ll signor Berlusconi è un corruttore - dice ospite di Otto e mezzo - e ora se vuole mi quereli. Io parlo agli elettori, a me dispiace che tanti amici non abbiano capito quale è la natura del Pdl. La destra doveva essere un'altra cosa. Il mio errore capitale è stato confluire nel Pdl". E ancora: "Ci avevano avvisato, io ho fatto il ministro degli Esteri e ho molti amici anche a livello di intelligence, che quel documento era falso ed era ottenuto attraverso una estorsione. E' stata una delle più disgustose campagne mediatiche, è il metodo Boffo". "Dovrei dire che sono soddisfatto e che il tempo e ' galantuomo - conclude - invece dico che sono profondamente indignato e spero che gli italiani capiscano ora chi e' Silvio Berlusconì. Provo disgusto nei confronti di una persona che davvero merita di essere conosciuto per quello che autenticamente è. E non mi riferisco a Lavitola".

Berlusconi annuncia azioni giudiziarie. La replica del Cavaliere arriva un'ora e mezzo dopo l'attacco di Fini. Ed è affidata al portavoce, Paolo Bonaiuti. "Silvio Berlusconi, in relazione alle dichiarazioni di questa sera di Gianfranco Fini, ha dato ampio mandato ai suoi legali di esperire tutte le più opportune e necessarie azioni giudiziarie". In una nota dell'ufficio stampa di palazzo Grazioli si legge: "Stupisce che Fini fondi le sue opinioni su un documento il cui contenuto non è stato in alcun modo avvalorato dal suo asserito autore e non ha avuto alcun riscontro nelle sedi proprie". Gianfranco Fini, in una controreplica, si dice "lieto" dell'azione giudiziaria e chiude: "Ci vedremo in tribunale".

mercoledì 26 settembre 2012

Roma, “violenza sessuale su una sedicenne”. Arrestato il figlio del giudice Vitalone

Lo stupro risalirebbe al maggio scorso. Vittima una studentessa di 16 anni che poi ha denunciato l’abuso subìto. I due, secondo il racconto della giovane, avrebbero bevuto molto alcol, poi si sarebbe verificato l'abuso

Roma, “violenza sessuale su una sedicenne”. Arrestato il figlio del giudice Vitalone
L’ennesima violenza sessuale figlia dello sballo della movida a Roma. Ma stavolta il cognome del presunto aggressore è illustre negli ambienti della politica e della magistratura. Le manette sono scattate per Alexandro Vitalone, 33 anni, figlio dell’ex-ministro e magistrato Claudio, arrestato nella Capitale dagli agenti della Squadra Mobile. E la vittima è una studentessa romana di 16 anni.
La presunta violenza risale al 9 maggio scorso, quando la ragazza ha conosciuto Alexandro nei pressi di via Veneto. I due hanno passeggiato e scherzato insieme, poi qualche drink di troppo, in giro in macchina e a piedi per tutta la notte nei luoghi della movida romana, fino a Campo De’ Fiori. In un vicolo appartato nei pressi della piazza, intorno all’una – come poi ha riferito alla polizia – sarebbe stata costretta a un rapporto sessuale in strada, quando era ormai ubriaca. Il tutto tra il frastuono e la distrazione della movida romana, con decine di giovani nella vicina piazza. Poi di quella notte la vittima, in lacrime, non ricorda più nulla.
Dopo qualche giorno i ricordi affiorano: la studentessa denuncia tutto agli agenti. Al termine delle indagini della Squadra Mobile di Roma, dirette da Renato Cortese, l’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata emessa dal gip Nicotra presso il tribunale di Roma. Le indagini sono state coordinate dal procuratore aggiunto Maria Monteleone. All’episodio si aggiunge lo stupore e l’incredulità per una grave accusa al figlio di un uomo di giustizia, noto politico e figura istituzionale. Claudio Vitalone, padre di Alexandro, è stato infatti un magistrato, ex senatore della Democrazia Cristiana di corrente andreottiana e ministro scomparso nel 2008. Vitalone fu imputato e poi assolto per l’omicidio di Mino Pecorelli e morì a Roma, all’età di 72 anni. Alexandro Vitalone, consulente finanziario all’Inail, sarà ascoltato nelle prossime ore. Nelle prossime ore dovrà rispondere dell’accusa di violenza sessuale, tentando di difendersi in una vicenda dai contorni ancora da chiarire e in cui manca la sua versione ma che di sicuro lo vede accusato di stupro da una minorenne.

Election day, lo spettro che terrorizza Berlusconi. Alemanno: ‘Ci sto pensando’

Il sindaco di Roma vuole una sola giornata di consultazioni per Parlamento, Regione e Comune. Ma il Cavaliere teme una Caporetto e appare in stato confusionale: l'idea è di frammentare il Pdl in più partiti da presentare poi in un'unica coalizione

Election day, lo spettro che terrorizza Berlusconi. Alemanno: ‘Ci sto pensando’
C’è uno spettro che sta terrorizzando da tre giorni il Cavaliere e i suoi fedelissimi: si chiama “grande election day romano”. Che, cioè, il prossimo 7 e 8 aprile 2013 si possano trasformare nell’apocalisse elettorale del centrodestra, una valanga di risultati negativi su tre fronti politici chiave capace di dare il colpo di grazia al centrodestra e decretando un suo definitivo ridimensionamento anche dallo scacchiere politico nazionale. I sondaggi al 20% sono solo un’illusione, perché il peggio deve ancora arrivare. Lo spetto non riguarda solo l’apertura delle urne per le politiche e delle Regionali del Lazio causa show down della Polverini. Si aprirà anche il fronte Campidoglio. Il mandato della giunta di Gianni Alemanno, ex An e a capo di una corrente influente in quel che resta del Pdl, scade a maggio 2013. E il sindaco sta pensando (ieri ha parlato di “ipotesi allo studio”) di sciogliere anticipatamente il consiglio comunale per far votare i romani in un’unica tornata elettorale anziché richiamarli due volte alle urne nel giro di due mesi. Questione anche di ottimizzazione della spesa, certo, ma soprattutto un modo per prendere in contropiede il Pd che, a quel punto, dovrà puntare su più cavalli di razza per giocare la partita su tutti e tre i fronti e non sembra, almeno al momento, che sia in grado di spendere tre facce nuove per tre posti chiave nel nuovo assetto politico del Paese che passa per Roma. In ballo c’è Palazzo Chigi, la Pisana, il Campidoglio e forse anche il Pirellone. E con il grande “election day”, il centrodestra sa di perdere, ma di mettere anche in forte difficoltà gli avversari.
A palazzo Grazioli, dunque, si studiano le strategie delle prossime elezioni su più fronti, mentre il segretario del Pdl, Angelino Alfano, si sforza ogni giorno di tenere compatto il partito anche a costo di sfiorare il ridicolo con l’utilizzazione di slogan come “Rinascimento Azzurro” per far credere all’esterno che il disfacimento sia solo un’impressione. Peccato che traspaia l’esatto contrario. Se anche il centrodestra ha ancora un mercato,non sembra però più in grado di avere un prodotto da offrire. A destra, insomma, non si coltiva più nemmeno la speranza di un’affermazione elettorale che possa capovolgere un destino che appare segnato. E l’unico modo per non perire del tutto è di rendere comunque meno agevole la vittoria degli avversari.
Le strategie sono in corso, dunque, anche se il clima interno al Pdl non aiuta. Gli ex An, d’altra parte, sono già con tutti e due i piedi fuori dalla porta di via dell’Umilità, anche se Maurizio Gasparri, il capogruppo al Senato più vicino al Cavaliere, minimizza le battute di Berlusconi (“Gli ex An devono uscire dal Pdl”) parlando di “favole”. “Gli ex An in un altro partito? Non serve adesso parlare di questo, dobbiamo fare la legge elettorale, al piu’ presto, poi dobbiamo dare un’immagine seria, dobbiamo fare quel partito degli onesti di cui parlava Alfano. Dobbiamo parlare di contenuti e di scelte, ci vogliono comportamenti e decisioni seri, servono fatti ed esempi: anche Berlusconi credo che sia il piu’ interessato ad una scelta di questa natura”. Forse si. Ma di certo il Pdl è morto e Berlusconi “si è scocciato”, dicono i suoi. “Avrebbe dovuto ritirarsi già molto tempo fa – ammette un fedelissimo come Vittorio Feltri – non ha più voglia, cerca qualcuno che rappresenti il centrodestra al posto suo ma non lo trova. Noi abbiamo Alfano, che è simpatico. Ma dove cazzo vai con Alfano?”.
La frase rende perfettamente il clima sfilacciato, a dir poco incerto e un po’ crepuscolare che si respira nel Palazzo, ma non solo dalle parti del Cavaliere. Come in tutti i momenti dissolutivi, nella storia come nella recente cronaca politica, da Mani pulite in poi, anche questa volta stanno saltando i vincoli d’appartenenza, i rapporti anche più antichi e sedimentati, coperture e complicità, e all’interno dei partiti s’avanzano gruppi, bande, padroncini in lotta tra loro: come nel Lazio, prima che Renata Polverini decidesse di dimettersi, così anche in Lombardia dove il potere “celeste” di Roberto Formigoni vacilla e fa gola ai leghisti alleati e amici di un tempo. Nel Pdl, nel quartier generale bombardato, la distanza umana e antropologica tra una parte degli ex di An e il gruppo degli ex di Forza Italia appare ormai incolmabile. E infatti si parla di separazione consensuale, checchè ne dica Gasparri, per confondere le acque.
Ma cosa sta cercando davvero Berlusconi? A sentire i suoi, sembra che stia coltivando l’idea di un grande gesto di rottura, ma il tentennamento continuo tra un’endorsement a Mario Monti e lo studio accurato della figura mediatica di Beppe Grillo, stanno spazientendo anche i più affezionati dei suoi. Anche se nella notte tra lunedì e martedì, riuniti alcuni fedelissimi ad Arcore, il Cavaliere ha dato l’impressione di voler spacchettare sul serio il Pdl in più di un soggetto da federare sotto una comune insegna: un partito della destra per gli ex di An, uno dei democristiani, uno dei socialisti, uno dei liberali… “Cambiare nome, cambiare classe dirigente, tutti a casa”, ha svelato Daniela Santanchè che sembra la persona in grado di decriptare meglio le sensazioni berlusconiane, ma intanto negli occhi di deputati e senatori (anche non si stretta osservanza arcoriana) si intravvede lo spettro del disastro definitivo incombente, di cui l’election day romano potrebbe diventare la catarsi assoluta. La partita del tentativo di salvezza passa attraverso la legge elettorale che, a questo punto, tutti vogliono che resti il Porcellum, seppur corretto con le preferenze. Ma incombe l’approvazione rapida del traffico delle influenze e della corruzione tra privati, il pacchetto anticorruzione cui il Pdl ormai sa di doversi piegare. Anche Berlusconi deve rendersi conto che il mondo in cui lui ha vissuto e comandato, quello degli ultimi vent’anni, è finito. “Lui non può continuare a promettere l’abolizione dell’Imu come nulla fosse…”, s’arrabbia un deputato di rango pidiellino nel cortile di Montecitorio. “Avrebbe dovuto tuonare contro l’Europa, e avrebbe raccolto consensi, invece è rimasto a metà del guado. Né montiano né antimontiano, né europeista né antieuropeista. Avrebbe dovuto scegliere: se stai con Monti stacci fino in fondo”. Invece, è ancora caos. E l’Apocalisse elettorale si avvicina sempre più.

Rosso (Pdl): “Un mio amico consigliere si è fatto rimborsare 5000 euro per le vacanze”


‘La Minetti sfila e il magna magna continua’ è il titolo del talk tv Iceberg andato in onda lunedì sera su Telelombardia. Scontato il tema: lo scandalo sui fondi pubblici ai gruppi regionali che ha portato alle dimissioni del governatore del Lazio Renata Polverini. Il deputato Pdl Roberto Rosso, ex sottosegretario prima al Lavoro e poi all’Agricoltura del governo Berlusconi  e rinviato a giudizio per un’inchiesta su presunti finanziamenti illeciti per la sua campagna elettorale, racconta con toni da barzelletta una storia sulle “caste regionali“. Ma c’è poco da ridere. “Tutti si concentrano sul Lazio. Ma ora vi racconto una vicenda che mi è capitata personalmente – sorride il deputato -. Ospito a casa mia a Sestriere un consigliere regionale del Piemonte. Ero in settimana bianca e vedo questo qui che tutti i giorni si fa firmare un documento, un foglio, da un consigliere comunale del paese. Poi aggiunge: “Alla fine della settimana bianca questo mi fa capire che ha guadagnato 5mila euro in più. E gli chiedo: ‘Ma come hai fatto a guadagnare 5mila euro se sei stato ospite in settimana bianca a casa mia?’. Alla fine scopro l’arcano. Grazie al suo amico si è fatto pagare l’indennità, come se avesse lavorato e pure quella di missione a costo chilometrico giornaliero. In pratica, questa persona ha guadagnato quasi 1000 euro al giorno per essersi fatto una settimana bianca a casa mia. Che fogna sono le Regioni”. Nello studio televisivo nessuno ride, neanche un imbarazzato Davide Boni, consigliere regionale leghista della Lombardia. Ma Rosso continua: “Noi in Parlamento ci siamo tagliati il 40% dello stipendio, io ad esempio prendo 10mila euro al mese con le indennità, ci hanno tolto anche i vitalizi. In Piemonte – conclude – era stato varato un regolamento per cui venivano raddoppiate le liquidazioni per i consiglieri”. Rosso è pronipote di San Giovanni Bosco ed è uno dei 26 deputati o ex deputati che hanno contestato le nuove norme previdenziali che da gennaio hanno soppresso i vitalizi e introdotto il sistema contributivo. Con le vecchie regole avrebbero ricevuto il vitalizio al compimento dei 50 anni, adesso dovranno aspettare i 60 o i 65 anni, se eletti per un solo mandato

martedì 25 settembre 2012

Napolitano: "Vergognoso, politica da risanare" Berlusconi: "Cambiare regole finanziamento"

Durissimo il capo dello Stato. "Contesto inaccettabile per cittadini onesti e per chi voglia avviare un'impresa". Il Cavaliere: "Responsabili tutti i gruppi del Consiglio laziale". Alfano: "Vicenda non influirà sulla sua scelta di candidarsi". Bersani: "Urgente intervenire su costi Regioni". Casini replica al Cavaliere: "Alleanza Pd, Udc, Idv e Sel? Vive realtà immaginaria". Contributi ai gruppi, Camera approva modifiche al regolamento

ROMA - "Troppi, vergognosi fenomeni di corruzione. Bisogna risanare la politica". E' palpabile l'indignazione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che spende durissime parole alla vicenda della Giunta Polverini, spazzata via dal governo della Regione Lazio in seguito allo scandalo sulla gestione dei fondi pubblici nella disponibilità del gruppo consiliare del Pdl. Solo l'ultimo esempio di "malversazioni e fenomeni di corruzione inimmmaginabili, vergognosi, che si moltiplicano nel disprezzo per la legalità".

"Non è questo un contesto accettabile per persone sensibili al bene comune, per cittadini onesti, né per chi voglia avviare un'impresa" tuona Napolitano dal Quirinale, durante la cerimonia di inaugurazione dell'anno scolastico. "Chi si preoccupa giustamente dell'antipolitica deve saper risanare in profondità la politica. Far vincere la legge si può, come avvenne contro la mafia, come dimostrarono Falcone e Borsellino" è il monito di Napolitano. "Ma la legalità - aggiunge il presidente della Repubblica - si deve praticare a tutti i livelli, e dunque anche nel nostro piccolo mondo quotidiano".

Da New York, a margine dell'Assemblea generale dell'Onu, rimbalzano invece le dichiarazioni del ministro degli Esteri, Giulio Terzi, che definisce "un vulnus da suturare" quanto nel Paese va in senso contrario allo sforzo del governo per la "serietà, sobrietà e trasparenza".
Terzi, inoltre, fa notare ai giornalisti che l'Assemblea generale al Palazzo di Vetro si è aperta proprio con una risoluzione dedicata all'importanza dello stato di diritto e alla necessità di "lottare contro la corruzione".

Silvio Berlusconi non accetta che alla gogna sia messo solo il suo Pdl. "Nessuno può chiamarsi fuori. Tutti i gruppi nel Consiglio regionale del Lazio erano corresponsabili: maggioranza e opposizione". Così il Cavaliere il giorno dopo le dimissioni della governatrice Polverini. Nel suo personale day after 1, l'ormai ex presidentessa della Regione ha annunciato che non si candiderà più alla carica, mentre il sindaco di Roma Gianni Alemanno indica la via delle primarie per individuare il candidato del centrodestra. La Polverini si è quindi recata a Palazzo Grazioli, residenza romana di Silvio Berlusconi, per un incontro di mezz'ora con il leader del Pdl. "L'ho sentito al telefono in questi giorni e immagino lo rivedrò nelle prossime ore" aveva detto poco prima la Polverini in un'intervista a Tgcom24.

Nei giorni della tempesta in Regione Lazio, Berlusconi ha provato a indurre la governatrice a restare al suo posto. E oggi ribadisce in una nota: "La presidente del Lazio, Renata Polverini, si è assunta personalmente responsabilità che sono di sistema e riguardano tutte le classi dirigenti in ogni partito. Un gesto libero e di consapevolezza morale. Ora è necessario intervenire con estrema decisione, con coraggio e severità: la politica in Italia rischia di morire nel discredito in conseguenza di comportamenti collettivi e individuali intollerabili al senso comune e alla coscienza pubblica".

"Bisogna abrogare il sistema di finanziamento di gruppi e partiti così come l'abbiamo conosciuto - propone il leader del Pdl -. Si sono fatti dei passi in questa direzione, a livello centrale, ma non basta - rileva l'ex premier in una nota -. Le finanze pubbliche regionali e locali devono subire un esame senza indulgenze. E si deve procedere all'abrogazione di ogni erogazione impropria e alla messa in opera di controlli indipendenti che nessuna norma legislativa a tutela dell'indipendenza delle istituzioni può ostacolare".

"L'autonomia della politica è una cosa seria - prosegue il Cavaliere -, non si difende consentendo comportamenti indecenti. Su questo garantisco, a nome mio personale e della squadra che entrò in politica nel 1994 per cambiare l'Italia, un impegno di risanamento senza incertezze. Occorre un forte rinnovamento per tornare alla politica come servizio e non come fonte di guadagno per i singoli".

Al segretario politico del Pdl, Angelino Alfano, il compito di allontanare dalla mente dell'opinione pubblica la facile identificazione tra la dirigenza del partito e Franco Fiorito, il capogruppo Pdl al Consiglio regionale, indagato per peculato. "Sono pronto a un patto: non ricandidare nessun consigliere del Lazio. Di nessun partito. Ma non lo chiedano solo a noi", annuncia Alfano al termine della riunione con i capigruppi Pdl di tutte le regioni in via dell'Umiltà. Il segretario sottolinea che "il Pdl non è fatto di tanti Fiorito, noi siamo di un'altra pasta" e parla in termini positivi della riunione. "Da oggi - garantisce - i nostri gruppi consiliari in Regione avranno i conti certificati da una società esterna". "Poi - aggiunge Alfano - proporremo in ogni assemblea regionale una legge che sancisca questa regola. Avvieremo una spending review e metteremo su internet bilanci e spese dei gruppi".

Di certo, si dice certo Alfano, "la vicenda del Lazio non inciderà sulla eventuale candidatura di Silvio Berlusconi: "Farà la scelta più opportuna per il bene del Paese e del partito". In prospettiva elezioni, Alfano sfoggia ottimismo: "Non abbiamo notizia né avvisaglie di alcuna scissione e non la incentiviamo. Il Pdl può tornare ad essere il primo partito italiano. I sondaggi ci dicono che ci sono tanti indecisi e pensiamo di recuperarli perchè gli altri non stanno dando prova di meritare il consenso dei moderati".

Anche Pier Luigi Bersani, incontra i presidenti di Regione e i capigruppo del Pd. "E' necessario prendere un'iniziativa urgente sui costi delle Regioni. Da subito bisogna ridurre e riformare i costi, mettere online tutte le spese e far certificare i bilanci dei gruppi regionali", è la proposta del segretario del Pd. "Ci sono disparità evidenti ed eclatanti. Non è più tollerabile che una Regione spenda 2 e un'altra 8, sono costi non più giustificabili in nome dell'autonomia. Continuare così significherebbe far perdere credibilità all'autonomia stessa".

Alfano che propone di non ricandidare i consiglieri regionali uscenti "fa le sue scelte...spero che siano migliori che in passato" commenta Pier Ferdinando Casini, che nel frattempo ha meditato la sua risposta al passaggio dell'intervista rilasciata da Berlusconi al Huffington Post 2, in cui il Cavaliere paventa il pericolo di un'Italia "governata da un'armata Brancaleone che comprende Vendola e Casini, Bersani, la Bindi e Di Pietro". "Silvio vive da tempo una realtà immaginaria - la replice del leader Udc via twitter -. Solo cosi si spiega la sua dichiarazione di questa mattina dove denuncia un'alleanza Pd, Udc, Idv e Sel, che è frutto solo della sua speranza. Mi dispiace deluderlo ancora una volta: noi saremo in campo con i moderati italiani delusi dalle sue promesse mancate".

Contributi ai gruppi, Camera approva modifiche al regolamento. La Camera ha approvato la proposta di modifica del regolamento sui contributi ai gruppi parlamentari con 479 sì, un voto contrario e 9 astenuti.
La norma prevede un maggiore controllo e maggiore trasparenza sui bilanci dei gruppi parlamentari. A ciascun gruppo "è assicurato annualmente" un "contributo finanziario a carico del bilancio della Camera, unico e onnicomprensivo, a copertura di tutte le spese", incluse quelle per il personale. Il contributo è determinato "avendo riguardo alla consistenza di ciascun gruppo". Secondo il nuovo regolamento i gruppi dovranno avvalersi di una società di revisione esterna per fare un rendiconto annuale. Le norme entreranno in vigore non appena adottate dall'Ufficio di presidenza, in modo da garantirne l'applicazione non oltre l'inizio della prossima legislatura. Il presidente Fini ha chiarito che la modifica del regolamento entrerà in vigore il 15/mo giorno dalla pubblicazione nella gazzetta ufficiale. Dichiarato inammissibile un emendamento dei Radicali, che mirava ad affidare alla sola Corte dei Conti il controllo della regolarità dei bilanci dei gruppi. Non è stata accolta neanche la modifica proposta da Salvatore Vassallo del Pd, che avrebbe portato a un ridimensionamento dei contributi.

Gruppo Pd al Senato: "Subito certificazione esterna". "L'Assemblea dei senatori del Gruppo
del Partito Democratico ha approvato all'unanimità il bilancio del gruppo consuntivo 2011 e preventivo 2012. A questo punto, senza aspettare delibere formali del Senato in attuazione di un odg approvato dall'Aula prima della pausa estiva, il gruppo del Pd si rivolgerà a una società esterna per ottenere la certificazione dei propri bilanci. Vidmer Mercatali, Tesoriere del Gruppo Pd di Palazzo Madama, ritiene "opportuno che anche gli altri Gruppi facciano altrettanto". "Il Gruppo del Pd - aggiunge Mercatali -, solleciterà gli organi del Senato ad adottare rapidamente formali delibere che vadano in questa direzione".

Schifani: "Politici siano case di vetro". "I soggetti titolari di pubbliche funzioni elettive si considerino delle case di vetro. Nessun vincolo di segretezza sulla loro situazione economica, patrimoniale e anche finanziaria. Non ci si trinceri dietro la privacy. Lo scandalo ormai, nel nostro Paese, è andato oltre ogni limite di previsione". Così il presidente del Senato, Renato Schifani, in un intervista questa sera a Ballarò. "Sono casi individuali a volte, ma vi sono anche delle responsabilità dei partiti per omesso controllo. Quello che mi preoccupa, e credo preoccupi altri vertici delle istituzioni, è il corto circuito che rischia di determinarsi nel rapporto tra cittadini e politica. Temo si stia rompendo questo patto fiduciario che potrebbe mettere a repentaglio la serenità della nostra democrazia".

Elezioni in Sicilia, Fava: “La priorità? Legge sul reddito minimo garantito”

Il Fattoquotidiano.it intervista i candidati a Palazzo d'Orleans. Il primo è il giornalista e coordinatore della segreteria nazionale di Sel, 'accusato' di volere spaccare il Pd con la sua candidatura. "Miccichè, Musumeci e Crocetta rappresentano la continuità con il governo di Raffaele Lombardo"

Claudio Fava
Ha annunciato la sua candidatura a giugno, raccogliendo l’appello di alcuni intellettuali che hanno preso carta e penna e gli hanno chiesto di correre per diventare il nuovo presidente della Sicilia. Adesso, dopo 3 mesi di campagna elettorale, Claudio Fava, giornalista, sceneggiatore e coordinatore della segreteria nazionale di Sel, ha l’aria tirata di chi ha battuto la Sicilia provincia per provincia, città per città, infischiandosene del caldo asfissiante e dei sondaggi che lo vedrebbero terzo o quarto nella graduatoria dei dodici aspiranti governatori. “Quello che ho visto nelle varie piazze che ho visitato è qualcosa di molto diverso rispetto alle percentuali che mi accreditano i sondaggi”. Di lui hanno detto che è antipatico, radical chic, che è lontano dal popolo e che non ha voti. “Posso apparire algido, timido, in certi casi freddo – ha risposto lui – Ma non ho niente a che vedere con i radical chic. Io non riesco e non voglio essere piacione, non voglio baciare tutti: mi basta stringere la mano e guardare dritto negli occhi le persone”. Poi ha argomentato aspro con dati alla mano. “La mia campagna elettorale non costerà più di quaranta mila euro, dicano gli altri piuttosto dove prendono i soldi”. E quando Fava dice “gli altri” spesso si è riferito a Crocetta.

Cita spesso Crocetta, senza parlare quasi mai degli altri candidati alla presidenza. Come mai?

Su Crocetta parlo perché me lo chiedono i giornalisti: è rarissimo che i giornalisti mi chiedano degli altri candidati, se arrivassero domande su Miccichè o Musumeci, direi quello che ho detto su Crocetta, ovvero che rappresentano la continuità con il governo di Raffaele Lombardo.

Dicono che facendo così ha spaccato la sinistra, che lei in realtà non ha voti e che si candida per spaccare la coalizione in sostegno di Crocetta.

Alcune sono falsità, ben costruite. Vero che alle ultime comunali a Catania ho preso pochi voti, ma era una candidatura di servizio in una lista che prese lo 0,7 per cento. Chi cita quell’elezione dimentica di dire che sono stato l’eurodeputato più votato degli ultimi tempi, più di Berlusconi e lo stesso Vendola. Quella della spaccatura della sinistra è una barzelletta. Io non ho spaccato la sinistra, io rappresento la sinistra. Chi mi accusa di questo è Crocetta, indicato dall’Udc, che come vede sono costretto a citare, se non altro per rispondere ad accuse del genere.

Più di ventimila dipendenti, crediti inesigibili per miliardi di euro, un serio problema nella gestione dei rifiuti, centinaia di società che operano nel campo della formazione attaccati alle mammelle di mamma Regione. Sono solo alcune delle peculiarità della Regione Sicilia, su cu si allunga prepotentemente l’ombra del default. Perché vuole fare il governatore?

Forse è proprio il mio mestiere che mi porta qui: scrivendo ho attraversato la vita degli altri, ho visto e raccontato moltissime sofferenze. Come questa terra per esempio: una terra che ha molto sofferto e in cui anche io ho molto sofferto. Questa è la terra in cui ha vissuto ed è morto mio padre. Quando ti si presenta l’occasione per aiutare una terra come questa a riscattarsi è naturale volere provare a farlo. Io credo di poter mettere alcuni punti di passione civile e politica a disposizione dei siciliani onesti. Perché sono i siciliani i padroni del loro destino, non siamo succubi di scelte altrui: questo è un concetto fondamentale da cui ripartire.

La prima cosa da fare una volta vinte le elezioni?

Una delle prime leggi che vorrei proporre è la legge per il reddito minimo garantito, un’azione che ha bisogno di essere alimentata. Per esempio recuperando le risorse spese per 800 consulenti dal governo Lombardo. Oppure rivedendo la partecipazione in alcune società per azioni, garantita finora dai politici solo per assicurare la presenza dei loro amici nei cda. Questa è una vertenza che il governo regionale dovrebbe aprire, non quella sul ponte sullo stretto di Messina.

Fava, la Sicilia è ad un passo dal default: come pensa di salvarla?

La riorganizzerò facendo in modo che ogni centesimo speso produca sviluppo sociale. Cercherò di recuperare le risorse a cui abbiamo rinunciato nell’ottica della politica clientelare. La Sicilia ha bisogno di investire sulla ricerca scientifica, sul sapere, sulla cultura, sulla messa in sicurezza del territorio. Per fare questo non ci vogliono quaranta mila iniziative legislative ma 40 progetti specifici. Quando i progetti non sono quaranta, ma quaranta mila è evidente che si tratta del prezzo pagato alla politica clientelare.

Ci sono dodici candidati governatori: chi vincerà non avrà probabilmente la maggioranza all’Assemblea regionale.

Io governerò accompagnando questo progetto di governo con la disponibilità della società civile. Se io ripresento subito la legge sull’acqua pubblica, ho poi bisogno che questa battaglia non venga affidata soltanto ai numeri d’aula. È questa la democrazia partecipata. Responsabilizzando l’elettorato. Chi vota contro lo sviluppo della Sicilia deve sapere che voterà contro i siciliani.

La mafia dei cavalieri del lavoro di Catania non c’è più. Nitto Santapaola è al 41 bis. Dov’è Cosa Nostra oggi?

Santapaola è al 41 bis, il ramo Ercolano è in parte al 41 bis e in parte nel ramo dell’autotrasporto. I cavalieri del lavoro non ci sono più, ma imprenditori che hanno “giocato” con Cosa Nostra ci sono ancora. La fanno da padroni nello smaltimento rifiuti, nel movimento terra. Il sistema di potere ha cambiato nomi e personaggi ma esiste ancora. I giornali che tacevano allora continuano a tacere oggi. Quando scopro l’endorsement di certi giornali, mi chiedo cosa sia stato loro promesso in cambio.

A cosa si riferisce?

A Mario Ciancio e l’appoggio a Crocetta: mi chiedo come sia stato ricompensato dopo la vagonata di pagine che Crocetta si è comprato sulla Sicilia. Evidentemente Ciancio vedrà in Crocetta il garante di certi interessi che possono essere mantenuti solo con un presidente vicino e non in modo diverso. Cuffaro sta scontando sette anni per favoreggiamento alla mafia. Lombardo è sotto processo per concorso esterno: è solo sfiga, o alla poltrona da governatore si accede solo in un certo modo? Tutto sta nelle scelte di vita che si fanno. Il problema è come tu vuoi costruire il tuo governo. Ma soprattutto perché e per chi vuoi governare.

Punta a prendere i voti al Pd?

Punto a prendere i voti liberi al Pd. Mi pare che ci sia insofferenza nel votare un candidato dell’Udc. La cosa bella è che l’appoggio del Pd da parte mia non sarà cercato. È una cosa bella perché quei voti saranno solo voti liberi e saranno doppiamente solidi: varranno doppio quando si tratterà di governare.

La data dell’elezione coincide casualmente con la prima udienza preliminare del processo sulla trattativa Stato-mafia.
 Con lei governatore la Regione si costituirebbe parte civile?
La Regione Sicilia si costituirà parte civile in quel processo, in tutti i processi di mafia, in tutti i processi di corruzione e concussione e in tutti i processi legati a omofobia o a reati sessuali. È questo il diritto di cittadinanza.
Novantamila giovani l’anno lasciano la Sicilia per cercare lavoro fuori. Come se ogni anno quest’isola perdesse di punto in bianco una città come Trapani, o due provincie Enna e Caltanissetta. A uno di questi giovani con la valigia in mano cosa direbbe?
Che se parte non posso che dargli ragione. Ma se resta rende diversa la Sicilia e concreta la nostra speranza di buongoverno.Voglio proporre una ricostruzione che un domani permetta a molti di ritornare.
Questa è la prima delle interviste del Fatto Quotidiano.it ai dodici candidati che si presenteranno alle elezioni per la presidenza della Regione Sicilia

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Rostagno, il processo 24 anni dopo. A Milano una serata a lui dedicata

Il 26 settembre, giorno in cui nel 1988 ci fu l'omicidio, riprenderà il procedimento - le udienze vanno avanti da quasi due anni - contro Vito Mazzara e Vincenzo Virga, due dei presunti assassini. Nel capoluogo lombardo, questa sera, Maddalena Rostagno organizza un evento in sua memoria

Rostagno, il processo 24 anni dopo. A Milano una serata a lui dedicata
C’è un processo, a Trapani, di cui poco o niente si parla o si scrive. È quello per l’omicidio di Mauro Rostagno, il sociologo, leader politico, giornalista, che venne messo a tacere come si fa da quelle parti – a colpi di fucile – quando si osa denunciare il malaffare e le collusioni fra mafia e politica.
Il 26 settembre ricorrono 24 anni da quell’omicidio. E sempre in quella data riprenderà il processo – le udienze vanno avanti da quasi due anni – contro Vito Mazzara e Vincenzo Virga, due dei presunti assassini, due mafiosi già in carcere per altri efferati delitti. Un doppio appuntamento per Maddalena Rostagno, l’indomita figlia di Mauro che da due anni ogni settimana si alterna con sua madre Chicca Roveri per presenziare alle udienze.
Una figlia che cerca in tutti i modi di abbattere la barriera di silenzio che grava sul processo e sulla figura del padre. Ci ha provato un anno fa con un libro bello e toccante, “Il suono di una sola mano” (Saggiatore), ci riprova ora organizzando, con il patrocinio del Comune di Milano, una serata in suo ricordo: martedì 25 settembre, a Milano, alla sala della Provincia di via Corridoni 16. Sul palco, oltre a lei, molte figure di spicco della cultura e della politica: dal sindaco Giuliano Pisapia, che di Rostagno fu avvocato, a don Luigi Ciotti, che con Libera combatte in Sicilia la stessa battaglia per la legalità di Mauro, da Leoluca Orlando, sindaco a Palermo in anni difficili (compresi i presenti) a Benedetta Tobagi, “sorella” nel dolore di Maddalena (anche a lei fu strappato il padre da una mano armata) a scrittori, musicisti e teatranti (Lella Costa, Renato Sarti, Giulio Cavalli, Gaetano Liguori) che di Rostagno racconteranno le molte vite in prosa (saranno letti testi scritti per l’occasione da Dacia Maraini e Erri De Luca) e in musica.
Ma è sul processo, principalmente, che verterà la serata. Un processo quasi miracoloso, perché dopo anni di indagini a vuoto, o meglio orientate volutamente verso false piste – dalla classica “questione di corna”, sempre molto battuta in Sicilia per aggirare più scomode “questioni di mafia”, a inesistenti complotti orditi contro Rostagno dai suoi compagni giovanili di Lotta continua – solo negli ultimi anni è stata imbroccata la pista giusta, quella che avrebbe dovuto essere seguita fin dall’inizio: la pista mafiosa.
Una perizia balistica, la stessa che i primi inquirenti avrebbero dovuto svolgere all’indomani del delitto, ha collegato i resti dell’arma usata per freddare Rostagno al campione di tiro a volo, nonché killer della mafia, Vito Mazzara: le nuove indagini della Squadra Mobile di Trapani e della Polizia scientifica hanno colto precise corrispondenze tra alcuni delitti per i quali Mazzara è stato condannato e l’omicidio Rostagno : una costante abitudine a sovraccaricare le cartucce (motivo per cui il fucile con cui ha sparato a Rostagno è scoppiato), l’abilità all’uso del fucile, oltre alle dichiarazioni di pentiti come Francesco Milazzo che lo indicano come a capo del commando. Quanto a Vincenzo Virga – capo del mandamento di Trapani, è stato il tramite tra la “nuova mafia” di Matteo Messina Denaro, figlio di Ciccio, e quella “tradizionale” di Bernardo Provenzano – hanno condotto a lui vecchie e nuove testimonianze di pentiti.
È stato impressionante ascoltare in aula un fedele servitore dello Stato come Rino Germanà, scippato delle indagini all’indomani del delitto, ribadire che quella mafiosa era la prima e più ovvia pista da seguire, viste le puntuali denunce di Rostagno da Rtc, l’emittente privata trapanese dove conduceva una seguitissima rubrica. Ma che era stata scartata senza appello dai carabinieri che lo sostituirono nelle indagini.
E ancora più scioccante assistere in aula al disvelamento del falso operato dal colonnello dei carabinieri Elio Dell’Anna, all’epoca capitano al reparto operativo di Trapani: Dell’Anna attribuì al giudice istruttore del processo Calabresi Antonio Lombardi l’affermazione, da quest’ultimo fermamente smentita, che Mauro Rostagno era a conoscenza delle motivazioni dell’omicidio del comissario, e per questo era stato ammazzato.
Ma dal processo è emerso molto altro ancora. Per esempio la conferma, da parte del pentito Angelo Siino, che Rostagno stava mettendo il naso in faccende pericolose, come quelle riguardanti certi appalti, o la certezza della presenza a Trapani di Licio Gelli, ospite di Mariano Agate, capomafia di Vito Mazzara, denunciata da Rostagno e confermata dal pentito Francesco Di Carlo.
Altre sorprese si attendono dalla riapertura del dibattimento: già nella prima udienza saranno ascoltati, su istanza della difesa, testi eccellenti come Claudio Martelli e Renato Curcio: prima Repubblica e terrorismo, un altro tentativo di togliere l’aggettivo “mafioso” al delitto Rostagno.
da Il Fatto Quotidiano del 23 settembre 2012

Catania, no all’archiviazione per l’editore Ciancio, accusato di concorso esterno

Il gip Barone respinge la richiesta dei pm che indagano sulla costruzione del centro commerciale La Rinascente-Auchan. L'ex presidente della Fieg è finito più volte al centro delle polemiche per presunti rapporti con il clan Santapaola

Catania, no all’archiviazione per l’editore Ciancio, accusato di concorso esterno
Ancora una volta, a Catania, un’indagine per concorso esterno in associazione mafiosa nei confronti di uno degli uomini più potenti della città ha un colpo di scena. Questa volta tocca a Mario Ciancio Sanfilippo, editore-direttore del più influente quotidiano etneo, La Sicilia, e imprenditore edile: il gip di Catania Luigi Barone ha deciso in questi giorni di non accogliere la richiesta di archiviazione dell’accusa a suo carico avanzata dai magistrati. Proprio come, quest’anno, è già successo all’ex governatore siciliano dimissionario Raffaele Lombardo, al fratello Angelo – deputato nazionale Mpa – e al senatore Fli Nino Strano. Sempre da parte dello stesso giudice. Se nel caso dei Lombardo la scelta del gip ha portato all’imputazione coatta, Ciancio dovrà attendere l’udienza già fissata da Barone per conoscere il suo destino giudiziario.
Una notizia che arriva a pochi giorni da un’altra sconfitta in tribunale per l’editore l’etneo: l’obbligo di reintegro, dettata dalla corte di Appello di Catania, per sei giornalisti della sua emittente televisiva Telecolor licenziati senza giusta causa nel 2006. Membro del consiglio di amministrazione dell’Ansa – di cui è stato vicepresidente – insieme alla figlia Angela; ex presidente della Fieg; titolare di quote in diversi giornali, tv e radio locali e nazionali; proprietario di uno dei maggiori stabilimenti tipografici del Sud Italia e dell’agenzia di pubblicità Publikompass, a mettere nei guai Ciancio sarebbero stati i suoi interessi non nell’editoria ma nell’edilizia. E, precisamente, nella costruzione di un centro commerciale La Rinascente-Auchan vicino all’aeroporto etneo, nei pressi del quartiere Librino. Opera che, secondo i magistrati, avrebbe visto anche la partecipazione di esponenti della criminalità organizzata.
In un’intercettazione del 2001 tra un indagato per mafia e un presunto rappresentante de La Rinascente, è il primo a citare Ciancio come colui che si occuperà di tutte le autorizzazioni per il terreno scelto. Appezzamento che, anni dopo, diventa effettivamente edificabile con una variante al piano regolatore generale. E’ da qui che si parte per arrivare, a marzo 2009, all’iscrizione dell’editore etneo nel registro degli indagati. Ma nel fascicolo non c’è solo questo. Tra le carte, anche testimonianze ed episodi che hanno fatto un pezzo di storia dell’informazione a Catania. Tra i più recenti, la lettera di Vincenzo Santapaola, figlio del boss etneo Nitto, detenuto come il padre al carcere duro e quindi impossibilitato a comunicare con l’esterno. Nella missiva, trapelata in circostanze mai chiarite nel 2008, Santapaola jr lamenta di essere giudicato solo per il suo cognome. Il quotidiano catanese pubblica la lettera, a firma del detenuto, senza alcuna contestualizzazione sul personaggio e la sua condizione.
Un accostamento, quello tra Ciancio e il clan Santapaola, che emerge anche nei racconti del collaboratore di giustizia Angelo Siino. E’ lui a raccontare di quella volta che il boss Pippo Ercolano, arrabbiato perché definito «mafioso» in un articolo, andò nella redazione de La Sicilia a fare una scenata. Ciancio, non presente, avrebbe saputo, racconta Siino. E invece sarebbe stato proprio lui, al chiuso del suo ufficio e in presenza di Ercolano, a sgridare il cronista responsabile secondo quanto riportato in diverse ordinanze del processo Orsa Maggiore firmate dal gip Antonino Ferrara. Ancora più indietro nel tempo, tra le carte dei magistrati, la mancata pubblicazione dei necrologi del giornalista Giuseppe Fava e del commissario di Polizia Beppe Montana, uccisi dalla mafia rispettivamente nel 1984 e ’85. E il presunto tentativo nel 1994 di screditare il collaboratore di giustizia Maurizio Avola, auto-accusatosi dell’omicidio di Fava, attribuendogli delle rivelazioni anche sul delitto del generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Troppo giovane e alle prime armi per il secondo omicidio, avvertiva il quotidiano etneo. Ma Avola non aveva mai parlato di Dalla Chiesa, sottolineava il sostituto procuratore etneo Amedeo Bertone, temendo un tentativo di depistare le indagini: «Quello che è avvenuto non è stato casuale. Chi pubblicava sapeva perfettamente, per essere stato avvertito proprio da noi, che si trattava di cose false». Eppure, nei giorni successivi, “La Sicilia” continuò.
di Claudia Campese

Terremoto, i sindaci: “Non sono arrivati neanche i soldi raccolti via sms” Si faccia chiarezza e si indaghi

Dove sono finiti quei soldi. Sia aperta un'inchiesta e gettati in galera i ladri di quei denari offerti per carità e solidarietà.

Mesi di promesse. Il 20 maggio il presidente della Regione Vasco Errani parla di tempi rapidi per i fondi. Gli fa eco due giorni dopo Mario Monti, che però viene fischiato. Il 23 giugno è ancora governatore dell'Emilia Romagna che parla di tempi rapidissimi". La stessa cosa ha fatto due giorni fa. Ma i sindaci dei paesi colpiti dal sisma sono in rivolta: "Le chiese e le case non si ricostruiscono con le promesse"

Terremoto, i sindaci: “Non sono arrivati neanche i soldi raccolti via sms”
Trasparenza, fondi in arrivo, tempestività. Le promesse formulate dal commissario Vasco Errani ormai non convincono più i sindaci emiliani, alle prese con la ricostruzione post terremoto. Nonostante il piano casa, avviato il 28 agosto con un’ordinanza firmata dal presidente della Regione Emilia Romagna, il patto per le aziende e la riapertura delle scuole in strutture temporanee, prevista per il mese di ottobre, i soldi non ci sono ancora. “Non abbiamo visto un euro”, spiega il sindaco di Finale Emilia Fernando Ferioli, “arriveranno” spera Rudi Accorsi, primo cittadino di San Possidonio. I 2,5 miliardi di euro stanziati dal governo, di cui 500 milioni previsti per il 2012, a quattro mesi dal terremoto non sono ancora arrivati, così come mancano all’appello i 15 milioni di euro raccolti con quegli sms solidali che, dal 29 maggio, gli italiani hanno generosamente versato, a sostegno delle popolazioni colpite dal sisma. E le casse dei comuni si svuotano velocemente.
Le promesse, infatti, non ricostruiscono le case, le chiese, i monumenti andati perduti in pochi attimi a causa della furia della terra. E la tempestività, invece, con l’arrivo dell’inverno, sarebbe essenziale. Subito dopo la prima scossa di terremoto, quella del 20 maggio, in viale Aldo Moro Errani parla di “emergenza nazionale”, annunciando provvedimenti in “tempi rapidi”. Il 22 maggio anche il presidente del consiglio Mario Monti si reca in visita nelle zone terremotate per portare “la vicinanza del governo” alle migliaia di persone sfollate, a cui il sisma ha rubato la casa, il lavoro, la città e persino i propri cari. Viene fischiato, ciononostante riesce a promettere un intervento tempestivo da parte dello Stato. Due giorni dopo, anche il ministro ai Beni culturali Lorenzo Ornaghi a Finale Emilia annuncia “dobbiamo trovare le risorse per queste zone”, e dobbiamo farlo “entro brevissimo”. Ovviamente, ricorda in quell’occasione Errani, prima dei fondi è necessario quantificare i danni. Un calcolo reso più difficile da una seconda forte scossa di terremoto, quella del 29 maggio.
A giugno, le visite istituzionali continuano nelle zone terremotate dell’Emilia, là nella bassa tra Modena e Ferrara, così come la “conta dei danni” necessaria a calcolare quanto sarebbe costato ricostruire quei paesi fantasma, ridotti a mere ‘zone rosse’ transennate e sfollate, riprendono. E mentre i tecnici effettuano migliaia di sopralluoghi, i sindaci continuano a lanciare appelli allo Stato. Chiedendo, a loro volta, quella “tempestività” promessa dal commissario straordinario. “Nei prossimi giorni” risponde a più riprese Vasco Errani, “in tempi rapidissimi”, assicura il 23 giugno.
 Ma per ricevere il primo, vero stanziamento statale, promesso già dal 22 maggio, i comuni devono attendere luglio. Più di 40 giorni. I 50 milioni di euro provenienti dal Fondo della Protezione civile, comunque, finiscono quasi subito. Sarebbero dovuti bastare per almeno due mesi, 60 giorni in tutto, ma dopo 40 sono già esauriti. Tanto che i sindaci emiliani sono costretti a provvedere autonomamente a tutte le spese relative all’emergenza ancora da gestire, in attesa che il primo finanziamento effettivo, i 500 milioni di euro garantiti dal D.L 74/2012, prima tranche dei 2,5 miliardi approvati dal governo, arrivi. “Senza entrate – aveva raccontato Luisa Turci, sindaco di Novi di Modena – sono obbligata a chiedere anticipazioni di cassa. Certo, non sono a costo zero. Ma è l’unico modo per ottenere liquidità immediata”.
 Ma nemmeno i 15 milioni raccolti con gli sms solidali a luglio arrivano. “Trascorsi trenta giorni dall’ultima data utile per effettuare una donazione – promettono Errani e Franco Gabrielli, capo della Protezione civile – i gestori delle compagnie telefoniche consegneranno la somma alle istituzioni, si costituirà il comitato dei garanti e poi le risorse verranno distribuite”. Una procedura già stabilita che, garantisce il numero uno della protezione civile, sarà rapidissima. Ma a quattro mesi dal terremoto, quei soldi sembrano più lontani che mai. Almeno quanto i 500 milioni promessi dallo Stato, che, conferma il sindaco di San Possidonio, “non sono ancora arrivati”. E la famosa “fase due” di cui Errani ha parlato a più riprese, aspetta in un cassetto.
Incerti anche i tempi relativi a quella che, ad agosto, sembrava una buona notizia. “Abbiamo ottenuto un risultato molto importante per i nostri cittadini, un contributo fino a 6 miliardi per gli interventi di ricostruzione, riparazione e ripristino delle abitazioni civili e dei macchinari e degli immobili ad uso produttivo – annuncia Errani -. Il provvedimento è stato approvato al Senato all’interno del decreto sulla spending review, e abbiamo la piena convinzione che sarà approvato anche dalla Camera”.
E poi ci sono i 670 milioni promessi dall’Unione Europea dopo la visita del commissario alla Politica regionale Johannes Hahn, per i quali Errani si è dichiarato altrettanto “soddisfatto”, che però dovrebbero arrivare solo a gennaio 2013.
L’unica certezza, per i comuni colpiti dal terremoto, a oggi, sono le promesse. “Ieri in Regione il commissario ci ha garantito che entro venerdì prossimo arriverà il primo contributo per l’autonoma sistemazione – spiega Accorsi – perché possa essere avviata la procedura amministrativa per la liquidazione ai cittadini”.
“Entro questa settimana – ha inoltre anticipato Errani, supportato dal prefetto Gabrielli – il Consiglio dei Ministri trasformerà il protocollo relativo a 500 milioni di euro previsti dal decreto sulla spending review, in norme legislative: quindi partirà, in modo trasparente e in relazione con le banche, l’azione di liquidazione degli stati di avanzamento per quei cittadini che abbiano iniziato le opere di riparazione delle proprie abitazioni”.
Una possibile spiegazione ai ritardi accumulati mese dopo mese la offre Maurizio Marchesini, presidente di Confindustria Emilia-Romagna. “Questo – ha detto durante una puntata di Mattino cinque, in onda su Canale5 – è un Paese un po’ particolare, che affronta in maniera molto organizzata l’emergenza, con ottime strutture e un grande volontariato, ma non abbiamo procedure per la ricostruzione. Tutte le volte che succede un evento di questa portata siamo daccapo, e anche stavolta abbiamo ricominciato da zero, in più con condizioni economiche molto pesanti”.
Ma come hanno ripetuto più e più volte, da maggio, i sindaci emiliani che da soli, almeno per ora, devono ricostruire intere città, “serve liquidità”. “Speriamo che questa volta – commentano l’ennesima promessa del commissario i primi cittadini terremotati – i soldi arrivino davvero”.

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